2 - Le figure femminili

2 Le figure femminili

Se Livorno è il primo luogo del poeta, quello della sua infanzia, la madre, Anna Picchi, è la prima figura della sua poesia. Nata nel 1894 e impiegata sin da ragazza nel magazzino Cigni (una rinomata casa di moda livornese), è una donna di grande vitalità: ama suonare la chitarra, frequentare i circoli cittadini e ballare. Muore nel 1950 a Palermo, dove viene sepolta, nel cimitero di Sant’Orsola, presso il fiume Oreto.

Nei Versi livornesi – una delle sezioni della raccolta Il seme del piangere – Anna (o Annina) viene ritratta come una creatura solare e piena di vita, capace di trasmettere la propria gioia di vivere a quelli che le sono accanto. «Passava odorando di mare» (Né ombra né sospetto), comunicando agli altri una spinta ad agire: «Che voglia di lavorare / nasceva al suo ancheggiare!» (Quando passava). Ma anche su di lei si stende l’ombra del dolore (legata al vissuto degli anni di guerra) e della morte, generando un sapore dolce-amaro che scongiura la caduta in una celebrazione retorica. Nella lirica Preghiera, per esempio, il poeta si rivolge alla propria anima, chiedendole di andare a Livorno, a cercare la madre scomparsa: «Anima mia, leggera / va’ a Livorno, ti prego […] / perlustra e scruta, e scrivi / se per caso Anna Picchi / è ancor viva tra i vivi».

Le due donne amate – Olga, morta prematuramente, e Rosa, indicata nelle poesie anche con il nome di Rina – si sovrappongono inizialmente nell’immaginario di Caproni, per divergere poi radicalmente, fino a incarnare i due poli opposti di un’antitesi.

Il fantasma della fidanzata defunta lo perseguita a lungo. Nei Sonetti dell’anniversario, confluiti in Cronistoria (1943), è rievocato nel ricordo di una stagione sensuale e illusoria, mentre nel poemetto Le biciclette, pubblicato dapprima nelle Stanze della funicolare (1952) e poi nella raccolta complessiva Il passaggio d’Enea (1956), è velato dal travestimento ariostesco di Alcina e diventa la perturbante icona delle sofferenze del tempo di guerra.

Al contrario, Rina, «dalle iridi grandi e azzurre e così delicatamente silenziose» (Alta Val Trebbia), incarna le gioie e le angustie dell’amore coniugale, sia in tempo di pace sia in guerra, e viene spesso celebrata come il tenace cardine della vita che continua: «Se il mondo prende colore / e vita, lo devo a te, amore» (A Rina, II). Ancora, in un componimento dell’ultima raccolta, Res amissa, così il poeta si rivolge alla moglie, giocando con i suoi due nomi: «Ah rosa sempre in cima / ai miei pensieri… / Mia Rina…» (Per l’onomastico di Rina, battezzata Rosa).

T2

La gente se l’additava

Il seme del piangere

Pubblicata nella sezione Versi livornesi della raccolta Il seme del piangere (1959), la lirica è una commossa rievocazione della figura materna: con pochi, efficacissimi tratti, la giovane Anna Picchi viene raffigurata nel contesto della sua città natale, Livorno.


Metro Canzonetta formata da 2 strofe (rispettivamente di 10 e 9 versi) seguite da un distico conclusivo.

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Audiolettura

Non c’era in tutta Livorno

un’altra di lei più brava

in bianco, o in orlo a giorno.

La gente se l’additava

5       vedendola, e se si voltava

anche lei a salutare,

il petto le si gonfiava

timido, e le si riabbassava,

quieto nel suo tumultuare

10    come il sospiro del mare.


Era una personcina schietta

e un poco fiera (un poco

magra), ma dolce e viva

nei suoi slanci; e priva

15    com’era di vanagloria

ma non di puntiglio, andava

per la maggiore a Livorno

come vorrei che intorno

andassi tu, canzonetta:


20    che sembri scritta per gioco,

e lo sei piangendo: e con fuoco.

 >> pagina 1219

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La madre del poeta è qui rievocata nella sua giovinezza livornese. Prima del ritratto vero e proprio (contenuto nella seconda strofa), la donna è rappresentata in movimento, per le vie della città, attraverso alcune notazioni ossimoriche (il petto le si gonfiava / timido, vv. 7-8; quieto nel suo tumultuare, v. 9), che esprimono il duplice aspetto del suo carattere: una timida modestia che frena un animo acceso e ardimentoso.

Dopo aver fatto cenno all’abilità di Anna nel ricamo (vv. 1-3), il poeta si focalizza sulle sue caratteristiche fisiche e morali: la schiettezza e la fierezza del temperamento (vv. 11-12), la figura esile (un poco / magra, vv. 12-13), ma anche la dolcezza e la vivacità (dolce e viva / nei suoi slanci, vv. 13-14), che confermano una qualità – il carattere deciso – che compariva già nella prima strofa.

Il testo è stato scritto dopo la morte della donna, come se il poeta intendesse farla rivivere con i suoi versi. Lo stesso Caproni ha dichiarato, alcuni anni dopo: «Anna Picchi […] assume il volto che è stata capace di darle la leggenda ch’io m’ero formato di lei, udendo i discorsi in casa e guardando le fotografie. Tentar di far rivivere mia madre come ragazza, mi parve un modo, certo ingenuo, di risarcimento contro le molte sofferenze e contro la morte».

 >> pagina 1220 

Le scelte stilistiche

Il tono colloquiale e l’immediatezza dello stile non impediscono all’autore di strutturare il componimento su precisi riferimenti alla tradizione poetica, in particolare stilnovistica. Il ritratto in movimento di Anna ricorda da vicino quello di Beatrice nel sonetto di Dante Tanto gentile e tanto onesta pare, di cui vengono ripresi alcuni motivi ben identificabili, quali la stupita ammirazione della gente al passaggio della donna (La gente se l’additava, v. 4), il suo salutare (v. 6), l’umiltà priva / […] di vanagloria (vv. 14-15). Inoltre, l’apostrofe alla propria canzonetta (come vorrei che intorno / andassi tu, canzonetta, vv. 18-19), mediante la quale il poeta si rivolge al testo come se fosse una persona animata con cui instaurare un dialogo, ricalca un analogo artificio retorico presente in diversi testi stilnovistici, come la ballata di Guido Cavalcanti Perch’i’ no spero di tornar giammai. Ciò testimonia che il carattere apparentemente spontaneo della poesia di Caproni è sostenuto, in realtà, da un ampio bagaglio di letture e di rimandi letterari, ma è anche la prova della sua «rara capacità di conciliare tradizione colta e quotidiana spontaneità del parlato» (Cucchi).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 A partire dagli elementi forniti dal testo, traccia un ritratto fisico e morale della protagonista.


2 Spiega il significato della seguente espressione: priva / […] di vanagloria / ma non di puntiglio (vv. 14-16).

ANALIZZARE

3 Definisci la misura dei singoli versi del componimento.


4 Evidenzia le rime presenti e spiegane la funzione nella struttura della poesia.


5 Individua gli enjambement presenti nella lirica.

INTERPRETARE

6 Perché l’autore afferma che la sua canzonetta sembra essere stata composta per gioco (v. 20), ma che invece è stata scritta piangendo: e con fuoco (v. 21)?

3 Il viaggio

In una lettera del 1960 Caproni esprime al poeta Carlo Betocchi il desiderio di «una fede più solida, non poetica né intermittente». Sono i primi sintomi della crisi religiosa che si sarebbe manifestata nel tema della discesa al Limbo e dell’incontro con i morti, affrontato con lucido disincanto nei poemetti del (1965).

Da questo punto in poi la poesia di Caproni si sviluppa sempre più nei termini di una profonda meditazione morale e di una serrata riflessione esistenziale. La vita appare al poeta come un viaggio, del quale è necessario individuare i punti di partenza e di arrivo, o meglio il loro significato. L’immagine del viaggio è una metafora quasi ossessiva nella produzione di Caproni, che si ritrova anche nei frequenti riferimenti a spazi tipicamente connessi al viaggiare, come scompartimenti di treno, stazioni ferroviarie, bar, luoghi di una socialità occasionale e precaria.

Ha spiegato il poeta: «Sono metafore, quelle ferroviarie, venutemi da sé. Forse il treno (che non può fermarsi né deviare quando vuole, come l’automobile) potrebbe darci il senso quasi dell’agostiniana predestinazione, in luogo del libero arbitrio». In altre parole, l’immagine del treno restituisce l’idea di un viaggio obbligato (“predestinato”, appunto, come nella visione dell’esistenza umana nel pensiero di sant’Agostino), di cui l’essere umano non è in grado di controllare l’itinerario o il percorso né di decidere le fermate. Ai mezzi di trasporto di cui ci si può servire liberamente (come la bicicletta, pure presente in Caproni) si contrappongono così quelli dal tragitto predeterminato (il treno, appunto, ma anche la funicolare e l’ascensore).

Già nelle Stanze della funicolare (1952), del resto, era evidente il valore allegorico del viaggio sul piano esistenziale, come lo stesso Caproni avrà modo di spiegare anni dopo: le Stanze della funicolare «sono un poco il simbolo, o l’allegoria, della vita umana, vista come inarrestabile viaggio verso la morte. La funicolare del Righi, a Genova, esiste davvero. Il suo primo percorso avviene al buio, in galleria: un buio e una galleria che potrebbero essere interpretati come il ventre materno. Poi, la funicolare sbocca all’aperto (è la nascita), e prosegue sino alla meta, tirata dal suo “cavo inflessibile” (il tempo, il destino), senza potersi fermare. Ogni “stanza” è una stagione differente della nostra esistenza. E di stagione in stagione, il passeggero (l’“utente”) cerca l’attimo bello (ogni stagione ha il suo) dove potersi arrestare: dove poter chiedere un alt nel suo essere trascinato dal tempo (il cavo) inarrestabile, fino all’ultima stazione, che nel poemetto è avvolta nella nebbia (mistero e lenzuolo funebre insieme)».

T3

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee

Il componimento, pubblicato per la prima volta in rivista nel 1960 e poi inserito nella raccolta Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965), sembra quasi il monologo teatrale – questo il significato che l’autore attribuisce al termine “prosopopea” – di un attore prima dell’uscita di scena. Il poeta si accomiata dalla vita e dagli amici che hanno viaggiato con lui, tracciando indirettamente un bilancio della propria esistenza.


Metro 9 strofe di diversa lunghezza, più un verso isolato in chiusura.

 Asset ID: 120879 (let-audlet-congedo-del-viaggiator410.mp3

Audiolettura

Amici, credo che sia

meglio per me cominciare

a tirar giù la valigia.

Anche se non so bene l’ora

5      d’arrivo, e neppure

conosca quali stazioni

precedano la mia,

sicuri segni mi dicono,

da quanto m’è giunto all’orecchio

10    di questi luoghi, ch’io

vi dovrò presto lasciare.


Vogliatemi perdonare

quel po’ di disturbo che reco.

Con voi sono stato lieto

15    dalla partenza, e molto

vi sono grato, credetemi,

per l’ottima compagnia.


Ancora vorrei conversare

a lungo con voi. Ma sia.

20    Il luogo del trasferimento

lo ignoro. Sento

però che vi dovrò ricordare

spesso, nella nuova sede,

mentre il mio occhio già vede

25    dal finestrino, oltre il fumo

umido del nebbione

che ci avvolge, rosso

il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi

30    senza potervi nascondere,

lieve, una costernazione.

Era così bello parlare

insieme, seduti di fronte:

così bello confondere

35    i volti (fumare,

scambiandoci le sigarette),

e tutto quel raccontare

di noi (quell’inventare

facile, nel dire agli altri),

40     fino a poter confessare

quanto, anche messi alle strette,

mai avremmo osato un istante

(per sbaglio) confidare.


(Scusate. È una valigia pesante

45    anche se non contiene gran che:

tanto ch’io mi domando perché

l’ho recata, e quale

aiuto mi potrà dare

poi, quando l’avrò con me.

50    Ma pur la debbo portare,

non fosse che per seguire l’uso.

Lasciatemi, vi prego, passare.

Ecco. Ora ch’essa è

nel corridoio, mi sento

55    più sciolto. Vogliate scusare).


Dicevo, ch’era bello stare

insieme. Chiacchierare.

Abbiamo avuto qualche

diverbio, è naturale.

60    Ci siamo – ed è normale

anche questo – odiati

su più d’un punto, e frenati

soltanto per cortesia.

Ma, cos’importa. Sia

65    come sia, torno

a dirvi, e di cuore, grazie

per l’ottima compagnia.


Congedo a lei, dottore,

e alla sua faconda dottrina.

70    Congedo a te, ragazzina

smilza, e al tuo lieve afrore

di ricreatorio e di prato

sul volto, la cui tinta

mite è sì lieve spinta.

75    Congedo, o militare

(o marinaio! In terra

come in cielo ed in mare)

alla pace e alla guerra.

Ed anche a lei, sacerdote,

80    congedo, che m’ha chiesto s’io

(scherzava!) ho avuto in dote

di credere al vero Dio.


Congedo alla sapienza

e congedo all’amore.

85    Congedo anche alla religione.

Ormai sono a destinazione.


Ora che più forte sento

stridere il freno, vi lascio

davvero, amici. Addio.

90    Di questo, sono certo: io

son giunto alla disperazione

calma, senza sgomento.


Scendo. Buon proseguimento.

 >> pagina 1223

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Il motivo del componimento è il viaggio inteso come metafora della vita. Fin dall’inizio sono infatti visibili chiari e precisi significati simbolici: la frase non so bene l’ora / d’arrivo (vv. 4-5) allude all’incertezza di ciascuno sul momento della propria morte; l’espressione Il luogo del trasferimento / lo ignoro (vv. 20-21) si riferisce ai dubbi sul destino umano dopo la fine della vita terrena; la valigia pesante del v. 44 è il bagaglio di esperienze e vicissitudini che ciascuno porta con sé; e così via.

Anche la conversazione descritta ai vv. 32-43 definisce simbolicamente i rapporti che intratteniamo nel corso della nostra esistenza: un intreccio di momenti di finzione (quell’inventare / facile, nel dire agli altri, vv. 38-39) e di slanci di sincerità (fino a poter confessare / quanto […] mai avremmo osato […] confidare, vv. 40-43), rapporti che comunque non sembrano capaci di rompere del tutto la solitudine di fondo in cui siamo immersi.


1 Riassumi in circa 10 righe il discorso che il viaggiatore rivolge ai suoi compagni di viaggio.


2 Dibattito in classe. Ti sembra efficace l’immagine del viaggio in treno come allegoria della vita umana? E che cosa pensi del congedo del viaggiatore? Confrontati con i compagni.

La situazione sembra assurda e surreale: il viaggiatore deve scendere dal treno, ma non sa esattamente perché (sicuri segni mi dicono, / da quanto m’è giunto all’orecchio / di questi luoghi, ch’io / vi dovrò presto lasciare, vv. 8-11). Anche questa condizione di indefinitezza, tuttavia, possiede un significato simbolico, rimandando all’oscurità che avvolge l’esistenza umana. Il poeta-viaggiatore fatica a staccarsi dalla vita, giacché apprezza la possibilità di intrattenere relazioni con gli altri (Ancora vorrei conversare / a lungo con voi, vv. 18-19), ma sa che è inutile opporsi al destino, al quale finisce così per rassegnarsi (Ma sia, v. 19), in una disperazione / calma, senza sgomento (vv. 91-92).


3 Quale figura retorica è presente nell’espressione disperazione / calma (vv. 91-92)? Come può essere spiegata in relazione allo stato d’animo del poeta?


4 Quali potrebbero essere – sul piano letterale del viaggio e su quello simbolico della vita – i sicuri segni (v. 8) in virtù dei quali il viaggiatore ritiene che presto dovrà lasciare i suoi compagni?

Le scelte stilistiche

Il lessico, adeguato ai modi discorsivi richiesti dalla situazione narrativa delineata – un viaggio in treno –, è colloquiale e a tratti burocratico: sintagmi quali luogo del trasferimento (v. 20) o nuova sede (v. 23), per esempio, appartengono al linguaggio della pubblica amministrazione o dell’esercito. In generale, la lingua si attesta su un livello del tutto convenzionale, come si vede nell’uso di modi di dire piuttosto stereotipati: torno / a dirvi, e di cuore, grazie / per l’ottima compagnia (vv. 65-67); Buon proseguimento (v. 93).

Questo dettato così dimesso determina un sostanziale abbassamento di tono, soprattutto se considerato in relazione alle riflessioni filosofiche contenute nella lirica. Si spiega in questo modo anche la presenza, di norma assai rara in poesia, di elementi fàtici, che stabiliscono cioè un contatto tra il mittente e il destinatario del messaggio: Scusate (v. 44), Vogliate scusare (v. 55), Dicevo (v. 56), Ma, cos’importa (v. 64).


5 In un tessuto lessicale prevalentemente dimesso e colloquiale emergono alcuni vocaboli meno comuni e di uso più dotto. Individuali.


6 Perché tutto il discorso relativo alla valigia (vv. 44- 55) è posto tra parentesi?


7 Individua e distingui, nel testo, le diverse funzioni del congiuntivo: desiderativo, concessivo, esortativo.

 >> pagina 1224 

L’abbassamento di tono si accentua nella seconda parte del testo (dal v. 56 in poi) ed è confermato dall’iterazione – di sapore ironico – del termine congedo, ripetuto per ben sette volte nel corso di due strofe (vv. 68-86). La ripetizione conferisce al testo un ritmo cantabile, quasi da canzonetta, ma ha anche un importante valore semantico: «il poeta “chiede congedo” non solo ai quattro compagni di viaggio che cita, ma anche ai valori che rappresentano – il dottore la sapienza (intesa come conoscenza intellettuale e non come saggezza), la ragazzina l’amore, il marinaio la pace e la guerra e il sacerdote la religione» (Costa).


8 Scrivere per argomentare. Sembra anche a te – come è parso a qualche interprete – che la leggerezza del tono (da canzonetta, appunto) possa rappresentare una reazione all’angoscia e alla disperazione? Motiva la tua risposta in un testo argomentativo di circa 20 righe.

I grandi temi di Caproni

1 I luoghi

poesia strettamente legata ai luoghi in cui ha vissuto l’autore

paesaggi resi in termini concreti e sensoriali

amore per Livorno (città delle origini e dei primi affetti) e per Genova (luogo di formazione e contesto di un’epica della gente comune); “fuga” dalla magniloquenza spiazzante di Roma

2 Le figure femminili

la madre Anna, figura positiva e piena di vita

la fidanzata Olga, prematuramente scomparsa, simbolo di una stagione sensuale ma anche dolorosa

la moglie Rosa (chiamata anche Rina), simbolo delle gioie e delle angustie dell’amore coniugale

3 Il viaggio

viaggio come allegoria della vita

presenza di spazi connessi al viaggiare (scompartimenti di treno, stazioni ferroviarie, bar)

treno e funicolare come simboli di itinerari obbligati, di cui l’uomo non controlla percorso né fermate

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi