il CARATTERE
La lotta di una donna contro la ruvida faccia del mondo
Una giovinezza non felice
Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, l’arcaica quiete domestica è dominata dalla figura del padre Antonio, verso il quale Grazia dovette avere un importante trasporto, superiore a quello verso la madre, Francesca Cambosu, “angelo del focolare” descritta in Cosima come «melanconica, taciturna, chiusa in un mondo tutto suo», tutta dedita ai figli e alle cose di casa, ma «con una freddezza quasi meccanica», legata per dovere, più che per amore, a «un uomo di venti anni più vecchio di lei, che la circondava di cure, che viveva solo per lei e la famiglia, ma che non poteva darle il piacere e la soddisfazione sensuale dei quali tutte le donne giovani hanno bisogno».
Sempre dalle pagine di Cosima, apprendiamo che la giovinezza della Deledda fu segnata da una ininterrotta catena di sciagure. Il fratello maggiore, Santus, precipita nell’alcolismo sino al delirium tremens. Il secondogenito, Andrea, viene arrestato, anche se per piccoli furti, provocando la morte di crepacuore del padre e la conseguente perdita dell’agiatezza della famiglia. La sorella Giovanna muore di angina in tenera età, e un’altra sorella più grande, Enza, perde la vita a ventun’anni tentando di abortire. Una terza sorella, Beppa, viene invece atrocemente beffata dopo la promessa di fidanzamento fattale da un pretendente “continentale”.
Desiderio di fuga e senso di colpa
In virtù di questa non facile situazione familiare e del clima di generale arretratezza della società isolana del tempo, si comprende facilmente l’anelito alla fuga coltivato sin da giovane dalla scrittrice. Tale desiderio si realizzerà nel 1900 attraverso il matrimonio, ma probabilmente tale scelta non fu vissuta in maniera psicologicamente pacificata: una causa possibile del senso di colpa che aleggia un po’ ovunque nei romanzi deleddiani può essere cercata proprio in questo “peccato di sradicamento”. L’abbandono dell’isola-terra-madre sembra essere stato vissuto dall’autrice come peccato originale del tradimento degli affetti nativi. S’innesca così la necessità dell’espiazione di una supposta indegnità: penitenza da condurre, magari, attraverso la stessa letteratura.
Una personalità schiva
Anche una volta trasferitasi a Roma, Grazia Deledda conduce una vita austera, lontana dalla mondanità salottiera della capitale, chiusa nel ristretto cerchio di famiglia e lavoro. Scrive soltanto, e pubblica romanzi e racconti con una cadenza quasi annuale, in un’esistenza ritiratissima, come se la sua vita di donna non meritasse più di avere uno spazio proprio. Consegnatasi a un uomo, a un marito, costituito il nucleo familiare, la donna che era stata sino a quel momento cede il posto alla sposa, alla madre, alla scrittrice, la quale si proietta con tutto il potere della fantasia nel passato abbandonato con la partenza dalla Sardegna e con il matrimonio. Quando nel 1928 riconobbe i primi segni della malattia (un tumore) che l’avrebbe condotta alla morte, la tenne nascosta a tutti, persino ai suoi figli, senza mai smettere di lavorare, sino alla fine.