La vita
Grazia Deledda nasce a Nuoro nel 1871. Quinta di sette figli, di famiglia piuttosto benestante, compie pochi studi regolari, che si interrompono alla quarta elementare; la sua formazione sarà, quindi, sostanzialmente da autodidatta. Le prime letture sono quelle di vecchi libri trovati in casa, con i quali nutre la sua precoce fantasia. Di patetiche vicende di bambini rapiti in culla, di amori fatali, di atroci vendette sono pieni i racconti che comincia a scrivere giovanissima, nel 1888, mandandoli alla rivista “L’Ultima Moda”, che, stampata a Roma dall'editore Edoardo Perino (specializzato in pubblicazioni popolari), «diffondeva fascino di mondanità a buon mercato nella segregata provincia» (De Michelis).
Tramite questa attività di collaborazione giornalistica entra in relazione epistolare con la contessa di Montendoro (nom de plume del direttore dell’“Ultima Moda”, Epaminonda Provaglio), ma anche con letterati di ben altro spessore, come Angelo De Gubernatis e Luigi Capuana. Nel frattempo le sue letture si fanno sempre più ampie e intense: «Figurati tu una ragazza che rimane mesi interi senza uscire di casa; settimane e settimane senza parlare ad anima che non sia della famiglia; rinchiusa in una casa gaia e tranquilla sì, ma nella cui via non passa nessuno, il cui orizzonte è chiuso da tristi montagne: una fanciulla che non ama, non soffre, non ha pensieri per l'avvenire, non sogni né buoni né cattivi, non amiche, non passatempi, nulla infine, nulla, e dimmi come può essa fare a non annoiarsi. I libri... i giornali... il lavoro... la famiglia! I libri e i giornali sono i miei amici e guai senza di loro» (lettera a Epaminonda Provaglio del 23 febbraio 1892).
Nuoro, intanto, le risulta sempre più stretta. Le difficoltà dell’ambiente sardo, unite al clima di soffocante pregiudizio verso la sua nascente vocazione letteraria (una donna che scriveva non poteva essere considerata una donna “onesta”...), determinano in lei un fermo proposito di fuga, che in seguito si realizzerà grazie all’unica soluzione possibile per una donna del suo tempo (a meno di possedere un’idea di ribellione sociale, mai presa in considerazione dalla scrittrice sarda): il matrimonio.