«Che cosa è lunga, Efix?»
«La strada... Non s’arriva mai!»
185 Gli sembrava infatti di camminare sempre. Saliva un monte, attraversava una
tanca; ma arrivato al confine di questa ecco un altro monte, un’altra pianura; e in
fondo il mare.
Adesso però camminava tranquillo, e solo gli dispiaceva di non arrivar mai
per sgombrare del suo corpo la casa delle sue padrone: ma un giorno, o una notte
190 – non capiva più che tempo era – gli parve d’esser giunto al muricciuolo del poderetto,
su in alto sul ciglione delle canne, e di sdraiarsi pesantemente sulle pietre.
Le canne frusciavano, piegandosi fino a lui per toccarlo, per lambirlo con le foglie
che avevano qualche cosa di vivo, come dita, come lingue. E gli parlavano, e una
gli pungeva l’orecchio perché sentisse meglio: era un mormorio misterioso che
195 ripeteva il sussurro dei fantasmi della valle, la voce del fiume, il salmodiare dei
pellegrini, il palpito del Molino, il gemito della fisarmonica di Zuannantoni. Egli
ascoltava, aggrappato bocconi ai muricciuolo e da una parte vedeva la cucina delle
sue padrone, dall’altra una distesa nebbiosa come lassù dal Monte Gonare.
Donna Ester saliva dalla valle col viso coperto da un’ala nera; sollevava l’ala,
200 mostrava il suo viso scuro, doloroso, gli occhi velati di pietà, ma si traeva indietro
dal muricciuolo come per paura di cadere; ed ecco altre figure salivano, tutte col
viso nascosto da un’ala nera, e tutte si avvicinavano ma si ritraevano subito spaurite,
spaventate dal pericolo di precipitare al di là.
Efix le riconosceva tutte, queste figure, le sentiva parlare, capiva che erano vive
205 e reali; eppure aveva l’impressione di sognare: erano figure del sogno della vita.
Era il prete, era il Milese, era Zuannantoni, erano le serve di don Predu, e don
Predu stesso e Noemi: a volte qualcuno di loro si faceva coraggio e cercava di aiutarlo,
di trarlo giù dal muricciuolo, senza riuscirvi.
Ed egli cominciò a provare fastidio di loro; volse il viso di là e fissò la valle nebbiosa.
210 Ed ecco la nebbia cominciò a diradarsi; macchie di boschi dorati apparvero
fra squarci di azzurro, e sul ciglione sopra di lui un melagrano come quelli di cui
raccontava il cieco curvò i suoi rami pesanti di frutti rossi spaccati che lasciavano
cadere i loro chicchi di perla.
Ma la gente al di là del muricciuolo non lo lasciava in pace a contemplare tanto
215 bene; egli non si volgeva più, e solo un giorno una mano che si posava sulla sua
spalla e una voce che lo chiamava piano piano all’orecchio lo fecero sobbalzare.
«Efix! Efix!»
Il viso di Giacinto, gli occhi dolci umidi di pietà stavano sopra di lui: fra tante
figure morte quella gli parve ancora la sola viva, tanto viva che le sue mani calde
220 avevano quasi la potenza di tirarlo su, rimetterlo dritto nel mondo di qua.
Ma fu un momento: ecco che si velava anch’essa, perdeva forza, ritornava fantasma;
ed Efix provò dolore, come fosse Giacinto a morire, non lui.
«Efix, su, su! Che fai? Non mi dici niente? Sono venuto per te, sai. Sono qui.
Non volevano lasciarmi entrare ed ho saltato il muro. Su, guardami!»
225 Egli lo guardava, ma non ne vedeva più gli occhi.
«Zia Noemi è scappata come di volo, vedendomi! Proprio non mi perdonerà
mai! Che cosa ti ha raccontato, dimmi? Che non vuol più vedermi, che ha giurato
di non pronunziare più il mio nome? Lo so: ma non importa. Son contento che
si sposi; sai cos’era accaduto, l’ultima volta che venni? Io le dicevo: “Sposatevi, zia
230 Noemi; zio Pietro è ricco, vi ama, vi renderà felice”. Essa mi guardava con disprezzo,
ed io capivo bene che non si sarebbe decisa mai. Allora Efix, senti – parliamo
piano, non stia ad ascoltare – ebbene, ricordai il tuo consiglio. La guardai bene negli
occhi e le dissi: “Zia Noemi, io sposerò Grixenda, perché solo Grixenda, povera
come me, giovane e sola come me, può essere la mia compagna”. Allora Noemi si
235 fece pallida come una morta; ebbi paura e me ne andai. Piangevo; te lo disse? Su,
Efix, tu non mi ascolti. Su! Ecco zia Ester. Non è vero, zia Ester, che Efix finge d’esser
malato per non venire alle nozze mie ed a quelle di zia Noemi per non farci il
regalo? Eppure, dicono, denari ne hai portati, dal tuo viaggio...»