T3 - Gabriele d’Annunzio, Qui giacciono i miei cani

Verso la prima prova d esame Gabriele d Annunzio, Qui giacciono i miei cani T 3 Il testo, datato 31 ottobre 1935, è stato pubblicato postumo nel 1982 dal critico Luciano Anceschi, che lo rintracciò nel 1979 al Vittoriale degli Italiani, scritto a matita su un libro di viaggi che Gabriele d Annunzio (Pescara 1863-Gardone 1938) stava leggendo. probabilmente l ultima poesia scritta dall autore, a tre anni dalla morte. Presenta alcuni versi di misura incerta (i vv. 18-19 sono forse due settenari zoppicanti pronti a diventare un solo endecasillabo) e tracce di mancata revisione. Ha scritto a proposito di questo testo il critico Walter Siti: «L autodenigrazione non è che l altra faccia dell autocelebrazione: d Annunzio che si definisce uom da nulla è il superuomo rovesciato. [ ] L immagine centrale del testo è quella degli ossi: ormai cavi perché privi di midollo, rosicchiati sottoterra dai cani fantasma, potrebbero essere riuniti in una rudimentale (senza cera e fili di lino che la tengano insieme) zampogna di Pan. Pan in greco significa tutto ma è anche il dio del panico meridiano e gli era stato guida, quando poco più che trentenne si era concesso una crociera tra le isole greche, verso l esaltazione mitico-simbolista della Laus Vitae ( il gran Pan non è morto ). Qui invece il tutto è la morte e dunque Pan si identifica con la morte [ ]. Il dito succhiato dall infante è come l osso succhiato dai cani morti: l intera vita riassunta in un gesto stupido, con una musica tornata elementare e una punta di fastidio liquidatorio un ultimo verso potente come in un grande barocco: l uomo dopo la morte è destinato a essere il cane del suo nulla . Tutto il vitalismo estetizzante, la luce estiva dell Alcyone, bruciati nel grido di chi non crede più ( La Repubblica , 31 agosto 2014). 5 10 15 20 196 Qui giacciono i miei cani gli inutili miei cani, stupidi ed impudichi, novi sempre et antichi, fedeli et infedeli all Ozio lor signore, non a me uom da nulla. Rosicchiano sotterra nel buio senza fine rodon gli ossi i lor ossi, non cessano di rodere i lor ossi vuotati di medulla et io potrei farne la fistola di Pan come di sette canne i potrei senza cera e senza lino farne il flauto di Pan se Pan è il tutto e se la morte è il tutto. Ogni uomo nella culla succia e sbava il suo dito, ogni uomo seppellito è il cane del suo nulla.

Palestra di scrittura
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