T4 - Il gatto nero (E.A. Poe)

T4

Edgar Allan Poe

Il gatto nero

  • Titolo originale The Black Cat, 1843
  • Lingua originale inglese
  • racconto horror
L’autore

Edgar Allan Poe nasce nel 1809 a Boston, negli Stati Uniti, da una coppia di attori girovaghi. Rimasto orfano in tenera età, è accolto nella casa di un ricco commerciante. Si iscrive all’università della Virginia, ma il demone del gioco d’azzardo lo costringe a contrarre pesanti debiti e ad abbandonare gli studi. Allontanato dal padre adottivo, che ne biasima la condotta, prova a iscriversi all’Accademia militare, ma presto viene espulso per insubordinazione. Sposatosi nel 1836 con una cugina adolescente, si trasferisce in cerca di fortuna a New York, dove lavora nel campo del giornalismo. Inizia a dedicarsi anche alla narrativa, con il romanzo Le avventure di Gordon Pym (1838) e con numerosi racconti, nei quali costruisce storie magistrali sospese fra incubo, fantastico e orrore. Il poemetto Il corvo (1844) gli dà grande notorietà, ma intanto le difficoltà economiche e la perdita della moglie, uccisa dalla tubercolosi, lo fanno cadere in una profonda depressione. Malato e ridotto alla miseria, muore alcolista nel 1849, a soli quarant’anni.

Un uomo tranquillo si sposa e prende un gatto con sé. Niente di più normale. Ma con il passare degli anni il veleno dell’alcol incrina la sua serenità. I rapporti con la moglie peggiorano. L’animale, un tempo amatissimo, fa una brutta fine. È il primo gradino sulla scala che condurrà l’uomo al più orrendo dei delitti. E sarà proprio un gatto a punirlo.

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Audiolettura

Per il più folle e insieme più semplice racconto che mi accingo a scrivere, non mi
aspetto né sollecito credito alcuno.1 Sarei matto ad aspettarmelo in un caso in cui i
miei stessi sensi respingono quanto hanno direttamente sperimentato. Matto non
sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi 

5      l’anima. Il mio scopo immediato è quello di esporre al mondo pianamente e succintamente
una serie di semplici eventi domestici, senza commentarli. Le loro conseguenze
mi hanno terrorizzato, torturato, distrutto, ma non tenterò di spiegarli.
Per me hanno significato nient’altro che orrore, ma per molti sembreranno meno
terribili che barocchi.2 Si potrà, forse, trovare qualche intelletto che ridurrà il mio 

10    fantasma ad un luogo comune – qualche intelletto più calmo, più logico e molto
meno eccitabile del mio che possa cogliere nelle circostanze che io evoco con timore,
nient’altro che una normale successione di cause ed effetti naturalissimi.

Fin dall’infanzia ero noto per la docilità e l’umanità del mio carattere. Ero così
tenero di cuore da diventare quasi lo zimbello3 dei miei compagni. Ero praticamente 

15    affezionato agli animali e i miei genitori mi concedevano di tenere una grande
quantità di animaletti domestici. Con essi passavo gran parte del mio tempo e niente
mi rendeva più felice del nutrire e carezzare le bestiole. Questa mia tendenza crebbe
con gli anni ed anche quando divenni adulto trassi da essi il massimo diletto.
Tutti coloro che hanno provato affetto per un cane fedele e intelligente comprendono 

20    facilmente la natura e l’intensità del piacere che se ne può trarre. C’è qualcosa,
nell’amore disinteressato e capace di sacrifici di una bestiola, che va direttamente al
cuore di chi ha avuto frequenti occasioni di mettere alla prova la gretta amicizia e
l’evanescente fedeltà del semplice uomo.

Mi sposai presto e fui felice di trovare in mia moglie una disposizione4 analoga 

25    alla mia. Avendo notato la mia passione per gli animali domestici, non tralasciò
occasione per procurarmene delle specie più gradevoli. Avevamo uccelli, pesci rossi,
un grazioso cane, dei conigli, una scimmietta e un gatto.

Quest’ultimo era un animale grande e molto bello, tutto nero, e intelligente al
massimo grado. Parlando della sua intelligenza mia moglie, non aliena da una certa 

30    superstizione, faceva frequenti allusioni all’antica credenza popolare che vedeva i
gatti neri come delle streghe travestite. Non che fosse una cosa seria per lei; del resto
io ne parlo solo perché proprio ora me ne sono ricordato.

Plutone – questo è il nome del gatto – era il mio animale preferito ed il mio
compagno di giochi. Solo io gli davo da mangiare, mi aspettava quando tornavo a 

35    casa e a fatica potevo impedire che mi seguisse nella strada.

La nostra amicizia durò così per molti anni, durante i quali il mio carattere ed i
miei modi, per l’azione di una diabolica intemperanza subirono (arrossisco nel dirlo)
una radicale trasformazione in peggio. Divenni giorno dopo giorno più strambo,
irritabile, meno rispettoso dei sentimenti altrui. Mi permisi di usare un linguaggio 

40    irriguardoso5 con mia moglie; alla fine arrivai con lei alla violenza. Le mie bestiole
sentirono senz’altro il cambiamento dei miei modi. Non solo li trascuravo, ma li
maltrattavo. Per Plutone, tuttavia, avevo ancora un certo riguardo che mi impediva
di maltrattarlo, mentre non mi facevo scrupolo a maltrattare i conigli, la scimmietta
e perfino il cane, quando per caso o per affetto attraversava la mia strada. Ma il mio 

45    malessere cresceva – che razza di malattia è l’Alcool!6 – ed alla fine anche Plutone,
ora divenuto vecchio e conseguentemente un po’ irritabile – persino Plutone, cominciò
a provare gli effetti del peggioramento del mio carattere.

Una notte, tornando a casa ubriaco fradicio, da uno dei miei soliti giri per le bettole
della città, mi sembrò che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e quello, 

50    impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla mano. La
furia di un demonio si impossessò di me rendendomi irriconoscibile perfino a me
stesso. Mi sembrò che la mia anima originale fosse volata via dal mio corpo ed una
cattiveria feroce, alimentata dal gin,7 invase tutte le fibre del mio corpo. Presi dalla
tasca un temperino,8 lo aprii, strinsi la povera bestiola alla gola e deliberatamente gli 

55    cavai un occhio dall’orbita! Arrossisco, brucio, rabbrividisco nello scrivere di questa
dannata atrocità.

Quando mi tornò la ragione al mattino – sbolliti nel sonno i fumi dell’orgia
notturna – provai un senso per metà di orrore e per metà di rimorso per il crimine
che avevo commesso; ma fu solo un sentimento superficiale ed equivoco, l’anima 

60    non ne fu toccata. Mi tuffai di nuovo negli eccessi ed affogai nel vino tutti i ricordi
del fatto.

Frattanto il gatto lentamente si era ripreso; l’orbita vuota dell’occhio aveva un
aspetto pauroso, ma sembrava che egli non sentisse più dolore. Girava come sempre
per casa ma, come era facile attendersi, filava via atterrito appena mi avvicinavo. 

65    Mi era rimasto abbastanza del mio vecchio cuore da provare un certo dolore per
l’evidente antipatia da parte della creatura che una volta mi aveva amato. Questo
sentimento si trasformò presto in irritazione e infine, come un irrevocabile ribaltamento,
comparve lo spirito della PERVERSITÀ. Di quello spirito la filosofia non
tiene conto; ma io non sono tanto sicuro dell’esistenza della mia anima, quanto lo 

70    sono del fatto che questa forma di malvagità perversa è uno degli impulsi primordiali
del cuore umano – una di quelle inscindibili facoltà primarie, o sentimenti,
che governano il carattere dell’Uomo. Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere
un’azione vile o stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva
farlo? Non abbiamo forse una perpetua inclinazione a violare, a dispetto dei nostri 

75    migliori intendimenti,9 quella che è la Legge, soltanto perché comprendiamo che di
questa si tratta? Questo spirito di perversità causò la mia completa rovina. Fu questa
insondabile10 propensione dell’anima a torturare se stessa – a fare violenza alla propria
natura – a compiere il male per il piacere di farlo – che mi spinse a continuare
e portare a termine l’offesa che avevo inflitto all’inoffensiva bestiola. Una mattina, a 

80    sangue freddo, feci scorrere un cappio intorno al suo collo e l’impiccai al ramo di un
albero; l’impiccai mentre le lacrime mi cadevano dagli occhi ed il più atroce rimorso
tormentava il mio cuore. L’impiccai perché sapevo che mi aveva amato e perché non
mi aveva dato alcun motivo di sentirmi offeso – l’impiccai perché sapevo che così
facendo commettevo un peccato – un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo 

85    la mia anima immortale così da porla – se ciò fosse possibile – al di fuori persino
dalla portata della infinita misericordia del Dio Più Misericordioso e Terribile.

Nella notte che seguì al giorno in cui avevo compiuto quella crudele azione, fui
svegliato dal grido “Al fuoco”. Le cortine11 del mio letto erano in fiamme, l’intera
casa bruciava. Con grande difficoltà mia moglie, una serva e io stesso riuscimmo a 

90    sfuggire all’incendio. La distruzione fu così completa che tutto il mio patrimonio
venne divorato dalle fiamme e da allora mi ritrovai ridotto alla disperazione.

Non ho la debolezza di cercare di stabilire un nesso di causa ed effetto, tra il disastro
e le atrocità commesse, ma sto descrivendo una sequela di fatti e non voglio
tralasciare alcun legame tra di loro. Il giorno successivo all’incendio andai a vedere 

95    le rovine. Le pareti, con una sola eccezione, erano crollate. L’eccezione era costituita
da una parete divisoria, posta all’incirca al centro della casa, contro la quale prima
dell’incendio era stata appoggiata la testa del mio letto. L’intonaco aveva qui resistito,
in larga misura, all’azione del fuoco – un fatto che attribuii alla circostanza
che era stato rifatto da poco. Di fronte a questa parete si era radunata una densa 

100 folla e molte persone sembrava stessero esaminando con grande attenzione una
particolare zona di essa. Le parole “Strano!” “Singolare!” ed altre espressioni simili
eccitarono la mia curiosità. Mi avvicinai e vidi, come scolpita in bassorilievo sulla
parete bianca la figura di un gigantesco gatto. L’immagine era di una esattezza sorprendente.
Attorno al collo dell’animale c’era una corda.

105 Quando vidi la prima volta questa apparizione – non posso classificarla diversamente
– la mia meraviglia e il mio terrore furono enormi; ma successivamente la
riflessione mi venne in aiuto. Ricordai che il gatto era stato impiccato in un giardino
adiacente alla casa. Dopo l’allarme per l’incendio, quel giardino si era immediatamente
riempito di folla – qualcuno doveva aver staccato l’animale dall’albero e 

110 averlo lanciato, attraverso una finestra aperta, dentro la mia camera. Questo gesto
era stato compiuto probabilmente con l’intento di svegliarmi. La caduta delle altre
pareti aveva compresso la vittima della mia crudeltà dentro l’intonaco ancora fresco,
la cui calce con le fiamme e l’ammoniaca della carcassa,12 aveva poi composto
l’immagine come la vedevo.

115 Sebbene io spiegassi così alla ragione, se non completamente alla coscienza, l’evento
che ho illustrato, esso non mancò di impressionare profondamente la mia
fantasia. Per mesi non riuscii a liberarmi del fantasma del gatto e durante tale periodo
affiorò nel mio animo un mezzo sentimento che sembrava ma non era rimorso.
Arrivai a dolermi a tal punto della perdita dell’animale da mettermi a cercare, nei 

120 ritrovi malfamati che ora frequentavo abitualmente, un’altra bestiola della stessa
specie ed in qualche modo simile all’aspetto, in grado di prendere il posto.

Una notte, mentre giacevo in una taverna più che malfamata, mezzo intontito,
la mia attenzione fu attratta all’improvviso da qualcosa di nero che riposava sulla
sommità di una delle enormi botti di gin e di rum,13 che costituivano l’arredamento 

125 principale del locale. Stavo guardando da molto tempo e, con mia sorpresa, non
riuscivo a capire di che cosa si trattasse. Mi avvicinai a toccarlo con la mano. Si
trattava di un gattone nero, della stessa taglia di Plutone, somigliante a lui sotto
ogni aspetto, ad eccezione di uno. Plutone non aveva un solo pelo bianco in tutto il
mantello, mentre questo gatto aveva una macchia bianca di contorno indefinito che 

130 gli copriva quasi interamente il petto.

Appena lo ebbi toccato, si alzò immediatamente, fece le fusa, si strofinò alla mia
mano, felice del mio interessamento. Era proprio la creatura che stavo cercando,
quindi proposi al padrone del locale di comprarlo: ma questi non ne rivendicò il
possesso – non lo conosceva affatto – non l’aveva mai visto prima. Continuai ad 

135 accarezzarlo e quando mi apprestai a tornare a casa, l’animale mostrò l’intenzione
di accompagnarmi, glielo permisi ed ogni tanto lungo la via mi mettevo ad accarezzarlo.
Quando giunse a casa si trovò subito a suo agio e divenne immediatamente il
beniamino di mia moglie.

Da parte mia, invece, sentii subito sorgere dentro di me una cupa antipatia per 

140 l’animale. Era proprio il contrario di quello che avevo previsto, ma – non so come
e perché – la sua evidente predilezione per me, mi procurava piuttosto fastidio e disgusto.
Poi, piano piano, l’avversione ed il fastidio sfociarono nell’amarezza dell’odio.
Evitavo l’animale, ma un certo senso di vergogna e il ricordo del mio precedente
atto di crudeltà, mi impedivano di maltrattarlo. Per molte settimane non lo picchiai 

145 né gli usai altre forme di violenza ma, gradualmente, arrivai a guardarlo con insopprimibile
ripugnanza14 e a sfuggire la sua odiosa presenza come la peste.

Quello che, senza dubbio, aumentò il mio odio per la bestia, fu la scoperta, fatta
il mattino dopo il suo arrivo in casa, che anche lui era privo di un occhio come
Plutone. Questa circostanza lo rese, invece, più caro a mia moglie, che, come ho già 

150 detto, possedeva in alto grado quell’umanità di sentimenti che una volta erano una
mia peculiare caratteristica nonché la fonte dei miei più semplici e più puri piaceri.

Ma la predilezione del gatto nei miei confronti sembrava crescere con la mia avversione.
Seguiva ogni mio passo con una tenacia che è difficile far comprendere al
lettore. Quando sedevo, si accucciava sotto la mia sedia o saltava sulle mie ginocchia 

155 coprendomi di odiose moine.15 Se mi alzavo, mi si metteva tra i piedi a rischio di farmi
cadere o piantava i suoi lunghi aguzzi artigli nelle mie vesti per arrampicarmisi sul
petto. Mi veniva allora voglia di distruggerlo con un colpo, ma mi tratteneva dal farlo
il ricordo del mio precedente delitto e ancor di più – lasciatemelo confessare – il cieco
terrore che mi ispirava la bestia.

160 Non era esattamente un terrore fisico, anche se ho difficoltà a definirlo diversamente.
Quasi mi vergogno a confessare – sì anche in questa cella di delinquenti, quasi mi
vergogno a confessare – che il terrore e l’orrore che l’animale mi ispirava è stato alimentato
da una specie di chimera tra le più difficili da concepire. Mia moglie aveva richiamato
la mia attenzione, più di una volta, sulla conformazione della macchia bianca, 

165 della quale vi ho parlato, e che costituiva la sola visibile differenza tra questa strana
bestia e quella che avevo distrutto. Il lettore ricorderà che questa macchia era sì grande,
ma aveva originariamente contorni indefiniti. Ora a grado a grado, quasi impercettibilmente,
anche se la mia ragione si sforzava di respingere la cosa come assolutamente
fantastica, la macchia aveva finito per assumere una forma ben precisa e distinta. Essa 

170 era la precisa rappresentazione di un oggetto che rabbrividisco solo a nominare – e per
questo, soprattutto, avevo ripugnanza e paura del mostro, del quale avrei voluto liberarmi
se ne avessi avuto il coraggio – era adesso, dico, l’immagine di una cosa orribile,
spaventosa, la FORCA16 – oh! la lugubre, terribile macchina dell’Orrore e dei Crimini,
dell’Agonia e della Morte!

175 E ora io ero veramente misero al di là della peggiore miseria dell’Umanità. Una
bestia bruta – quella della quale avevo sprezzantemente distrutto il compagno – una
bestia bruta causava in me – a me, uomo creato a immagine e somiglianza d’Iddio – un
così insopportabile dolore! Ahimè! Né di giorno, né di notte ebbi più il conforto del
riposo! Durante il giorno la creatura non mi lasciava solo un istante, e durante la notte, 

180 ad ogni ora, mi destavo da sogni di inesprimibile orrore, per trovarmi il fiato caldo della
cosa sul volto ed il suo enorme peso – come di un fantasma notturno incarnato che
non ero in grado di scrollare via – eternamente incombente nel cuore.

Sotto la pressione di tali tormenti, quel poco di buono che c’era ancora in me scomparve
del tutto. Pensieri malvagi, i più neri e i più malvagi dei pensieri, divennero i miei 

185 soli padroni. La rudezza17 abituale del mio carattere divenne odio per tutte le cose, per
tutta l’umanità, così che degli improvvisi, frequenti e incontrollabili scoppi di furia
alla quale ciecamente mi abbandonavo, divenne vittima sempre più frequentemente,
ahimè! la mia povera moglie, che, paziente, sopportava tutto senza lamenti.

Un giorno ella mi accompagnò, per una qualche faccenda domestica da sbrigare, 

190 nella cantina del vecchio edificio nel quale la nostra povertà ci costringeva ad abitare ed
il gatto, seguendomi giù per la scala, mi fece quasi ruzzolare18 a capofitto, irritandomi
fino all’esasperazione. Afferrata un’ascia, dimenticando, nella mia furia, la paura infantile
che aveva sempre trattenuto la mia mano, vibrai all’animale un colpo che, se fosse
disceso su di lui come volevo, sarebbe stato mortale. Ma il colpo venne fermato 

195 dalla mano di mia moglie. Il suo intervento mi trascinò in una furia ancora
più demoniaca; svincolai il braccio dalla sua stretta e le affondai la scure nel
cervello. Ella cadde senza vita sul posto senza emettere un lamento.

Compiuto l’orrendo delitto, mi accinsi con grande determinazione al
compito di nascondere il corpo. Sapevo di non poterlo rimuovere dall’edificio, né 

200 di giorno né di notte, senza correre il rischio di essere scorto dai vicini. Mi vennero
in mente tanti progetti. Per un momento pensai di tagliare il corpo in tanti pezzi e
di distruggerlo con il fuoco, poi di scavare una fossa nel pavimento e seppellirvelo,
camuffandola come se contenesse della merce e incaricando poi un facchino di
portarla via. Infine scelsi quello che mi sembrò l’espediente migliore tra tutti quelli 

205 pensati. Decisi di murare il cadavere in una parete della cantina, come si legge facessero
i monaci del Medio-Evo con le loro vittime.

La cantina sembrava particolarmente adatta a tale scopo. Le sue pareti erano state
costruite alla buona e intonacate da poco con una malta19 grossolana che non si era
indurita per effetto dell’umidità dell’ambiente. Inoltre in una delle pareti c’era una 

210 sporgenza dovuta forse a un falso caminetto o focolare, che era poi stato riempito e
reso somigliante al resto della cantina. Non avevo dubbi di poter estrarre facilmente
i mattoni, inserire il cadavere, e murare di nuovo in modo che nessuno potesse mai
scoprire qualcosa di sospetto. Non avevo sbagliato i calcoli. Rimossi con una leva i
mattoni, deposi poi con cura il corpo puntellandolo contro la parete interna e con 

215 poca fatica ricostruii la struttura del muro tale e quale era prima. Mi procurai calce
e sabbia e con ogni possibile precauzione preparai un intonaco che non poteva assolutamente
essere distinto dal vecchio e lo distesi con ogni cura sulla nuova parete
di mattoni. Alla fine fui molto soddisfatto del lavoro. Tutto quadrava, la parete non
presentava la minima traccia di manomissione.20 Asportai con la massima attenzione 

220 tutti i detriti dal pavimento e mi guardai intorno trionfante, dicendomi: “Qui
almeno il mio lavoro non è stato inutile”.

Il mio successivo atto fu quello di ricercare la bestia che era stata causa di tanto
grave sciagura, perché avevo deciso di metterla a morte. Se ci fossi riuscito in quel
momento, non vi sarebbe stato alcun dubbio sulla sua sorte; e invece l’astuto animale, 

225 allarmato dalla violenza della mia collera, evitò di comparirmi davanti. È impossibile
descrivere il profondo senso di sollievo che mi pervase per l’assenza della
odiata creatura. Non si fece vivo neanche durante la notte e quindi almeno per una
volta, da quando si era introdotto in casa mia, dormii profondamente e tranquillamente;
sì, dormii perfino col peso del delitto sulla coscienza!

230 Passarono il secondo e il terzo giorno senza che il mio tormentatore tornasse.
Respiravo di nuovo come un uomo libero. Il mostro, terrorizzato, era fuggito via
per sempre e non lo avrei più visto! La mia felicità era al culmine! La colpa del mio
tenebroso misfatto non mi turbava più di tanto. Mi avevano rivolto domande alle
quali avevo risposto con disinvoltura. Perfino le indagini avviate, non avevano dato 

235 alcun esito ed io guardavo ormai con sicurezza alla mia futura felicità.

Il quarto giorno dopo l’assassinio, una squadra della polizia irruppe inaspettatamente
nella mia casa per eseguire una rigorosa ispezione. Ciò nonostante mi sentivo
sicuro del nascondiglio scelto e non mostrai il benché minimo imbarazzo. Gli
agenti chiesero che li accompagnassi nella loro ispezione, che non lasciò inesplorato 

240 né un angolo né un cantuccio. Alla fine discesero per la terza o la quarta volta
nella cantina. Non un muscolo mi tremò; il mio cuore batteva calmo come quello
di chi dorme innocente. Passeggiavo su e giù per la cantina, le braccia incrociate sul
petto, aggirandomi qua e là. I poliziotti si mostravano del tutto soddisfatti e si preparavano
ad andarsene. La gioia che mi riempiva il cuore era troppo intensa perché 

245 potessi trattenermela dentro. Bruciavo dal desiderio di dire qualcosa, di trionfare,
ed anche di rendere ancora più marcata la loro convinzione della mia innocenza.

«Signori», dissi alla fine mentre la squadra saliva le scale, «sono lieto di aver dileguato
i vostri sospetti. Vi auguro buona salute ed un po’ più di cortesia. Tra l’altro,
signori, questa – questa è proprio una casa ben costruita». In preda alla voglia matta 

250 di dir qualcosa, non mi rendevo conto di quanto andavo blaterando… «Posso dire
che questa è una casa costruita in modo eccellente. Queste pareti – ve ne andate,
signori? – queste pareti sono costruite solidamente». E qui, in un eccesso di spavalderia,
colpii pesantemente con un bastone che avevo in mano proprio il tratto di
muro dietro il quale era celato il cadavere della sposa del mio cuore.

255 Possa mai21 Iddio proteggermi e liberarmi dalla zanna dell’arcidiavolo! – non si
era ancora spenta l’eco del mio colpo di bastone, che una voce rispose all’interno
della tomba! – con un lamento, dapprima smorzato e rotto, come il pianto di un
bambino, salito poi rapidamente ad un lungo, intenso, continuo urlo, assolutamente
inumano, bestiale, – un ululato – un grido sconvolgente, per metà di orrore 

260 per metà di trionfo, quale avrebbe potuto venire solo dall’inferno, unitamente dalle
gole dei dannati nella loro agonia e dei demoni esultanti nella dannazione.

Di quello che mi passò per la testa, sarebbe assurdo parlare. Sentendomi svenire,
mi appoggiai alla parete opposta. Per un attimo i poliziotti rimasero immobili, in
preda ad una sorta di irrazionale terrore. Subito dopo una dozzina di robuste braccia 

265 presero a demolire la parete, che cadde tutta insieme. Il cadavere, in avanzato
stato di decomposizione, intriso di sangue rappreso, stava eretto davanti agli occhi
degli spettatori. Sulla sua testa, con la rossa bocca spalancata, con l’unico occhio di
fuoco, stava l’orrenda bestia la cui astuzia mi aveva portato al delitto e la cui voce
rivelatrice mi aveva consegnato al boia. Avevo murato il mostro dentro la tomba.


Edgar Allan Poe, Tutti i racconti del mistero, dell’incubo e del terrore, trad. di D. Palladini, Newton Compton, Roma 2014

 >> pagina 272 

a TU per TU con il testo

L’orrore più intenso, quello più difficile da reggere, non nasce dagli sbudellamenti, degni di una macelleria, ai quali troppi scrittori e registi oggi si abbandonano: esplode nel cuore della normalità, spiazzandoci. Tanti di noi, nell’infanzia, si sono affezionati a un animale, che fosse un pesciolino, un coniglio, un cane, o magari un gatto nero come il carbone. Poe parte da quest’esperienza comune per trascinarci in un incubo, per scaraventarci nella mente disturbata di un condannato a morte. Un uomo senza nome, alla deriva, racconta in prima persona la sua storia, delineando la parabola che lo trasforma da ragazzo sereno e persino tenero in sadico alcolizzato, e da ultimo addirittura in un assassino. E tutto questo perché? Quanto contano il gin, il rum, il vino e quanto la “perversità”, il gusto di compiere il male gratuitamente, senza tornaconto, per il piacere di fare soffrire gli altri, che prima o poi ci sfiora? Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere un’azione vile o stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva farlo? (rr. 72-74). La letteratura non ci mette di fronte soltanto agli aspetti più nobili del cuore umano: ci insegna anche a fare i conti con i nostri più bassi istinti. Per questo non possiamo leggere Il gatto nero senza avvertire un brivido.

 >> pagina 274 

Analisi

Il narratore insiste sulla propria salute mentale, cercando di convincere il lettore che non ha a che fare con i deliri di un disperato: Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi l’anima (rr. 3-5). La sua è la confessione di un prigioniero alla vigilia dell’esecuzione: a parlare è un uomo che non ha più nulla da perdere, senza interesse a mentire, voglioso di raccontare e non di salvare la pelle. Tuttavia la sua ossessiva insistenza sulla sincerità è sospetta; inoltre ammette di avere un carattere eccitabile, di aver mentito senza problemi alla polizia, di esser stato preda di fantasmi costruiti dalla sua immaginazione o indotti dai fumi dell’alcol, del quale abusa. Fino a che punto si può credere a chi non è neppure in grado di spiegare le ragioni del proprio comportamento e le cause delle disgrazie che l’hanno colpito?

Lentamente, il tarlo del dubbio si insinua nel lettore, e il racconto scivola verso il fantastico. L’ottica soggettiva offre una visione distorta dell’accaduto. La verità somiglia a un’ombra intravista dietro un vetro smerigliato. Il gatto Plutone (un nome che evoca il dio dei morti nella mitologia antica) da amico affettuoso si trasforma in antagonista: la sua natura demoniaca, in sintonia con la superstizione che vede nel gatto nero un segno di sventura, determina la trasformazione in negativo del narratore, il quale fa di tutto per sbarazzarsene. Dopo l’assassinio di Plutone, la casa prende fuoco; poi, a incendio domato, il profilo del felino barbaramente ucciso compare stampigliato sul muro. Questa e altre coincidenze sorprendenti spingono a diffidare delle astruse spiegazioni fornite dal narratore e a ipotizzare l’intervento di forze soprannaturali.

La suspense nel contempo cresce, perché tutto è già successo, ma non conosciamo nello specifico il delitto che ha determinato la condanna a morte del narratore. Certo non si tratterà dell’uccisione di un secondo gatto, che compare a un certo punto sulla scena (rr. 122 e ss.), incontrato per caso in una taverna e divenuto presto il beniamino della moglie. L’animale, guarda caso, ha una macchia bianca sul petto, nella quale il protagonista riconosce una forca, immagine inquietante che accende, al tempo stesso, un ricordo e una profezia: ricordo perché l’impiccagione è il supplizio che ha fatto patire a Plutone, profezia perché quel segno inquietante prefigura il destino che lo attende.

In breve il secondo gatto si attira il medesimo incontenibile odio già riservato a Plutone. La scena clou del racconto si svolge in un luogo domestico e sinistro al tempo stesso: la cantina, spazio chiuso, degradato e claustrofobico, nel quale la ragione cede il passo agli istinti brutali. Qui, il protagonista, nel tentativo maldestro di colpire il gatto con un’accetta, uccide la moglie, che si frappone per salvare la bestiola. A questo punto il Male dilaga senza ostacoli. Al delitto d’impulso, tratteggiato in poche righe, segue una puntigliosa descrizione dell’occultamento del cadavere, murato in una parete come si legge facessero i monaci del Medio-Evo con le loro vittime (rr. 205-206). Il racconto pare spostarsi verso il giallo, con relativo intervento delle forze dell’ordine, che non riescono a scoprire nulla. Ma un urlo sconvolgente, per metà di orrore per metà di trionfo (rr. 259-260), in extremis riporta in scena il gatto, che appare ritto sul cadavere putrefatto, nelle sue vere e definitive sembianze di “mostro” vendicatore: il suo atroce miagolio rivela la verità taciuta, consegnando l’assassino al boia.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Per quale motivo il carattere del protagonista, a un certo punto, peggiora drasticamente?

  • A Ha dei contrasti con la moglie. 
    B È irritato da Plutone. 
  • C È malato. 
  • D Beve troppo. 


2. Quando il protagonista porta a casa il secondo gatto, che cosa finisce per renderglielo repellente? (sono possibili più risposte)

  • A Il pelo nero come quello di Plutone. 
    B La mancanza di un occhio. 
  • C L’affetto che la moglie prova per il gatto. 
  • D Le moine del gatto. 
  • E La macchia bianca sul petto, che sembra una forca. 


3. Quali sono i motivi per cui il protagonista uccide la moglie?


4. Quali sentimenti prova il protagonista quando si rende conto, passati gli effetti dell’alcol, di aver ferito gravemente il suo gatto?


5. Qual è l’unica parte della casa che resiste alle fiamme dell’incendio?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Il primo passo del protagonista verso il degrado è l’alcolismo: quali sono gli effetti provocati dall’alcol su di lui?


7. Il sentimento del protagonista verso i suoi gatti si trasforma nel tempo: individua nel testo le parole e le espressioni che ti consentono di seguire il degradarsi dell’affetto iniziale.


Nei confronti di Plutone  
Nei confronti del secondo gatto  

8. C’è un punto della narrazione in cui il protagonista definisce con esattezza in che cosa consisteva il suo spirito di perversità. Individua nel testo questo passaggio.


9. Che cosa prova il protagonista quando la polizia irrompe nella sua casa per eseguire un’ispezione?

  • A Imbarazzo. 
    B Paura. 
  • C Indifferenza. 
  • D Concitazione.

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Lessico. Gli avverbi. Qual è il significato dei due avverbi pianamente e succintamente (r. 5)?

  • A Chiaramente e sinteticamente. 
    B Lentamente e chiaramente. 
  • C Sinteticamente e precisamente. 
  • D Precisamente e lentamente. 


11. Pronomi. … l’intensità del piacere che se ne può trarre: la particella pronominale ne è riferita a

  • A Gli anni. 
    B L’affetto. 
  • C La tendenza. 
  • D La natura. 


12. Lessico. I sinonimi e i contrari. Per mostrarci il tormento del protagonista, Poe inserisce spesso, a poca distanza l’uno dall’altro, due termini fra loro contrari, come nella frase un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo la mia anima immortale (rr. 84-85). In molti casi è possibile formare il contrario di un aggettivo o di un verbo anteponendogli un prefisso come in- (con le varianti ortografiche im-, ir-, il-), dis- e s-.

Con l’aiuto del dizionario, completa la tabella.


  in- (im-, ir-, il-) dis- s-
Aggettivi felice/infelice   conosciuto/sconosciuto
Verbi   fare/disfare  

13. Lessico. I suffissi. … carezzare le bestiole (r. 17). Il suffisso -olo/a viene aggiunto ad alcune parole per dare loro un valore diminutivo o vezzeggiativo (in questo caso, bestiole significa “piccoli animali”). In quale delle seguenti parole il suffisso -olo/a non ha questo valore?

  • A Figliolo. 
    B Campagnolo. 
  • C Lacciolo. 
  • D Carriola. 


14. Ortografia. Le parole Orrore, Crimini, Agonia e Morte (rr. 173-174) sono scritte con l’iniziale maiuscola, anche se secondo le regole dell’ortografia italiana (e anche di quella inglese, la lingua originale in cui è scritto il racconto) non ce ne sarebbe bisogno. Qual è, secondo te, il motivo di questa scelta?


15. Morfologia. I maschili e i femminili. … non si era ancora spenta l’eco del mio colpo di bastone (rr. 255-256). Avrai notato dalla concordanza del participio spenta che eco, pur terminando in -o, è di genere femminile. Conosci altri nomi della nostra lingua che sono di genere femminile ma finiscono in -o?

PRODURRE

16. Scrivere per raccontare. La scena dell’ispezione in cantina è raccontata in prima persona, dal punto di vista del protagonista, secondo una delle tecniche tipiche della narrativa fantastica e horror. Se invece il racconto fosse un giallo, la narrazione sarebbe condotta, molto probabilmente, da un narratore esterno con focalizzazione esterna. Prova a riscrivere il passo (da Il quarto giorno dopo l’assassinio, r. 236, alla fine) utilizzando questa seconda tecnica.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

SCIENZE

L’alcolismo è il primo passo del protagonista verso il degrado morale e la follia. Ma quali sono gli effetti, fisici e psicologici, dell’abuso di alcol? Con l’aiuto dell’insegnante di scienze, fai una ricerca in merito.


STORIA

Il gatto era ritenuto dagli Egizi una divinità: fai una breve ricerca sull’importanza di questo felino nella loro civiltà.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Che cosa pensi della riflessione del protagonista sulla perversità? Anche tu ritieni che in tutti gli uomini esista un’innata predisposizione alla malvagità, oppure che essa sia dovuta a fattori esterni?

L’emozione della lettura - edizione gialla - volume A
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Narrativa