T15 - Tofano e monna Ghita

T15

Tofano e monna Ghita

Decameron, VII, 4

Narrata da Lauretta, la novella ci presenta un marito geloso (prima a torto, poi a ragione) e una moglie scaltra, tanto che riuscirà a beffarlo. Quello delle beffe ordite dalle donne ai loro uomini è infatti il tema della Settima giornata.

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Audiolettura

Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi1 rientrare, 
         fa vista2 di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra; Tofano esce di casa e corre là, 
         e ella in casa se n’entra e serra lui di fuori e sgridandolo il vitupera.3


[…]

         Fu adunque già4 in Arezzo un ricco uomo, il qual fu Tofano5 nominato. A costui 

5       fu data per moglie una bellissima donna, il cui nome fu monna Ghita, della quale
egli senza saper perché prestamente divenne geloso, di che la donna avvedendosi
prese sdegno; e più volte avendolo della cagione della sua gelosia addomandato
né egli alcuna avendone saputa assegnare6 se non cotali generali e cattive,7 cadde
nell’animo alla donna di farlo morire del male del quale senza cagione aveva paura.8 

10    E essendosi avveduta che un giovane, secondo il suo giudicio molto da bene,9
la vagheggiava,10 discretamente con lui s’incominciò a intendere;11 e essendo già
tra lui e lei tanto le cose innanzi, che altro che dare effetto con opera alle parole
non vi mancava, pensò la donna di trovare similmente modo a questo.12 E avendo
già tra’ costumi cattivi del suo marito conosciuto lui dilettarsi di bere,13 non solamente 

15    gliele cominciò a commendare ma artatamente a sollicitarlo a ciò14 molto
spesso. E tanto ciò prese per uso, che quasi ogni volta che a grado l’era infino
allo inebriarsi bevendo il conducea;15 e quando bene ebbro il vedea, messolo a
dormire, primieramente col suo amante si ritrovò, e poi sicuramente più volte di
ritrovarsi con lui continuò, e tanto di fidanza16 nella costui17 ebbrezza prese, che 

20    non solamente avea preso ardire di menarsi il suo amante in casa, ma ella talvolta
gran parte della notte s’andava con lui a dimorare alla sua, la qual di quivi non
era guari18 lontana.

         E in questa maniera la innamorata donna continuando, avvenne che il doloroso19
marito si venne accorgendo che ella, nel confortare20 lui a bere, non beveva 

25    per ciò essa mai; di che egli prese sospetto non così fosse come era,21 cioè che la
donna lui inebriasse per poter poi fare il piacer suo mentre egli adormentato fosse.

         E volendo di questo, se così fosse, far pruova, senza avere il dì22 bevuto, una sera
mostrandosi il più ebbro uomo e nel parlare e ne’ modi, che fosse mai, il che la
donna credendo né estimando che più bere gli bisognasse a ben dormire, il mise

30    prestamente.23 E fatto ciò, secondo che alcuna volta era usata di fare,24 uscita di
casa, alla casa del suo amante se n’andò e quivi infino alla mezzanotte dimorò.

         Tofano, come la donna non vi sentì,25 così si levò e andatosene alla sua porta
quella serrò dentro e posesi alle finestre, acciò che tornare vedesse la donna e le
facesse manifesto che egli si fosse accorto delle maniere26 sue; e tanto stette che la 

35    donna tornò, la quale, tornando a casa e trovatasi serrata di fuori, fu oltre modo
dolente e cominciò a tentare se per forza potesse l’uscio aprire. Il che poi che Tofano
alquanto ebbe sofferto,27 disse: «Donna, tu ti fatichi invano, per ciò che qua
entro non potrai tu tornare. Va tornati là dove infino a ora se’ stata: e abbi per certo
che tu non ci tornerai mai infino a tanto che io di questa cosa, in presenza de’ parenti 

40    tuoi e de’ vicini, te n’avrò fatto quello onore che ti si conviene».28
La donna lo ’ncominciò a pregar per l’amor di Dio che piacer gli dovesse d’aprirle,
per ciò che ella non veniva donde s’avvisava
29 ma da vegghiare30 con una
sua vicina, per ciò che le notti eran grandi
31 e ella nolle poteva dormir tutte né sola
in casa vegghiare. Li prieghi non giovavano alcuna cosa, per ciò che quella bestia 

45    era pur disposto a volere che tutti gli aretin sapessero la lor vergogna, là dove niun la
sapeva.
La donna, veggendo che il pregar non le valeva, ricorse al minacciare e disse:
«Se tu non m’apri, io ti farò il più tristo uom che viva».
32
A cui Tofano rispose: «E che mi puoi tu fare?».

50    La donna, alla quale Amore aveva già aguzzato co’ suoi consigli lo ’ngegno,
rispose: «Innanzi che io voglia sofferire la vergogna che tu mi vuoi fare ricevere a
torto, io mi gitterò in questo pozzo che qui è vicino: nel quale poi essendo trovata
morta, niuna persona sarà che creda che altri che tu per ebrezza mi v’abbia gittata;
e così o ti converrà33 fuggire e perder ciò che tu hai e essere in bando,34 o converrà 

55    che ti sia tagliata la testa sì come a micidial di me35 che tu veramente sarai stato».
Per queste parole niente si mosse Tofano dalla sua sciocca opinione; per la qual
cosa la donna disse: «Or ecco, io non posso più sofferire questo tuo fastidio:
36 Dio
il ti perdoni! farai riporre questa mia rocca
37 che io lascio qui»; e questo detto, essendo
la notte tanto obscura, che appena si sarebbe potuto veder l’un l’altro per la 

60    via, se n’andò la donna verso il pozzo; e, presa una grandissima pietra che a piè del
pozzo era, gridando «Idio, perdonami!» la lasciò cadere entro nel pozzo.

         La pietra giugnendo nell’acqua fece un grandissimo romore, il quale come Tofano
udì credette fermamente che essa gittata vi si fosse; per che, presa la secchia
colla fune, subitamente si gittò di casa38 per aiutarla e corse al pozzo. La donna, 

65    che presso all’uscio della sua casa nascosa s’era, come vide correre al pozzo, così
ricoverò in casa e serrossi dentro e andossene alle finestre e cominciò a dire: «Egli
si vuole inacquare quando altri il bee, non poscia la notte».
39
Tofano, udendo costei, si tenne scornato40 e tornossi all’uscio; e non potendovi
entrare le cominciò a dire che gli aprisse.

70    Ella, lasciato stare il parlar piano come infino allora aveva fatto, quasi gridando
cominciò a dire: «Alla croce di Dio, ubriaco fastidioso, tu non c’enterai stanotte;
io non posso più sofferire questi tuoi modi: egli convien che io faccia vedere a
ogn’uomo chi tu se’ e a che ora tu torni la notte a casa».
Tofano d’altra parte crucciato le ’ncominciò a dir villania e a gridare; di che i 

75    vicini sentendo il romore si levarono, e uomini e donne, e fecersi alle finestre e
domandarono che ciò fosse.
La donna cominciò piangendo a dire: «Egli è questo reo uomo, il quale mi torna
ebbro la sera a casa o s’adormenta per le taverne e poscia torna a questa otta;
41 di
che io avendo lungamente sofferto e non giovandomi, non potendo più sofferire, 

80    ne gli ho voluta fare questa vergogna di serrarlo fuor di casa per vedere se egli se
ne ammenderà».
42
Tofano bestia, d’altra parte, diceva come il fatto era stato e minacciavala forte.
La donna co’ suoi vicini diceva: «Or vedete che uomo egli è! Che direste voi se
io fossi nella via come è egli, e egli fosse in casa come sono io? In fé di Dio che io 

85    dubito che voi non credeste che egli dicesse il vero: ben potete a questo conoscere
il senno suo! Egli dice a punto che io ho fatto ciò che io credo che egli abbia fatto egli.
Egli mi credette spaventare col gittare non so che nel pozzo, ma or volesse
Iddio che egli vi si fosse gittato da dovero
43 e affogato, sì che egli il vino, il quale
egli di soperchio ha bevuto, si fosse molto bene inacquato».

90    I vicini, e gli uomini e le donne, cominciaro a riprendere tututti44 Tofano e a
dar la colpa a lui e a dirgli villania di ciò che contro alla donna diceva: e in brieve
tanto andò il romore di vicino in vicino, che egli pervenne infino a’ parenti della
donna. Li quali venuti là, e udendo la cosa e da un vicino e da altro, presero Tofano
e diedergli tante busse,45 che tutto il ruppono;46 poi, andati in casa, presero le cose 

95    della donna e con lei si ritornarono a casa loro minacciando Tofano di peggio.
Tofano, veggendosi mal parato47 e che la sua gelosia l’aveva mal condotto, sì come
quegli che tutto ’l suo bene voleva alla donna,48 ebbe alcuni amici mezzani;49 e
tanto procacciò, che egli con buona pace riebbe la donna a casa sua, alla quale
promise di mai più non esser geloso: e oltre a ciò le diè licenzia che ogni suo piacer 

100 facesse, ma sì saviamente, che egli non se ne avvedesse. E così, a modo del villan
matto, dopo danno fé patto.50 E viva amore, e muoia soldo, e tutta la brigata.51

 >> pagina 657 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Monna Ghita è «una semplicetta donna» (come la definisce la narratrice Lauretta in una parte introduttiva che non abbiamo riportato), ma l’amore la induce a diventare scaltra. Il marito invece appare come una persona poco avveduta: inizialmente è geloso senza motivo, ed è proprio questo ingiusto sospetto che spinge la moglie a tradirlo per ripicca. La narratrice lo gratifica dell’epiteto di bestia (rr. 44 e 82), che nel Decameron ricorre a proposito di personaggi a vario titolo maldestri, quando non addirittura stupidi. Il punto di vista di Lauretta (che è sostanzialmente quello dell’autore) lo qualifica come uno sciocco (Per queste parole niente si mosse Tofano dalla sua sciocca opinione, r. 56): anziché trattare la faccenda con discrezione, intende svergognare la moglie in pubblico per il suo tradimento, così rimettendoci in prima persona nell’opinione dei concittadini (era pur disposto a volere che tutti gli aretin sapessero la lor vergogna, là dove niun la sapeva, rr. 45-46).

Monna Ghita, sorpresa fuori casa, viene chiusa all’esterno dal marito, ma la donna, con un’abile trovata, riesce a ribaltare la situazione: prima lui è in casa e lei fuori, dopo le parti si invertono. La moglie è così sfrontata da rivolgere ai vicini una frase che in realtà è rivolta al marito: Che direste voi se io fossi nella via come è egli, e egli fosse in casa come sono io? In fé di Dio che io dubito che voi non credeste che egli dicesse il vero (rr. 83-85). Dopo essere stato crudelmente beffato, Tofano impara la lezione, giungendo a concedere alla moglie una libertà insperata: essa potrà addirittura tradirlo, purché egli non se ne avveda (le diè licenzia che ogni suo piacer facesse, ma sì saviamente, che egli non se ne avvedesse, rr. 99-100). Sembra proprio il giusto contrappasso per i passati eccessi di gelosia.

Le scelte stilistiche

La parte più vivace della novella e l’elemento su cui poggia la sua efficacia narrativa è la mimesi. La donna, in particolare, si mostra un’abilissima attrice, capace di una raffinata finzione scenica. Prima prega il marito, poi lo minaccia fingendo di volersi suicidare, se egli continuerà a sospettare ingiustamente di lei (ma il lettore sa che i sospetti di tradimento sono fondati) e soprattutto se non la farà rientrare in casa; detta quasi un beffardo testamento (farai riporre questa mia rocca che io lascio qui, r. 58) e prorompe in esclamazioni patetiche (Idio, perdonami!, r. 61). Successivamente, chiuso fuori il marito, recita una nuova commedia con i vicini, facendo credere loro che sia l’uomo a essere tornato ubriaco nel cuore della notte. Piange (La donna cominciò piagendo a dire, r. 77) e cerca, riuscendoci, di ottenere la compassione di coloro che la ascoltano. Da tutto ciò risulta fortemente accresciuta la comicità della novella.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In quale modo monna Ghita riesce inizialmente a incontrare l’amante senza che il marito se ne accorga?


2 Perché in seguito il marito comincia a sospettare?


3 Quando Ghita si ripresenta a casa dopo aver trascorso gran parte della notte fuori e il marito si rifiuta di farla entrare, quale giustificazione accampa in merito alla propria assenza per convincerlo ad aprirle la porta?

  • a Dice di essere stata da sua madre.
  • b Dice di essere andata a fare una passeggiata perché non sopportava il caldo.
  • c Dice di essere stata da una vicina perché soffriva di insonnia.
  • d Dice di essersi addormentata in giardino.

 >> pagina 658 

analizzare

4 In ebbe alcuni amici mezzani (r. 97), mezzani è

  • a complemento di qualità.
  • b complemento predicativo del soggetto.
  • c complemento predicativo dell’oggetto.
  • d complemento oggetto.

5 Individua gli aggettivi e le espressioni con cui viene descritto Tofano.

interpretare

6 A tuo parere ha fatto bene Ghita a comportarsi in questo modo? Le sue azioni successive sono giustificate dall’iniziale, infondata sfiducia del marito? Ha fatto bene Tofano a scendere infine a patti con Ghita? Alla conclusione della novella c’è ancora amore tra marito e moglie?

Produrre

7 Scrivere per rielaborare. Scrivi una sceneggiatura della novella. Che genere di attori sceglieresti? Prepara i dialoghi in italiano moderno con le varie indicazioni di regia (gli abiti da indossare, i luoghi in cui girare, le inquadrature da fare, la recitazione degli attori ecc.). Per avere un’idea su come scrivere una sceneggiatura, consulta (insieme al docente) uno dei tanti siti web disponibili sull’argomento.

T16

Calandrino e l’elitropia

Decameron, VIII, 3

Riportiamo qui, dall’Ottava giornata, dedicata alle beffe, la prima novella (raccontata da Lauretta) di cui è protagonista Calandrino, sorta di personaggio “seriale” del Decameron, che comparirà anche nelle novelle VIII, 6, Calandrino e il porco; IX, 3, Calandrino incinto, ( T17, p. 668); IX, 5, Calandrino innamorato. All’origine di questo personaggio ci fu una persona realmente esistita, il modesto pittore Nozzo di Perino, vissuto a Firenze tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, ricordato due secoli dopo anche nelle Vite di Giorgio Vasari. Parimenti esistiti sono i suoi due “beffatori”, Bruno e Buffalmacco: Bruno di Giovanni d’Olivieri e Bonamico di Cristofano detto Buffalmacco. Il soprannome di quest’ultimo fa riferimento all’inclinazione alle beffe, mentre “Calandrino” allude a un uccello chiamato “calandra” considerato “sciocco” nell’immaginario popolare a causa del suo modo irregolare di volare. L’elitropia era – in base ai lapidari medievali – una pietra di colore verde molto scuro, capace di rendere invisibile chi la portasse con sé.

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone1 vanno cercando di trovar l’elitropia,
e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia
2 e
egli turbato
3 la batte,4 e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.


Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancor ridono, 

5      la reina ad Elissa commise che seguitasse; la quale ancora ridendo incominciò:

io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta,
non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua:
ma io me ne ’ngegnerò.

Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata 

10    abondevole,5 fu, ancora non è gran tempo,6 un dipintore7 chiamato Calandrino,
uom semplice e di nuovi costumi.8 Il quale il più del tempo con due altri dipintori
usava,9 chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli10 molto ma
per altro avveduti e sagaci,11 li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi
suoi e della sua simplicità12 sovente gran festa prendevano.13

15    Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in
ciascuna cosa che far voleva astuto e avvenevole,14 chiamato Maso del Saggio; il
quale, udendo alcune cose della simplicità di Calandrino, propose di voler prender
diletto de’ fatti suoi15 col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova16 cosa.

E per avventura17 trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni18 e vedendolo 

20    stare attento a riguardar le dipinture e gl’intagli del tabernaculo il quale è sopra
l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi,19 pensò essergli dato
luogo e tempo alla sua intenzione.20 E informato un suo compagno di ciò che fare
intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo
vista21 di non vederlo insieme cominciarono a ragionare delle virtù22 di diverse 

25    pietre, delle quali Maso così efficacemente23 parlava come se stato fosse un solenne
e gran lapidario.24 A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie, e dopo
alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza,25 si congiunse con loro,
il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole,26 fu da Calandrin domandato
dove queste pietre così virtuose27 si trovassero. Maso rispose che le più si 

30    trovavano in Berlinzone,28 terra de’ baschi,29 in una contrada che si chiamava Bengodi,30 
nella quale si legano le vigne con le salsicce31 e avevasi un’oca a denaio e un
papero giunta;32 e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato,
sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni33 e
raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi34 giù, e chi più 

35    ne pigliava più se n’aveva;35 e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia,36 della
migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua.

«Oh!», «disse Calandrino» cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi
che cuocon coloro?

Rispose Maso: «Mangiansegli i baschi tutti».

40    Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?»

A cui Maso rispose: «Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come
mille».37

Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?»38

Maso rispose: «Haccene39 più di millanta,40 che tutta notte canta».41

45    Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere più là che Abruzzi».42

«Sì bene,» rispose Maso «si è cavelle».43

Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e
senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità più manifesta, e
così l’aveva per vere;44 e disse: «Troppo ci è di lungi a’ fatti miei;45 ma se più presso 

50    ci fosse,46 ben ti dico che io vi verrei una volta con esso teco,47 pur per veder fare il
tomo a quei maccheroni e tormene una satolla.48 Ma dimmi, che lieto sie tu,49 in
queste contrade50 non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose?»

A cui Maso rispose: «Sì, due maniere51 di pietre ci si truovano di grandissima
virtù. L’una sono i macigni da Settignano e da Montisci,52 per vertù de’ quali, quando 

55    son macine fatti, se ne fa la farina,53 e per ciò si dice egli54 in que’ paesi di là, che da
Dio vengono le grazie e da Montici le macine; ma ècci55 di questi macigni sì gran
quantità, che appo noi è poco prezzata,56 come appo loro gli smeraldi, de’ quali
v’ha maggior montagne che Monte Morello57 che rilucon di mezza notte vatti con
Dio;58 e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che elle si 

60    forassero e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse.59 L’altra si è una pietra,
la quale noi altri lapidarii appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertù, per ciò
che qualunque persona la porta sopra di sè, mentre la tiene, non è da alcuna altra
persona veduto dove non è».60

Allora Calandrin disse: «Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si 

65    truova?»

A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare.

Disse Calandrino: «Di che grossezza è questa pietra? O che colore è il suo?»

Rispose Maso: «Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più e alcuna meno,61 ma
tutte son di colore quasi come nero».

70    Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate,62 fatto sembianti63 d’avere
altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di voler cercare di questa pietra; ma
diliberò64 di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco,65 li quali
spezialissimamente amava. Diessi66 adunque a cercar di costoro, acciò che senza
indugio e prima che alcuno altro n’andassero a cercare,67 e tutto il rimanente 

75    di quella mattina consumò in cercargli.68 Ultimamente,69 essendo già l’ora della
nona70 passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza,71 quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua faccenda,
quasi correndo n’andò a costoro, e chiamatigli, così disse loro: «Compagni, quando
voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze: 

80    per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede72 che in Mugnone si truova una
pietra, la qual chi la porta sopra73 non è veduto da niun’altra persona; per che a me
parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v’andasse, v’andassimo
a cercar. Noi la troverem per certo, per ciò che io la conosco;74 e trovata che
noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella75 e andare 

85    alle tavole de’ cambiatori,76 le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi77 
e di fiorini,78 e torcene79 quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così potremo
arricchire subitamente,80 senza avere tutto dì a schiccherare le mura81 a modo che
fa la lumaca».

Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra sé medesimi cominciarono a ridere, 

90    e guatando82 l’un verso l’altro fecer sembianti83 di maravigliarsi forte, e lodarono84 
il consiglio85 di Calandrino; ma domandò Buffalmacco, come questa pietra avesse
nome. A Calandrino, che era di grossa pasta,86 era già il nome uscito di mente; per
che egli rispose: «Che abbiam noi a far del nome poi che noi sappiam la vertù? A
me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star più».87

95    «Or ben», disse Bruno «come è ella fatta?»

Calandrin disse: «Egli ne son d’ogni fatta88 ma tutte son quasi nere; per che a
me pare che noi abbiamo a ricogliere89 tutte quelle che noi vederem nere, tanto che
noi ci abbattiamo ad essa;90 e per ciò non perdiam tempo, andiamo».

A cui Bruno disse: «Or t’aspetta»;91 e volto a Buffalmacco disse: «A me pare che 

100 Calandrino dica bene; ma non mi pare che questa sia ora da ciò,92 per ciò che93 
il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte,94 per che tali
paion testé bianche delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l’abbia
rasciutte, paion nere;95 e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni96 è oggi, che è dì
di lavorare,97 per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono indovinare quello 

105 che noi andassomo faccendo e forse farlo essi altressì,98 e potrebbe venire alle mani
a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura.99 A me pare, se pare a voi,
che questa sia opera da dover fare da mattina, che si conoscon100 meglio le nere
dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà persona che ci vegga».101

Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò: e ordinarono102 

110 che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di
questa pietra; ma sopra ogn’altra cosa gli103 pregò Calandrino che essi non dovesser
questa cosa con persona del mondo ragionare,104 per ciò che a lui era stata posta
in credenza.105 E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di
Bengodi, con saramenti106 affermando che così era. Partito Calandrino da loro, essi 

115 quello che intorno a questo107 avessero a fare ordinarono fra sé medesimi.

Calandrino con disidero108 aspettò la domenica mattina: la qual venuta, in
sul far del dì si levò. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel
Mugnon discesi cominciarono ad andare in giù, della pietra cercando. Calandrino
andava, come più volenteroso,109 avanti e prestamente110 or qua e or là saltando, 

120 dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava e quella ricogliendo si metteva in
seno.111 I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne ricoglievano;
ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe
pieno,112 per che, alzandosi i gheroni113 della gonnella, che alla analda non era,114 
e faccendo di quegli ampio gre bene avendogli115 alla coreggia116 attaccati d’ogni 

125 parte, non dopo molto gli empié,117 e similmente, dopo alquanto spazio,118 fatto
del mantello grembo,119 quello di pietre empiè.

Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del
mangiare s’avvicinava, secondo l’ordine da sé posto,120 disse Bruno a Buffalmacco:
«Calandrino dove è?»

130 Buffalmacco, che ivi presso sel vedea,121 volgendosi intorno e or qua e or là
riguardando, rispose: «Io non so, ma egli era pur122 poco fa qui dinanzi da noi».

Disse Bruno: «Ben che fa poco!123 a me par egli esser certo che egli è ora a casa
a desinare e noi ha lasciati nel farnetico124 d’andar cercando le pietre nere giù per
lo Mugnone».

135 «Deh come egli ha ben fatto», disse allora Buffalmacco «d’averci beffati e lasciati
qui, poscia che noi fummo sì sciocchi che noi gli credemmo. Sappi!125 chi
sarebbe stato sì stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una
così virtuosa pietra, altri che noi?»

Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse 

140 venuta e che per la vertù d’essa coloro, ancor che lor fosse presente, nol vedessero.
Lieto adunque oltre modo di tal ventura,126 senza dir loro alcuna cosa, pensò di
tornarsi a casa; e volti i passi indietro se ne cominciò a venire.127

Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi128 che faremo? Ché non ce ne
andiam noi?»

145 A cui Bruno rispose: «Andianne;129 ma io giuro a Dio che mai Calandrino non
me ne farà più niuna;130 e se io gli fossi presso, come stato sono tutta mattina, io gli
darei tale di questo ciotto nelle calcagna,131 che egli si ricorderebbe forse un mese
di questa beffa»; e il dir le parole e l’aprirsi e ’l dar del ciotto nel calcagna132 a Calandrino
fu tutto uno, Calandrino, sentendo il duolo,133 levò alto il piè e cominciò 

150 a soffiare,134 ma pur si tacque e andò oltre.

Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ ciottoli che raccolti avea, disse a Bruno:
«Deh! vedi bel codolo:135 così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino!» «e
lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal
guisa136 or con una parola, e or con una altra, su per lo Mugnone infino alla porta 

155 a San Gallo il vennero lapidando.137 Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte
aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero;138 le quali, prima da loro
informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior
risa del mondo».139 Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era
vicina al Canto alla Macina;140 e in tanto fu la fortuna piacevole141 alla beffa, che, 

160 mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la città, niuna persona gli fece
motto,142 come che pochi ne scontrasse per ciò che quasi a desinare era ciascuno.143

Entrossene144 adunque Calandrino così carico in casa sua.

Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e
valente145 donna, in capo della scala: e alquanto turbata146 della sua lunga dimora,147 

165 veggendol148 venire, cominciò proverbiando149 a dire: «Mai, frate, il diavol ti ci
reca!150 Ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare».

Il che udendo Calandrino, e veggendo che veduto era, pieno di cruccio151 e di
dolore cominciò a gridare: «Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto152 
ma in fé di Dio io te ne pagherò!»153 e salito in una sua saletta e quivi scaricate 

170 le molte pietre che recate avea, niquitoso154 corse verso la moglie e presala per le
trecce la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e’ piedi, tanto
le diè per tutta la persona:155 pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso
addosso che macero156 non fosse, le diede niuna cosa valendole il chieder mercé
con le mani in croce.157

175 Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso,
con lento passo cominciarono alquanto lontani158 a seguitar Calandrino; e giunti
a piè dell’uscio159 di lui sentirono la fiera160 battitura la quale alla moglie dava, e
faccendo vista di giugnere pure allora161 il chiamarono. Calandrino tutto sudato,
rosso e affannato si fece alla finestra e pregogli che suso a lui dovessero andare.162 

180 Essi, mostrandosi alquanto turbati,163 andaron suso e videro la sala piena di pietre,
e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta164 nel viso dolorosamente
piagnere; e d’altra parte Calandrino scinto e ansando a guisa d’uom
lasso,165 sedersi.

Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: «Che è questo, Calandrino? 

185 vuoi tu murare,166 ché noi veggiamo qui tante pietre?» e oltre a questo soggiunsero:
«E monna Tessa che ha? E’167 par che tu l’abbi battuta: che novelle168 son
queste?» Calandrino, faticato169 dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la
donna aveva battuta, e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere,170 
non poteva raccogliere lo spirito171 a formare intera la parola alla risposta; per che 

190 soprastando,172 Buffalmacco ricominciò: «Calandrino, se tu aveva altra ira,173 tu
non ci dovevi perciò straziare174 come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti175 a cercar
teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo,176 a guisa di due becconi
nel Mugnon ci lasciasti, e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per
certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai».177

195 A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: «Compagni, non vi turbate,178 
l’opera sta altramenti che voi non pensate.179 Io, sventurato!, avea quella pietra
trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente180 di me domandaste
l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia,181 e veggendo che voi ve
ne venavate e non mi vedavate v’entrai innanzi,182 e continuamente poco innanzi 

200 a voi me ne son venuto».

E, cominciandosi dall’un de’ capi,183 infino la fine raccontò loro ciò che essi
fatto e detto aveano, e mostrò loro il dosso184 e le calcagna come i ciotti conci185 
gliel’avessero; e poi seguitò: «E dicovi che, entrando alla porta186 con tutte queste
pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser 

205 sogliano spiacevoli e noiosi que’ guardiani187 a volere ogni cosa vedere; e oltre a
questo ho trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion
far motto188 e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come
quegli che non mi vedeano.189 Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa
femina maladetta mi si parò dinanzi ed ebbemi veduto,190 per ciò che, come voi 

210 sapete, le femine fanno perder la vertù a ogni cosa: di che io, che mi poteva dire
il più avventurato191 uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo
l’ho tanto battuta quant’io ho potuto menar le mani e non so a quello che io mi
tengo che io non le sego le veni,192 che maladetta sia l’ora che io prima la vidi193 e
quand’ella mi venne in questa casa!» E raccesosi nell’ira, si voleva levar per tornare 

215 a batterla da capo.

Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte
e spesso affermavano194 quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di
ridere, che quasi scoppiavano; ma vedendolo furioso levare195 per battere un’altra
volta la moglie, levatiglisi allo ’ncontro il ritennero,196 dicendo di queste cose 

220 niuna colpa aver la donna ma egli che sapeva che le femine facevano perdere la
vertù alle cose e non le aveva detto che ella si guardasse197 d’apparirgli innanzi quel
giorno: il quale avvedimento198 Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura199 non
doveva esser sua, o perch’egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ quali,
come s’avvedeva200 averla trovata, il doveva palesare.201

225 E dopo molte parole, non senza gran fatica, la dolente donna riconciliata con
essolui202 e lasciandol malinconoso203 con la casa piena di pietre, si partirono.

 >> pagina 666

Analisi ATTIVA

Un’esperienza indescrivibile

Il testo si apre con la presentazione dei personaggi: Calandrino, Bruno, Buffalmacco e Maso del Saggio. Sono tutti pittori attivi a Firenze nel primo Trecento, ma mentre Calandrino è uom semplice e di nuovi costumi (r. 11), Bruno e Buffalmacco – oltre a essere uomini sollazzevoli molto (r. 12), che è la ragione per cui Calandrino ama frequentarli – sono avveduti e sagaci (r. 13). Essi, a loro volta, frequentano Calandrino per ciò che de’ suoi modi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano (r. 14). Dunque è da subito evidente una fondamentale asimmetria nei rapporti: mentre l’amicizia di Calandrino verso gli altri due è ingenua, Bruno e Buffalmacco hanno da tempo individuato in lui un oggetto di divertimento, senza che egli lo sospetti.

Maso, a sua volta, si pone sullo stesso piano di Bruno e Buffalmacco. È lui, infatti, a innescare la prima beffa, incantando Calandrino con strani discorsi su paesi meravigliosi e pietre “virtuose”. Lo sciocco abbocca, ed ecco pronte le premesse per la beffa successiva, quella principale su cui è incentrata la novella. Questa volta, però, è lo stesso Calandrino a mettersi da solo nel sacco, ovviamente senza accorgersene: nel momento in cui informa Bruno e Buffalmacco della notizia, comunicatagli da Maso, dell’esistenza di una pietra favolosa (l’elitropia) capace di rendere invisibile chi la porti su di sé, i due amici trovano subito, attraverso un semplice scambio di sguardi (guatando l’un verso l’altro, r. 90), l’intesa per beffare il collega credulone.


1 Suddividi tutto il testo in sequenze, attribuendo a ciascuna di esse un titolo adeguato.


2 Bruno consiglia di rinviare la ricerca della pietra alla domenica mattina. Perché?


3 Quali sono le fantasiose attrazioni del paese di Bengodi?

Il personaggio di Calandrino appare da subito come un sempliciotto piuttosto bizzarro. Non a caso, si beve tutte le storie strampalate raccontategli da Maso del Saggio, che, con il suo discorso sull’elitropia, prepara inconsapevolmente la beffa che poi sarà ordita da Bruno e Buffalmacco. Il suo principale punto di debolezza può essere forse individuato in «una capacità immaginativa superiore al comune, poiché è disposto a vedere cose che gli uomini normali riterrebbero inverosimili» (Asor Rosa).

Ignorante com’è, il protagonista della novella è soprattutto sciocco, ma anche piuttosto presuntuoso, giacché è convinto di poter riconoscere facilmente l’elitropia. Come ha scritto il critico Natalino Sapegno, in lui «la sciocchezza si complica di avarizia e di stolida diffidenza, e di non so quale persuasione di furberia». All’origine della sua creduloneria c’è in effetti la cupidigia, che affiora nella frenesia dell’affannosa ricerca della pietra magica e nell’intenzione di recarsi alle tavole dei cambiavalute: diventare invisibile gli consentirebbe (questa è la sua intenzione) di arricchirsi illecitamente e quando si convince, per lo scherzo di Bruno e Buffalmacco, di aver trovato la pietra che lo rende tale, non si palesa ai compagni che crede non lo stiano vedendo.

La stupidità di Calandrino si manifesta anche, alla fine della novella, nella violenza che sfoga percuotendo la moglie, poiché crede che un suo malefico influsso, in quanto femmina, abbia posto fine al magico influsso della pietra. In ciò affiora un certo pregiudizio misogino, tipico, per molti aspetti, della cultura e della società medievali. Ma Boccaccio, che alle donne aveva dedicato il Decameron, non condivide tale visione, ed è evidente, se consideriamo il punto di vista da cui la vicenda è narrata (teso a mettere alla berlina Calandrino), la condanna – da parte dell’autore – della mentalità antifemminile del personaggio e del suo violento comportamento.


4 Trova nel testo altri riferimenti alla dabbenaggine del protagonista.


5 Nel sottolineare l’affannosa ricerca di Calandrino, Boccaccio usa nel giro di poche righe lo stesso verbo. Quale?


6 Da quali atti e parole del personaggio puoi ricavare la sua presunzione?


7 Rintraccia nel testo i passaggi in cui emerge la disonestà di Calandrino.


8 Individua le frasi in cui emerge la visione misogina di Calandrino e quelle in cui il narratore evidenzia la sua aggressività nei confronti della moglie.

 >> pagina 667 

Lo strumento attraverso cui Calandrino viene beffato è la parola. Boccaccio in questa e in altre novelle del Decameron celebra l’arte di parlare come segno di intelligenza e di distinzione culturale, ma anche – come in questo caso – quale mezzo per esercitare un potere sugli altri. Possiamo apprezzare questa capacità di utilizzare il linguaggio in maniera efficace ai fini della beffa innanzitutto nel discorso di Maso del Saggio e poi anche nelle battute rivolte da Bruno e Buffalmacco a Calandrino. In fondo, è tramite la parola che i due amici “fanno sparire” Calandrino, quando fingono di non vederlo più e parlano tra loro di lui come se egli non fosse presente.


9 In quali frasi ed espressioni trovi riscontro a questo abile utilizzo della parola?

Le scelte stilistiche

Torniamo al discorso iniziale di Maso del Saggio. Egli parla di luoghi favolosi dove avvengono cose meravigliose, utilizzando frasi equivoche e numeri immaginari. I suoi doppi sensi e giochi di parole non vengono percepiti come tali da Calandrino, il quale, sprovvisto di intelligenza ma anche di senso dell’umorismo, prende come oro colato quanto il suo interlocutore gli dice. L’anfibologia delle sue parole stabilisce un doppio livello di significati: Calandrino percepisce soltanto quello letterale, che non si sogna neppure di mette in discussione, ma che anzi, distratto (o meglio “astratto” dalla realtà) com’è, si fa scivolare addosso come se nulla fosse; il lettore, invece, intende un secondo livello di senso, basato sull’assurdità delle affermazioni e dunque sulla loro comicità. In tal modo si stabilisce, tra Boccaccio (che possiamo intravedere dietro al personaggio di Maso del Saggio) e chi legge, un rapporto – anche in questo caso – di complicità: il narratore, per bocca di Maso del Saggio, sbeffeggia Calandrino, il quale non se ne accorge affatto; ce ne accorgiamo però noi che leggiamo la novella. L’autore può così riaffermare la propria simpatia verso coloro che sanno utilizzare il proprio ingegno con destrezza e, al tempo stesso, irridere chi si rivela sciocco e credulone.


10 Individua, nelle battute di Maso del Saggio, esempi di anfibologia

 >> pagina 668

La narrazione in terza persona e i dialoghi tra i vari personaggi sono tra loro in perfetto equilibrio per conferire al testo un ritmo narrativo veloce ed efficace, al punto che la vicenda, per quanto possa sembrare paradossale, finisce per diventare credibile agli occhi del lettore man mano che se ne segue lo svolgimento. Qui Boccaccio si mostra infatti abilissimo nel passare da dialoghi realistici a momenti di pura invenzione verbale (il discorso di Maso del Saggio), da scene dalle caratteristiche quasi teatrali alla descrizione realistica dei personaggi, fino a momenti di comicità surreale. In particolare, lo studioso Mario Baratto ha parlato, a proposito di questa novella, di «un racconto che si traduce in esatta misura di commedia, a quadri successivi, dove notazione gestuale e dialogo si compenetrano felicemente a delineare la maschera di Calandrino».


11 Distingui le parti diegetiche (diegesi) da quelle mimetiche (mimesi). Quale dei due livelli narrativi ti sembra prevalere? Con quali effetti, secondo te?


12 Sottolinea nel testo le frasi fatte e i frusti modi di dire che Boccaccio mette in bocca a Calandrino.


13 Scrivere per raccontare. E quella volta che hai giocato tu un brutto tiro a un amico? O che invece sei stato vittima di uno scherzo? Rievoca l’episodio in circa 25 righe.


14 Scrivere per argomentare. C’è un limite alla beffa? Fino a che punto, a tuo giudizio, lo scherzo è accettabile? La canzonatura può essere certamente innocente e innocua, ma ora, ancor più di ieri, può diventare pericolosa. Ragiona su questo argomento in un testo di circa 30 righe.

T17

Calandrino incinto

Decameron, IX, 3

Filostrato racconta una novella che ha ancora per protagonista lo sciocco Calandrino, che abbiamo già visto all’opera, Calandrino e l’elitropia ( T16). Questa volta alcuni amici gli fanno credere di essere incinto.

Maestro Simone a instanzia di Bruno e di Buffalmacco e di Nello fa credere a Calandrino 

         che egli è pregno:1 il quale per medicine dà a’ predetti capponi e denari, e guerisce senza 

         partorire.


[…]

         Mostrato è di sopra assai chiaro chi Calandrin fosse e gli altri de’ quali in questa 

5       novella ragionar debbo;2 e per ciò, senza più dirne, dico che egli avvenne che
una zia di Calandrin si morì e lasciogli dugento lire di piccioli contanti:3 per la
qual cosa Calandrino cominciò a dire che egli voleva comperare un podere, e con
quanti sensali aveva
4 in Firenze, come se da spendere avesse avuti diecemilia fiorin
d’oro, teneva mercato,
5 il qual sempre si guastava6 quando al prezzo del poder 

10    domandato si perveniva. Bruno e Buffalmacco, che queste cose sapevano, gli avean più volte detto che egli farebbe il meglio a goderglisi con loro insieme, che andar comperando terra come se egli avesse avuto a far pallottole;7 ma, non che a questo, essi non l’aveano mai potuto conducere che egli loro una volta desse mangiare.8

         Per che un dì dolendosene, e essendo a ciò sopravenuto un lor compagno che 

15    aveva nome Nello, dipintore,9 diliberar tutti e tre di dover trovar modo da ugnersi
il grifo10 alle spese di Calandrino. E senza troppo indugio darvi, avendo tra sé ordinato
quello che a fare avessero, la seguente mattina appostato quando Calandrino
di casa uscisse, non essendo egli guari andato,11 gli si fece incontro Nello e disse:
«Buondì, Calandrino».

20    Calandrino gli rispose che Idio gli desse il buondì e ’l buono anno. Appresso
questo Nello, rattenutosi un poco, lo ’ncominciò a guardar nel viso: a cui Calandrin
disse: «Che guati tu?».
E Nello disse a lui: «Haiti tu sentita stanotte cosa niuna? Tu non mi par desso».12
Calandrino incontanente
13 cominciò a dubitare e disse: «Oimè! come? che ti pare 

25    egli che io abbia?».
Disse Nello: «Deh! io nol dico per ciò14, ma tu mi pari tutto cambiato: fia forse
altro»;
15 e lasciollo andare.
Calandrino tutto sospettoso,16 non sentendosi per ciò cosa del mondo,17 andò
avanti; ma Buffalmacco, che guari
18 non era lontano, vedendol partito da Nello, 

30    gli si fece incontro e salutatolo il domandò se egli si sentisse niente. Calandrino
rispose: «Io non so, pur testé
19 mi diceva Nello che io gli pareva tutto cambiato;
potrebbe egli essere che io avessi nulla?».
20
Disse Buffalmacco: «Sì, potrestù aver cavelle, non che nulla:21 tu par mezzo
morto».

35    A Calandrino pareva già aver la febbre; e ecco Bruno sopravenire, e prima che
altro dicesse disse: «Calandrino, che viso è quello? E’ par che tu sie morto: che ti
senti tu?».
Calandrino, udendo ciascun di costoro così dire, per certissimo ebbe seco medesimo
d’esser malato, e tutto sgomentato gli domandò: «Che fo?».

40    Disse Bruno: «A me pare che tu te ne torni a casa e vaditene in su il letto e facciti
ben coprire, e che tu mandi il segnal tuo22 al maestro23 Simone, che è così nostra
cosa24 come tu sai. Egli ti dirà incontanente ciò che tu avrai a fare, e noi ne verrem
teco e, se bisognerà far cosa niuna, noi la faremo».
E con loro aggiuntosi Nello, con Calandrino se ne tornarono a casa sua; e egli 

45    entratosene tutto affaticato nella camera disse alla moglie: «Vieni e cuoprimi bene,
ché io mi sento un gran male».
Essendo adunque a giacer posto, il suo segnale per una fanticella25 mandò al
maestro Simone, il quale allora a bottega stava in Mercato Vecchio alla ’nsegna del
mellone;
26 e Bruno disse a’ compagni: «Voi vi rimarrete qui con lui, e io voglio andare 

50    a sapere che il medico dirà, e, se bisogno sarà, a menarloci».27
Calandrino allora disse: «Deh! sì, compagno mio, vavvi28 e sappimi ridire come
il fatto sta, ché io mi sento non so che dentro».
29
Bruno, andatose al maestro Simone, vi fu prima che la fanticella che il segno
portava e ebbe informato maestro Simon del fatto; per che, venuta la fanticella e il 

55    maestro, veduto il segno, disse alla fanticella: «Vattene e dì a Calandrino che egli
si tenga ben caldo, e io verrò a lui incontanente e dirogli ciò che egli ha e ciò che
egli avrà a fare».

         La fanticella così rapportò,30 né stette guari31 che il medico e Brun vennero;
e postoglisi il medico a sedere allato, gl’incominciò a toccare il polso, e dopo alquanto, 

60    essendo ivi presente la moglie, disse: «Vedi, Calandrino, a parlarti come a
amico, tu non hai altro male se non che tu se’ pregno».
Come Calandrino udì questo, dolorosamente cominciò a gridare e a dire:
«Oimè! Tessa, questo m’hai fatto tu, che non vuogli stare altro che di sopra:
32 io il
ti diceva bene!».

65    La donna, che assai onesta persona era, udendo così dire al marito tutta di
vergogna arrossò; e bassata la fronte senza risponder parola s’uscì della camera. Calandrino,
continuando il suo ramarichio,33 diceva: «Oimè, tristo me, come farò io?
come partorirò io questo figliuolo? onde uscirà egli? Ben veggo che io son morto
per la rabbia34 di questa mia moglie, che tanto la faccia Idio trista quanto io voglio 

70    esser lieto; ma così fossi io sano come io non sono, ché io mi leverei e dare’ le tante
busse, che io la romperei tutta, avvegna che egli mi stea molto bene,35 ché io non
la doveva mai lasciar salir di sopra. Ma per certo, se io scampo di questa,36 ella se
ne potrà ben prima morir di voglia».37
Bruno e Buffalmacco e Nello avevano sì gran voglia di ridere che scoppiavano, 

75    udendo le parole di Calandrino, ma pur se ne tenevano; ma il maestro Scimmione
rideva sì squaccheratamente,
38 che tutti i denti gli si sarebber potuti trarre.39 Ma
pure, a lungo andare, raccomandandosi Calandrino al medico e pregandolo che in
questo gli dovesse dar consiglio e aiuto, gli disse il maestro: «Calandrino, io non
voglio che tu ti sgomenti, ché, lodato sia Idio, noi ci siamo sì tosto accorti del fatto, 

80    che con poca fatica e in pochi dì ti dilibererò; ma conviensi40 un poco spendere».

         Disse Calandrino: «Oimè! maestro mio, sì, per l’amor di Dio. Io ho qui da
dugento lire di che io volea comperare un podere: se tutti bisognano, tutti gli togliete,41
pur che io non abbia a partorire, ché io non so come io mi facessi; ché io
odo fare alle femine un sì gran romore42 quando son per partorire, con tutto che 

85    elle abbiano buon cotal grande donde farlo,43 che io credo, se io avessi quel dolore,
che io mi morrei prima che io partorissi».
Disse il medico: «Non aver pensiero. Io ti farò fare una certa bevanda stillata44
molto buona e molto piacevole a bere, che in tre mattine risolverà ogni cosa, e
rimarrai più sano che pesce; ma farai che tu sii poscia
45 savio e più non incappi in 

90    queste sciocchezze. Ora ci bisogna per quella acqua tre paia di buon capponi e
grossi, e per altre cose che bisognano darai a un di costoro cinque lire di piccioli,
che le comperi, e fara’mi ogni cosa recare alla bottega; e io al nome di Dio domattina
ti manderò di quel beveraggio stillato, e comincera’ne a bere
46 un buon bicchier
grande per volta».

95    Calandrino, udito questo, disse: «Maestro mio, ciò siane in voi»;47 e date cinque
lire a Bruno e denari per tre paia di capponi, il pregò che in suo servigio in
queste cose durasse fatica.48
Il medico, partitosi, gli fece fare un poco di chiarea49 e mandogliele. Bruno,
comperati i capponi e altre cose necessarie al godere, insieme col medico e co’ 

100 compagni suoi se gli mangiò. Calandrino bevé tre mattine della chiarea; e il medico
venne da lui, e i suoi compagni, e toccatogli il polso gli disse: «Calandrino, tu
se’ guerito senza fallo; e però
50 sicuramente oggimai51 va a fare ogni tuo fatto, né
per questo star
52 più in casa».
Calandrino lieto, levatosi, s’andò a fare i fatti suoi, lodando molto, ovunque 

105 con persona a parlar s’avveniva, la bella cura che di lui il maestro Simone aveva
fatta, d’averlo fatto in tre dì senza alcuna pena spregnare;
53 e Bruno e Buffalmacco e
Nello rimaser contenti d’aver con ingegni
54 saputa schernire l’avarizia di Calandrino,
quantunque monna Tessa, avvedendosene, molto col marito ne brontolasse.

 >> pagina 672

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In tutte e quattro le novelle che lo vedono protagonista Calandrino appare come il perfetto prototipo dello sciocco. Qui, quando gli viene fatto credere di aspettare un figlio, anziché rifiutarsi di considerare verosimile tale ipotesi, ci crede subito, interpretando l’inattesa evenienza secondo il proprio orizzonte culturale, cioè accusando la moglie per averlo costretto a un rapporto sessuale in una posizione inconsueta.

«La comicità della interpretazione, tale da indurre al riso gli stessi beffatori, è dovuta alla sua logica perversa: se la posizione normale prevede che l’uomo sia sopra e la donna sotto, e se normalmente è la donna a essere ingravidata dall’uomo, con il suo sillogismo difettoso Calandrino deduce che l’inversione delle posizioni ha prodotto l’effetto inverso. […] Il narratore è attento a collocare questa interpretazione dentro un sistema culturale preciso: quando infatti il protagonista arriva a questa conclusione, la moglie, anziché smentirlo recisamente con il richiamo alla realtà effettiva della riproduzione umana, “bassata la fronte” va via in silenzio, tutta rossa per la vergogna» (Alfano).

Lo scherzo giocato a Calandrino è ideato dai suoi amici per punirne l’egoismo. Egli infatti all’inizio rifiuta di condividere almeno una parte della somma di denaro ricevuta in eredità dalla zia. Attraverso la beffa Bruno e Buffalmacco, ai quali in questa novella si aggiunge un altro amico, Nello, riescono a ribaltare la situazione di partenza: alla fine della novella li troviamo che banchettano allegramente a spese del beffato. Mentre loro si godono i succulenti capponi ottenuti grazie a Calandrino, questi è costretto a trangugiare per tre giorni un’inutile pozione medicinale.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa vorrebbe fare inizialmente Calandrino dei soldi di cui è venuto in possesso? In che cosa consiste la difficoltà a mettere in atto il progetto?


2 Che cosa gli rimproverano gli amici?


3 Come riescono a convincerlo di essere malato?


4 Come riescono a convincerlo di essere incinto?

analizzare

5 Fai l’analisi del periodo delle rr. 4-13.

interpretare

6 Descrivi lo stile adottato nella novella. Prevale la mimesi o la diegesi? Quali elementi della narrazione determinano in particolare la comicità?

Produrre

7 Scrivere per confrontare. Il tema della beffa ordita da un gruppo di amici a danno di qualche sprovveduto è presente anche in molti film. Scegline uno a tuo piacimento in cui compare una beffa particolarmente significativa e mettila a confronto con quella di Boccaccio in un testo di circa 30 righe.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento