3 - L’eros come colpa

3 L’eros come colpa

Nel romanzo autobiografico Cosima si trova qualche fugace accenno ai difficili esordi sessuali di Cosima/Grazia, i quali danno la misura del clima di feroce arretratezza che incatenava l’esistenza della scrittrice. Si tratta dei casti baci ricevuti furtivamente da Fortunio, «il figlio illegittimo della serva del cancelliere».Vi domina incontrastato il trinomio colpa-castigo-espiazione (e redenzione), spesso invocato per spiegare la poetica deleddiana, catena causale generata dal “peccato originale” che sta all’inizio del terrore della vita: «Un terrore che non l’abbandonò mai più, sebbene oscuramente sepolto da lei in fondo al cuore come il segreto di una colpa misteriosa e involontaria: l’antica colpa dei primi padri, quella che attirò nel mondo il dolore e ricade indistintamente su tutti gli uomini».

Questa colpa è nell’opera di Grazia Deledda sostanzialmente il peccato dell’eros (tanto che Benedetto Croce definì sbrigativamente le trame deleddiane «storie di amori e di colpe»), peccato inevitabile, che fatalmente abbatte sugli uomini la pesante sequenza dei castighi. L’amore è una forza prorompente e prepotente, il portato di un destino a cui non ci si può opporre. La pulsione erotica sovverte così l’ordine morale e quello sociale. In molti romanzi deleddiani assistiamo all’attrazione e all’unione di due individui (spesso esponenti di classi sociali differenti) al di fuori del vincolo sacralizzante del matrimonio: la concretizzazione della passione amorosa diventa così ipso facto una colpa, da sanare tramite l’allontanamento del reo per riportare l’equilibrio nella vita privata e nella comunità.

Siamo molto vicini al cuore della tragedia classica, ma senza il mito dell’eroe che si rivolta: la scrittrice sembra accettare cristianamente l’ineluttabilità del costume sociale e della colpa che scaturisce dall’impossibilità di osservarne i precetti. Non resta che la via di una continua espiazione: è pressoché assente l’orgoglio dell’eroe tragico che viola consapevolmente il comandamento divino nemico degli uomini e della loro libertà, sino a concludere la sua parabola di rivolta in una laica catastrofe. La passione genera la colpa, e la colpa determina il precipitare nella spirale del peccato e, subito dopo, della sua espiazione.

Del resto, le passioni dei personaggi deleddiani rimangono spesso nel mondo dell’interiorità e dell’immaginazione (così avviene, per esempio, in Canne al vento per l’amore incestuoso e dunque inconfessato di Noemi per il nipote Giacinto), ma anche quando esse si realizzano l’autrice rifugge da una descrizione diretta dell’eros, quasi mai rappresentato nei suoi modi più concreti e “crudi”.

Per approfondire Grazia Deledda e la condizione femminile

Pur essendosi formata in seno a una famiglia discretamente abbiente, la vicenda personale di Grazia Deledda non può essere disgiunta dalla particolare situazione storica della condizione femminile, non soltanto in Sardegna, ma in quasi tutto il resto d’Italia all’indomani dell’Unità nazionale. Nell’intera opera deleddiana non mancano – anzi sono frequenti – gli accenni alla condizione della donna in quegli anni, mentre pressoché assenti sono i riferimenti politicamente consapevoli alla questione femminile.

Lontana dal femminismo

Contrariamente a un’altra scrittrice sua contemporanea – quella Sibilla Aleramo (1876-1960) che già nel 1906 pubblicava Una donna, libro di rivolta e di presa di coscienza di genere – la Deledda non fu mai impegnata sul piano del femminismo: anzi, è lecito supporre un’istintiva avversione alle sue istanze. Tuttavia, accostandosi all’opera della scrittrice ormai a distanza di quasi un secolo e mezzo dalla sua nascita, non si può non tener conto di certi dati storici. Uno di questi riguarda la formazione scolastica, che solitamente per le donne non andava al di là di alcune classi elementari. La Deledda infatti frequentò sino alla quarta classe, così come la stessa Aleramo. È utile ricordarlo, perché entrambe furono accomunate dalla medesima limitatezza di studi, oltre che dall’ostilità sociale, palese o sottaciuta, da cui era circondata una donna che si dedicasse all’arte.

La letteratura come risarcimento esistenziale

Se la Deledda non avesse avvertito, giusto al termine della sua esistenza, il bisogno di scrivere quella parziale autobiografia, peraltro celata sotto le spoglie del romanzo, nota con il titolo di Cosima, sarebbe pressoché impossibile ricostruire almeno alcuni momenti salienti della sua vicenda umana: tanto la sua vita fu misera di esperienza diretta del mondo quanto fu ricchissima, addirittura pletorica, la sua produzione romanzesca. È come se attraverso la scrittura Grazia avesse cercato di ottenere un risarcimento a quella condizione di subalternità a cui la società dei suoi tempi in gran parte ancora confinava le donne. Del resto, gli stessi personaggi femminili della sua narrativa si muovono «tra i poli estremi d’una tradizione-conservazione e di un profondo rinnovamento, nell’ambito cioè nel quale si dibatte la società sarda ai tempi della scrittrice» (Massaiu).

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Il peccato di don Paulo

da La madre

Un giovane prete, don Paulo, si prepara a uscire di casa nel cuore della notte. Pensa di non essere visto da nessuno, ma la madre, che vive con lui, se ne accorge e decide di seguirlo di nascosto... Riportiamo alcune delle pagine iniziali di del romanzo La madre, che il critico Emilio Cecchi definì «un’altra, ma anche più nera, delle [...] pitture tutte in nero» di Grazia Deledda.

Anche quella notte, dunque, Paulo si disponeva ad uscire.

La madre, nella sua camera attigua a quella di lui, lo sentiva muoversi furtivo,

aspettando forse, per uscire, ch’ella spegnesse il lume e si coricasse.

Ella spense il lume ma non si coricò.

5      Seduta presso l’uscio si stringeva una con l’altra le sue dure mani di serva, ancora

umide della risciacquatura delle stoviglie, calcando1 i pollici uno sull’altro per farsi

forza; ma di momento in momento la sua inquietudine cresceva, vinceva la sua ostinazione

a sperare che il figlio s’acquetasse, che, come un tempo, si mettesse a leggere

o andasse a dormire. Per qualche minuto, infatti, i passi furtivi del giovane prete

10    cessarono: si sentiva solo, di fuori, il rumore del vento accompagnato dal mormorio

degli alberi del ciglione dietro la piccola parrocchia: un vento non troppo forte ma

incessante e monotono che pareva fasciasse la casa con un grande nastro stridente,

sempre più stretto, e tentasse sradicarla dalle sue fondamenta e tirarla giù.

La madre aveva già chiuso la porta di strada con due spranghe incrociate, per

15    impedire al diavolo, che nelle notti di vento gira in cerca di anime, di penetrare in

casa:2 in fondo però credeva poco a queste cose, e adesso pensava con amarezza, e

con vaga derisione verso se stessa, che lo spirito maligno era già dentro la piccola

parrocchia; che beveva alla brocca del suo Paulo e si aggirava intorno allo specchio

di lui appeso accanto alla finestra.

20    Ecco che infatti Paulo si muoveva di nuovo; forse era appunto davanti allo

specchio, sebbene ai preti ciò non sia permesso.3 Ma che cosa non si permetteva

Paulo, da qualche tempo in qua?

La madre ricordava di averlo spesso sorpreso, in quegli ultimi tempi, a specchiarsi

a lungo come una donna, a pulirsi e lucidarsi le unghie, a spazzolarsi i

25    capelli che si tirava in su dopo averli lasciati crescere, quasi cercando di nascondere

il sacro segno della tonsura.4

Egli poi usava dei profumi, si puliva i denti con polveri odorose e si passava il

pettine persino sulle sopracciglia...

Le sembrava di vederlo, adesso, come se la parete divisoria si fosse spaccata:

30    nero sullo sfondo della sua camera tutta bianca, alto, fin troppo alto, dinoccolato,

andava e veniva col suo passo distratto di ragazzo, inciampando e scivolando

spesso, ma tenendosi sempre in equilibrio. Aveva la testa un po’ grossa sul collo

sottile, e il viso pallido oppresso dalla fronte prominente che pareva costringesse le

sopracciglia ad aggrottarsi per lo sforzo di reggerla e gli occhi lunghi a star socchiusi;

35    mentre le mandibole forti, la bocca grande e carnosa e il mento duro parevano a

loro volta ribellarsi con sdegno a questa oppressione, senza però potersene liberare.

Ma ecco che egli si fermava davanti allo specchio, e tutto il suo viso diventava

luminoso perché le palpebre si sollevavano e nella trasparenza degli occhi castanei

la pupilla raggiava come un diamante.

40    La madre si compiaceva, in fondo, nel suo cuore di madre, a vederlo così, bello

e forte; quando il passo furtivo di lui la richiamò alla sua pena.

Egli usciva, non c’era più dubbio, usciva. Aprì l’uscio della sua camera. Si fermò

di nuovo. Forse tendeva anche lui l’orecchio ai rumori intorno. Solo il vento continuava

a sbattersi contro la casa.

45    La madre tentò di alzarsi, di gridare.

«figlio, Paulo, creatura di Dio, fermati».

Ma una forza superiore alla sua volontà fermava lei. Le ginocchia tremavano,

come cercando di ribellarsi a quella forza infernale: le ginocchia tremavano, ma i piedi

non volevano muoversi; era come se due mani possenti li fermassero al pavimento.

50    Così il suo Paulo poté scendere silenzioso la scaletta, aprire la porta e andarsene:

il vento parve portarselo via d’un colpo.

Solo allora ella riuscì ad alzarsi, a riaccendere il lume, ma anche questo con difficoltà,

perché gli zolfanelli lasciavano lunghe scie di luce violetta sul muro ov’ella

li sfregava ma non si accendevano.

55    Finalmente la piccola lucerna d’ottone sparse un velo di luce nella cameretta

nuda e povera come quella di una serva, ed ella aprì l’uscio e si sporse, ascoltando.

Tremava; eppure si muoveva tutta d’un pezzo, dura, legnosa, con la testa grossa sul

corpo bassotto e forte che, rivestito d’un panno nero scolorito, pareva ritagliato a

colpi di scure dal tronco d’un rovere.

60    Dall’alto del suo uscio ella vedeva la scaletta di ardesia, ripida fra le pareti bianche,

e in fondo la porta che il vento scuoteva sui cardini. Vide le stanghe levate da

Paulo appoggiate al muro, e fu presa da un impeto d’ira.

No, voleva vincere il demonio. Depose il lume sull’alto della scaletta, scese e

uscì anche lei.

65    Il vento la investì con violenza, gonfiandole il fazzoletto e le vesti; pareva volesse

costringerla a rientrare: ella si legò forte il fazzoletto sotto il mento, e procedé a

testa bassa come per dar di cozzo all’ostacolo:5 così rasentò la facciata della parrocchia,

il muro dell’orto e la facciata della chiesa: arrivata all’angolo di questa, si fermò.

Paulo aveva svoltato di là e attraversava quasi di volo, come un grande uccello

70    nero, con le falde del mantello svolazzanti, il prato che si stendeva davanti ad una

casa antica addossata quasi al ciglione che chiudeva l’orizzonte sopra il villaggio.

Il chiarore ora azzurro ora giallo della luna travolta da grandi nuvole in corsa

illuminava il prato erboso, la piazzetta sterrata davanti alla chiesa e alla parrocchia,

e due file di casupole serpeggianti ai due lati d’una strada in pendìo che andava a

75    perdersi fra le macchie della vallata. E in mezzo a questa appariva, come un’altra

strada grigia e tortuosa, il fiume che a sua volta andava a confondersi tra i fiumi e

le strade del paesaggio fantastico che le nuvole, spinte dal vento, componevano e

scomponevano ogni tanto sull’orizzonte allo sbocco della valle.

Nel paesetto già più non si vedeva un lume, un filo di fumo. Dormivano, le

80    povere casette arrampicate come due file di pecore su per la china erbosa, all’ombra

della chiesetta che col suo esile campanile, riparato a sua volta sotto il ciglione,

pareva il pastore appoggiato al suo vincastro.6

Gli ontani in fila davanti al parapetto della piazza della chiesa, si sbattevano

furiosi al vento, neri e sconvolti come mostri; al loro fruscìio rispondeva il lamento

85    dei pioppi e dei canneti della valle: e a tutto quel dolore notturno, all’ansito7 del

vento e al naufragare della luna fra le nuvole, si confondeva l’angoscia agitata della

madre che inseguiva il figlio.

Fino a quel momento ella s’era illusa nella speranza di vederlo scendere al paesetto

per visitare qualche malato: eccolo invece che correva come trasportato dal

90    diavolo verso la casa antica sotto il ciglione.

E nella casa antica sotto il ciglione non c’era che una donna sana, giovine e sola...

Ed ecco che, invece di dirigersi alla porta come un semplice visitatore, egli andava

dritto alla porticina dell’orto e questa si apriva e si chiudeva dietro di lui come

una bocca nera che lo ingoiasse.

95    Allora anche lei si slanciò attraverso il prato, quasi seguendo il solco fra l’erba

lasciato da lui, fino alla porticina contro la quale puntò le mani aperte spingendo

con tutta forza.

La porticina non cedette: anzi aveva come una forza di repulsione: e la donna

ebbe voglia di percuoterla, di gridare; guardò in su e palpò il muro come per

100 provarne la resistenza: infine, disperata, tese l’orecchio; ma si udiva solo il fruscìo

degli alberi dell’orto, che, anch’essi amici e complici della loro padrona, pareva:

volessero col loro8 coprire ogni altro rumore intorno.

La madre però voleva vincer lei, voleva sentire, sapere... O meglio, poiché in

fondo all’anima sapeva già la verità, voleva illudersi ancora d’ingannarsi.

105 Senza cercare oltre di nascondersi, andò lungo il muro dell’orto, lungo la facciata

della casa, e più giù ancora, fino al portone del cortile: e palpava le pietre

come cercandone una che cedesse, che lasciasse un buco per entrare.

Tutto era solido, compatto, chiuso: il portone, la porta, le finestre munite d’inferriata,

parevano le aperture d’una fortezza. [...]

110 Ella tornò indietro, rasentando con la testa gli anelli di ferro infìssi nel muro per

legarvi i cavalli: si fermò di nuovo davanti alla porta, e d’un tratto, davanti a quella porta

alta su tre scalini di granito, riparata sotto un arco gotico e listata di ferro, si sentì umiliata,

impotente a vincere, più piccola di quando bambina s’indugiava lì con gli altri ragazzi

poveri del paesetto aspettando che il padrone uscisse e buttasse loro qualche soldo.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Notando che il figlio, in maniera inusuale, si abbandona a una cura di sé che sconfina nella vanità, la madre di don Paulo intuisce il motivo che spinge il prete ventottenne alla sortita notturna: ad aspettarlo c’è una donna sana, giovine e sola (r. 91). A poco serve per lei cercare di illudersi: è evidente che il figlio sta tradendo la promessa di castità legata al sacerdozio. La madre, in preda all’angoscia, lo segue. Vorrebbe impedire il peccato di Paulo, salvarlo dall’abiezione nella quale sta per cadere, ma di fronte alla forza del male sente di essere impotente: è come trattenuta da una forza infernale (r. 48), da una forza superiore alla sua volontà (r. 47).

Il brano è attraversato da diversi temi e motivi tipici della narrativa della Deledda: la lotta tra lo spirito e la carne, la suggestione mistica e la seduzione della sensualità, la paura ma anche il fascino del peccato, il senso del dovere e il peso della colpa. La descrizione della notte ventosa e demoniaca, accentua il senso di cupa fatalità dell’“errore” a cui don Paulo sta andando incontro.


1 Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe, limitandoti ai dati oggettivi e trascurando la lettura soggettiva e volutamente poco realistica offerta dalla scrittrice.


2 Individua nel testo i riferimenti alle dimensioni del male e del demoniaco.

La vera protagonista del brano e dell’intero romanzo è, sin dal titolo dell’opera, la madre, della quale si indagano la condizione interiore, gli stati d’animo e i tormenti. Nella sua visione – che è quella di una Sardegna rurale e arcaica, con le sue severe norme etiche e sociali – il cedimento al richiamo dei sensi da parte del figlio e il suo desiderio di una relazione con una donna corrispondono al tradimento della sua missione religiosa e della sua stessa identità di prete. Le parole che, più avanti nel romanzo, le rivolgerà il fantasma, venuto dall’inferno, del vecchio parroco di Aar (il quale la invita a rassegnarsi e a lasciare che Paulo segua il suo destino) sono per lei inaccettabili: «Il Paradiso è in terra». Perciò essa respinge con fermezza quella visione: il suo orizzonte ideale rimarrà immutato e il suo obiettivo sarà quello di salvare il figlio dal baratro del peccato.


3 Qual è l'indizio certo, nel comportamento del sacerdote, che il motivo per cui egli sta facendo visita ad Agnese è poco onesto?


4 Elenca i comportamenti e i pensieri della madre di don Paulo descritti nel brano.

Le scelte stilistiche

Anche in questo brano, come nel precedente, la natura sembra animata da misteriose presenze. In particolare la narratrice si sofferma qui sul vento. È lo stesso vento il quale, una volta che la donna è uscita di casa per seguire il figlio, la investe con violenza, gonfiandole il fazzoletto e le vesti; pareva volesse costringerla a rientrare (rr. 65-66). Sembra dunque che la natura possieda una propria autonoma volontà, che si contrappone a quella degli esseri umani. Al tempo stesso, però, la condizione atmosferica pare per certi versi anche accordarsi allo stato d’animo dei personaggi.


5 Di che cosa sembra essere simbolo qui il vento?


6 Trova nel testo esempi di una raffigurazione umanizzata degli elementi naturali.

Vola alta parola - volume 5
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Il secondo Ottocento