T3 - La mano scorticata (G. de Maupassant)

T3

Guy de Maupassant

La mano scorticata

  • Titolo originale La main d’écorché, 1875
  • Lingua originale francese
  • racconto horror
L’autore

Guy de Maupassant nasce nel 1850 in Normandia, una regione nel Nord della Francia. Dopo una parentesi nell’esercito, in occasione della guerra del 1870 tra francesi e prussiani, si trasferisce a Parigi, dove lavora come impiegato ministeriale. Nel 1880 decide di lasciare l’ufficio per dedicarsi a tempo pieno alla narrativa. È di quell’anno il primo capolavoro, il racconto Palla di sego, al quale fanno seguito il romanzo Bel-Ami (1885) e altri successi che gli procurano fama e denaro. Nel giro di un decennio Maupassant pubblica sei romanzi e oltre trecento racconti, caratterizzati da una serie di temi ricorrenti: sul versante realistico gli orrori della guerra e la satira impietosa dei borghesi; sul versante fantastico la morte e la follia, spesso condite da visioni raccapriccianti, che fanno di lui uno dei maestri dell’horror ottocentesco. La sua salute intanto, minata dalla sifilide, inizia a dare segni di cedimento. Verso il 1890 i problemi alla vista, i mancamenti, le emicranie, l’insonnia sfociano in un tracollo, che due anni più tardi lo spinge a tentare il suicidio. Salvato a stento, ormai folle trova ricovero in una clinica psichiatrica parigina, dove si spegne nell’estate del 1893.

Un gruppo di giovanotti, nella Parigi dell’Ottocento, sta passando un’allegra serata in compagnia, fra chiacchiere, fumo e liquori. A un certo punto fa irruzione un amico, portando con sé un oggetto decisamente inconsueto: la mano scorticata di un criminale. Non l’avesse mai fatto. Intorno a questa mano Maupassant imposta un crescendo raccapricciante e tragico.

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Audiolettura

Quasi otto mesi fa uno dei miei amici, Louis R., aveva riunito una sera alcuni compagni
di collegio: stavamo bevendo del punch,1 mentre si fumava e si chiacchierava
di letteratura e di pittura, raccontandoci ogni tanto qualche storiella piccante, come
è d’uso nelle riunioni di giovanotti. A un tratto si spalanca la porta ed entra come 

5      un bolide uno dei miei migliori amici d’infanzia. Esclamò subito: «Indovinate da
dove vengo».

Uno gli risponde: «Scommetto che sei stato da Mabille».2 «No, sei troppo allegro»,
fa un altro, «hai ottenuto un prestito oppure t’è morto uno zio o hai impegnato
l’orologio al Monte».3 «Hai preso una bella ciucca»,4 propone un terzo, «e 

10    siccome hai sentito l’odore del punch qui da Louis sei salito per ricominciare».

«No, non ci siete, vengo da P. in Normandia, ove sono andato a passare otto
giorni e da dove riporto un celebre criminale, mio amico, che mi permetto di presentarvi».
Dette queste parole, trasse di tasca una mano scorticata:5 era raccapricciante
quella mano; nera, scheletrita, lunghissima e come raggrinzita; i muscoli d’una 

15    forza impressionante erano tenuti assieme all’interno e all’esterno da una correggia
di pelle pergamenata,6 le unghie gialle e strette erano rimaste in cima alle dita: era
la mano d’un delinquente, lo si capiva immediatamente, a un miglio di distanza. Il
mio amico continuò: «Figuratevi che l’altro giorno vendevano la roba d’un vecchio
stregone conosciuto in tutta la regione. Ogni sabato andava al sabba7 su un manico 

20    di scopa, praticava la magia bianca e nera, faceva venire alle vacche il latte azzurro
e portar la coda come quella del compagno di Sant’Antonio.8 Certo è che quel vecchio
farabutto teneva moltissimo a questa mano; diceva che era quella d’un famoso
criminale giustiziato nel 1736 per aver gettato a capofitto in un pozzo la propria
moglie legittima, cosa che mi pare giusta, e poi per aver impiccato al campanile 

25    della chiesa il curato9 che l’aveva sposato. Dopo questa doppia impresa s’era messo
a girare il mondo e nella sua carriera, breve ma intensa, aveva rapinato una dozzina
di viaggiatori, bruciato venti frati in un convento e trasformato un monastero in una
specie di harem».

«Ma che cosa vuoi farne di quell’orrore?», esclamammo.

30    «Eh perbacco, la metterò come maniglia del campanello per spaventare i
creditori».

Henry Smith, un grosso inglese flemmatico gli disse: «Amico mio, credo che
quella mano sia semplicemente un pezzo di carne indiana conservata con un nuovo
procedimento. Ti consiglio di farci un buon brodo».

35    Uno studente di medicina, che era quasi ubriaco, intervenne allora con inattesa
lucidità: «Amici, non scherzate; e tu, Pierre, se vuoi un consiglio, fa’ sotterrare cristianamente
questo resto umano, nel timore che il legittimo proprietario non venga
a richiedertelo; e poi questa mano forse ha preso delle pessime abitudini. Conosci,
no?, il proverbio: “Chi ha ucciso, ucciderà ancora”».

40    «E chi ha bevuto berrà!», ribatté il nostro anfitrione,10 versando allo studente un
bicchierone di punch, che l’altro buttò giù d’un fiato e cadde ubriaco fradicio sotto
al tavolo. Questa battuta fu accolta da risate fragorose, e Pierre alzando il bicchiere
in direzione della mano disse: «Bevo alla prossima visita del tuo padrone». Poi parlammo
d’altro e ciascuno fece ritorno alla propria abitazione.

45    Il giorno dopo, poiché mi trovavo a passare davanti alla casa di Pierre, entrai da
lui. Erano quasi le due: lo trovai che stava bevendo e fumando. «Be’, come va?», gli
dissi. Mi rispose: «Benissimo». «E la mano?». «Devi averla vista attaccata al campanello
dove l’ho messa iersera rincasando; ma, a proposito, figurati che qualche
imbecille dev’esser venuto a suonare verso mezzanotte, senza dubbio per farmi uno 

50    scherzo; ho domandato chi era, ma siccome non m’ha risposto nessuno, mi sono
coricato di nuovo e mi sono riaddormentato».

Suonarono proprio in quell’attimo. Era il padrone di casa, un tipo grossolano e
insolente. Entrò senza salutare. «Signore», disse al mio amico, «la prego di levar di
mezzo immediatamente la carogna che lei ha appeso al cordone del suo campanello,11 

55    altrimenti sarò costretto a darle lo sfratto».

Con una faccia serissima Pierre ribatté: «Signore, lei insulta una mano che non
merita d’esser trattata a questo modo perché apparteneva a una persona assolutamente
per bene». Il padrone di casa girò sui tacchi e uscì così com’era entrato.

Pierre gli andò dietro, staccò la mano e l’attaccò al campanello appeso nella 

60    sua alcova:12 «Questa mano sta meglio qui. Sarà per me come quella frase che si
ripetono i Trappisti:13 “Ricordati che sei destinato a morire”. Insomma mi ispirerà
pensieri importanti ogni sera prima d’addormentarmi». Dopo un’ora lo lasciai e me 

ne tornai a casa.

Passai una cattiva notte, ero agitato, nervoso; mi risvegliai di soprassalto parecchie 

65    volte; mi parve che un uomo fosse penetrato in casa e mi alzai per andar a guardare
nell’armadio e sotto il letto. Finalmente verso le sei avevo appena cominciato
ad assopirmi quando dei colpi violenti alla porta mi fecero saltar giù dal letto. Era il
domestico di Pierre, vestito sommariamente,14 pallidissimo e tremante.

Tra i singhiozzi gridò: «Ah, Signore, hanno assassinato il mio povero padrone!».

70    Mi vestii in fretta e corsi da Pierre.

L’appartamento era pieno di persone che discutevano e s’agitavano in un movimento
incessante; ciascuno di loro parlava, raccontava, commentava l’accaduto in
tutte le maniere. Raggiunsi la camera a gran fatica, la porta era sorvegliata.

Mi feci riconoscere e mi lasciarono entrare. Quattro agenti di polizia stavano in 

75    piedi al centro della stanza con un taccuino in mano; esaminavano tutto, scambiando
ogni tanto qualche parola a bassa voce, e poi prendevano appunti; due medici
parlottavano accanto al letto ove era steso Pierre, privo di conoscenza. Non era morto,
ma aveva un aspetto terrificante. Gli occhi aperti smisuratamente, con le pupille
dilatate, sembravano paralizzati: fissavano, con una indicibile paura, una cosa orribile 

80    e sconosciuta; le dita erano contratte, il corpo coperto sin sotto al mento da
un lenzuolo che sollevai. Aveva al collo i segni di cinque dita che erano penetrate a
fondo nella sua carne; qualche goccia di sangue macchiava la camicia. Una cosa mi
colpì in quel momento: guardai per caso il campanello dell’alcova. La mano dello
scorticato non c’era più. L’avevano tolta certamente i medici per non impressionare 

85    coloro che entravano nella camera del ferito; difatti quella mano era davvero orribile.
Non domandai nemmeno quel che ne avevano fatto.


Ora ritaglio da un quotidiano del giorno seguente il resoconto del delitto con
tutti i particolari che la polizia aveva potuto raccogliere. Ecco quel che c’era scritto:


Un orrendo tentato omicidio è stato commesso ieri contro il signor Pierre B. studente 

90    in legge e appartenente a una delle più importanti famiglie della Normandia. Il povero
giovane, rincasato alle dieci di sera, aveva congedato il suo domestico, un certo Bouvin,
dicendogli che era stanco e che si sarebbe coricato. Verso mezzanotte il domestico venne
risvegliato dal suono del campanello che era nella camera del padrone, un suono così insistente
e disperato che impaurì il Bouvin. Il campanello tacque poi per circa un minuto, 

95    indi riprese con tale forza che il domestico, terrorizzato, si precipitò a svegliare il portiere
dello stabile. Questi corse a chiamare la polizia. Dopo circa un quarto d’ora gli agenti
sfondavano la porta della camera chiusa dall’interno.

Un orribile spettacolo si presentò ai loro occhi: i mobili erano sottosopra e tutto poteva
far pensare che una lotta mortale aveva opposto vittima e aggressore. In mezzo alla 

100 stanza, faccia a terra e con le membra irrigidite, il volto livido e gli occhi sbarrati
spaventosamente, giaceva immoto il giovane Pierre B.; al collo aveva le impronte profonde di
cinque dita. Il rapporto del dottor Bourdeau, chiamato d’urgenza, dice che l’aggressore
doveva essere straordinariamente forte e che la sua mano doveva essere molto magra e
muscolosa, in quanto le dita hanno lasciato sul collo della vittima come cinque buchi 

105 di pallottole riuniti tra loro attraverso la carne. Nessuna traccia dell’autore del delitto. La
giustizia indaga.

L’indomani sullo stesso giornale si leggeva:


Il signor Pierre B., la vittima dell’aggressione di cui abbiamo dato notizia ieri, ha ripreso
conoscenza dopo due ore di assidue cure prodigategli dal dottor Bourdeau. È fuori pericolo, 

110 ma si nutrono serie preoccupazioni per il suo stato mentale. Nessuna traccia del
colpevole.


Infatti il mio povero amico era impazzito; per sette mesi andai a visitarlo quasi
ogni giorno nella casa di cura in cui l’avevano ricoverato, ma non riacquistò un
barlume di ragione. Nel delirio pronunciava parole senza senso e, come tutti i 

115 dementi, era ossessionato da un’idea fissa, credendosi continuamente assalito da
un fantasma.

Un giorno vennero a cercarmi d’urgenza dicendomi che era peggiorato. Lo trovai
in agonia. Per un paio d’ore rimase molto calmo, poi improvvisamente s’alzò dal
letto, nonostante i nostri sforzi per trattenerlo. In preda al terrore gridava: «Prendila, 

120 prendila! Mi strozza, aiuto! aiuto!». Fece per due volte il giro della camera urlando,
poi cadde morto, la faccia a terra.

Poiché era orfano, fui incaricato io di accompagnare la salma al piccolo cimitero
di P. in Normandia, ove erano sepolti anche i suoi genitori. Veniva proprio da questo
paesino la sera in cui ci aveva trovato a bere il punch in casa di Louis R. e ci aveva 

125 mostrato la mano scorticata.

Il suo corpo fu chiuso in una bara di piombo. Quattro giorni dopo io ero andato
a fare una triste passeggiata, insieme al vecchio curato del posto che era stato il
primo insegnante del mio amico, nel piccolo cimitero ove gli stavano scavando la 

fossa.

130 Il tempo era magnifico, il cielo d’un azzurro intenso spandeva a profusione la
luce; gli uccelli cantavano nei rovi delle scarpate là dove tante volte, quando eravamo
entrambi bambini, eravamo venuti a cercare le more.

Mi pareva di vederlo ancora intrufolarsi lungo la siepe e passare attraverso un
varco che conoscevo bene, laggiù proprio in fondo al terreno in cui vengono sotterrati 

135 i poveri. Poi tornavamo alle nostre case, con le guance e le labbra annerite dal
succo dei frutti che avevamo mangiato.

Guardavo le macchie: erano piene di more; ne presi una, macchinalmente, e me
la misi in bocca. Il curato aveva aperto il breviario e borbottava con un fil di voce
i suoi: «Oremus».15 Udivo in fondo al viale il rumore della vanga dei becchini che 

140 stavano scavando la fossa.

A un tratto ci chiamarono, il curato chiuse il suo libro e andammo a vedere cosa
volevano. Avevano trovato una bara proprio in quel tratto di terreno. Con una picconata
riuscirono a sollevare il coperchio e vedemmo uno scheletro smisuratamente
lungo, coricato sul dorso: pareva che ci guardasse ancora coi suoi occhi infossati e 

145 ci sfidasse.

Senza un motivo apparente, provai una forte sensazione di malessere, ebbi quasi
paura.

«Guardate», esclamò uno dei becchini, «guardate questo birbaccione ha una
mano mozza, eccola qui la mano». E raccolse, a fianco del corpo, una grande mano 

150 scorticata che ci mostrò.

Commentò allora l’altro: «Attento, si direbbe che ti guardi. Adesso ti salterà alla
gola perché rivuole indietro la mano che gli hai preso!».

Intervenne il curato: «Andiamo, amici miei. Lasciate in pace i morti e richiudete
quella cassa; scaverete da un’altra parte la fossa per il povero signor Pierre».

155 Il giorno dopo tutto era finito e io me ne tornai a Parigi, dopo aver lasciato cinquanta
franchi al vecchio curato perché dicesse qualche messa per l’anima di colui
al quale avevamo turbato l’eterno riposo.


Guy de Maupassant, Le Horla e altri racconti dell’orrore, trad. di L. Chiavarelli, Newton Compton, Milano 1994

 >> pagina 263 

a TU per TU con il testo

La visione di un cadavere suscita sentimenti contrastanti. Guardare o non guardare quel povero mucchietto di ossa, carne e peli che forse fu un coniglio, scorto sul ciglio della strada dall’auto in corsa? Capita che la repulsione istintiva lasci il posto a una forza invincibile che ti fa alzare lo sguardo. È il fascino sinistro della morte, tanto più terribile al cospetto delle spoglie dei nostri simili. Come tanti scrittori e artisti prima di lui, Maupassant sfrutta questo magnetismo, e dedica alla mano scorticata di uno sconosciuto la più lunga descrizione del racconto, soffermandosi sulla carne raggrinzita, i tendini ben visibili, le unghie gialle. Una reliquia che conosceva bene, visto che per anni tenne nella sua stanza una mano simile, usandola come soprammobile, senza riguardi per il raccapriccio degli ospiti. Altro che i teschi sulle magliette, o i tatuaggi con scheletri mostruosi…

Analisi

In apertura Maupassant delinea una situazione tranquilla: alcuni giovani, che stanno trascorrendo una piacevole serata tra chiacchiere e punch, si vedono piombare fra i piedi Pierre, un amico appena giunto dalla Normandia che estrae con disinvoltura un’orribile sorpresa: una mano scorticata, appena acquistata. L’effetto dell’apparizione del macabro oggetto è fortemente amplificato dal contrasto con l’atmosfera sino ad allora rilassata.

Il narratore attribuisce senza esitazioni la mano a un delinquente (lo si capiva immediatamente, a un miglio di distanza, r. 17). Maupassant porta così all’assurdo l’abitudine di correlare aspetto e tendenze del comportamento, molto diffusa nel secondo Ottocento. Uno studioso italiano, Cesare Lombroso (1835-1909), sviluppò addirittura una scienza, chiamata antropometria criminale, nella convinzione che fosse possibile determinare la predisposizione al delitto a partire dalla rilevazione di tratti somatici abnormi. Nel racconto di Pierre le leggende sull’uomo cui era appartenuta la mano scivolano nel fantastico e nell’iperbole: si sarebbe trattato di un ladro, più volte assassino, capace di bruciare venti frati in un convento e trasformare un monastero in una specie di harem (rr. 27-28). Pierre, scettico e indifferente come la maggior parte degli amici, intende destinare quella mano così feroce all’umiliante funzione di maniglia del campanello per spaventare i creditori (rr. 30-31).

 >> pagina 264 

Per assicurarsi il coinvolgimento del lettore, Maupassant impone alla narrazione un rapido crescendo, concentrando il tempo della vicenda, che conosce una tragica accelerazione: alla serata con gli amici succede una notte movimentata, nel corso della quale Pierre subisce una misteriosa aggressione. Non muore, ma perde il lume della ragione e viene internato in una casa di cura, dove sette mesi più tardi si spegne.

Fondamentale, ai fini della suspense, è inoltre la scelta di affidare il racconto a un amico del malcapitato Pierre: un giovane che lo conosce sin dall’infanzia e che si limita a registrare i fatti inspiegabili cui assiste, delegando ai giornali la ricostruzione del tentativo di omicidio, su cui indaga la polizia. Ma il racconto non si concentra sulle indagini e dunque non scivola verso il giallo. L’attenzione è sempre ossessivamente catturata dalla mano, che viene spostata nella camera da letto di Pierre, là ritrovato con i segni profondi di cinque dita nel collo, come cinque buchi di pallottole (rr. 104-105), secondo il parere del medico legale. Il narratore non elabora nessi, anzi attribuisce la scomparsa della mano dalla stanza alla volontà di non impressionare i presenti. Inoltre non commenta né l’ambigua frase Prendila (r. 119), che ripete Pierre ormai impazzito, né il suono disperato del campanello (r. 94) che terrorizza il domestico: quel campanello che doveva ricordare la morte e forse ne è diventato la causa. Spetta al lettore decidere se assegnare una spiegazione sovrannaturale agli eventi.

La conclusione del racconto si ricollega all’inizio. Pierre torna da cadavere al paesino normanno da cui proveniva la sera in cui si era presentato con la mano scorticata. Là cominciano e là finiscono le sue disgrazie. Allo spazio dell’avvio, notturno e statico, chiuso e affollato, risponde una passeggiata a due in campagna. Una splendida giornata fa da cornice a una sequenza in cui l’elemento funebre e il grottesco si intrecciano. Viene scoperta infatti una bara con uno scheletro, accanto al quale giace una mano scorticata. Un becchino la raccoglie, mentre l’altro allegramente lo invita a stare in guardia: Adesso ti salterà alla gola perché rivuole indietro la mano che gli hai preso! (rr. 151-152). Riecheggia così la battuta inascoltata dell’amico che invitava Pierre a sotterrare una mano dalle pessime abitudini: Conosci, no?, il proverbio: “Chi ha ucciso, ucciderà ancora” (rr. 38-39). E ancora una volta il narratore evita commenti. Meglio tornare a Parigi, dopo aver lasciato al curato il denaro per dire messa a beneficio dell’anima di colui al quale avevamo turbato l’eterno riposo (rr. 156-157). Non si sa mai.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Il narratore e il protagonista sono

  • A amici di lunga data. 
    B fratelli. 
  • C colleghi di lavoro. 
  • D semplici conoscenti. 


2. Che cosa intende fare Pierre con la mano scorticata?


3. Quali sono i segni della pazzia di Pierre? (sono possibili più risposte)

  • A Gli occhi sbarrati. 
    B Il segno delle cinque dita sul collo. 
  • C I capelli sono diventati bianchi. 
  • D Dice di vedere la mano. 
  • E Crede di essere assalito da un fantasma. 
  • F Delira e pronuncia parole senza senso.

 >> pagina 265 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. È possibile affermare che in questo testo Maupassant ha utilizzato la tecnica del racconto nel racconto? Perché?


5. Nel gruppetto di amici riuniti per bere, le reazioni di fronte alla mano scorticata sono molto diverse: associa a ognuno dei personaggi gli aggettivi che meglio lo descrivono, riportando la lettera corrispondente.


a) razionale; b) eccitato; c) mordace; d) superstizioso; e) indifferente; f) impaurito; g) goliardico; h) spavaldo


Pierre                                                                                                                        

Henry Smith                                                                                                           

Lo studente di medicina                                                                                      

Louis R.                                                                                                                     


6. Nella parte conclusiva del racconto (rr. 141 e sgg.), l’autore sembrerebbe voler suggerire al lettore una spiegazione sovrannaturale degli eventi narrati. Qual è l’elemento che contribuisce a farci optare per questa interpretazione?

COMPETENZE LINGUISTICHE

7. Lessico. Le frasi fatte. Nel racconto sono presenti diverse frasi fatte, di uso piuttosto comune e colloquiale. Sapresti spiegarne con precisione il significato?


a) Buttare giù d’un fiato

b) Levare di mezzo

c) Girare sui tacchi

d) Risvegliarsi di soprassalto

e) Saltar giù dal letto

f) Un barlume di ragione

g) Spandere a profusione


8. Lessico. Le parole straniere. Il nostro lessico è ricco di forestierismi (o prestititi linguistici), parole o locuzioni che appartengono ad altre lingue e che ormai sono diventate di uso comune nella nostra (p. es. chalet, match, baby sitter, ecc.). Harem (r. 28) è una di queste; sai che cosa significa? E da quale lingua proviene?

Scrivere correttamente

9. Discorso diretto e indiretto. … ti salterà alla gola perché rivuole indietro la mano che gli hai preso (rr. 151-152): riscrivi questa frase in forma di discorso diretto (“L’altro disse che …”).

PRODURRE

10. Scrivere per persuadere. Convinci Pierre a disfarsi della mano scorticata adducendo (massimo 15 righe per ciascuno):


a) motivazioni igienico-sanitarie;

b) motivazioni superstiziose e/o religiose;

c) motivazioni estetiche.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Sei un amante di storie e film dell’orrore? Perché?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
Narrativa