T14 - Guido Cavalcanti

T14

Guido Cavalcanti

Decameron, VI, 9

In questa novella raccontata da Elissa, «reggitrice» della Sesta giornata, Guido Cavalcanti tende a distinguersi dai giovani nobili suoi coetanei, preferendo ai loro sciocchi passatempi una solitaria meditazione. Per questo suo atteggiamento, considerato un po’ altezzoso, c’è chi pensa di canzonarlo, ma l’intelligenza del poeta stilnovista gli suggerisce una risposta fulminante.

Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania1 a certi cavalier fiorentini li
          quali soprapreso l’aveano.


         […]

         Dovete adunque sapere che ne’ tempi passati furono nella nostra città assai belle
e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n’è rimasa, mercé2 della avarizia che 

    in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate.3 Tralle quali
n’era una cotale, che4 in diversi luoghi per Firenze si ragunavano5 insieme i gentili
uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi
tali che comportare potessono acconciamente le spese,6 e oggi l’uno, doman
l’altro, e così per ordine7 tutti mettevan tavola,8 ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; 

10    e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capita­vano,
e ancora de’ cittadini: e similmente si vestivano insieme9 almeno una volta
l’anno, e insieme i dì più notabili10 cavalcavano per la città e talora armeggiavano,11
e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o 
d’altro fosse venuta nella città.

15    Tralle quali brigate n’era una di messer Betto Brunelleschi,12 nella quale messer 
Betto e’ compagni s’erano molto ingegnato di tirare13 Guido di messer Cavalcante
de’ Cavalcanti, e non senza cagione: per ciò che, oltre a quello
14 che egli fu un de’
miglior loici
15 che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale16 (delle quali cose
poco la brigata curava), si fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante
17 uom molto 

20    e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente18 seppe meglio che altro uom
fare; e con questo
19 era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell’animo
gli capeva che il valesse.
20 Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto
d’averlo,
21 e credeva egli co’ suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che22 Guido
alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia;23 e per ciò che egli 

25    alquanto tenea della oppinione degli epicuri,24 si diceva tralla gente volgare che
queste sue speculazioni
25 erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non
fosse.
26

         Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele27 e
venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era 

30    suo cammino, essendo arche28 grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata,
e molte altre dintorno a San Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido29
che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto
con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, vedendo Guido
là tra quelle sepolture, dissero: «Andiamo a dargli briga»;30 e spronati i cavalli, a 

35    guisa d’uno assalto sollazzevole31 gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse,
sopra e cominciarongli a dire: «Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco,
quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?».32

         A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: «Signori, voi mi
potete dire a casa vostra ciò che vi piace»; e posta la mano sopra una di quelle 

40    arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era,33 prese un salto e fusi
gittato dall’altra parte,34 e sviluppatosi35 da loro se n’andò.
Costoro rimaser tutti guatando l’un l’altro, e cominciarono a dire che egli era
uno smemorato
36 e che quello che egli aveva risposto non veniva a dir nulla,37 con
ciò fosse cosa che quivi dove erano non avevano essi a fare più che tutti gli altri 

45    cittadini, né Guido meno che alcun di loro.38
Alli quali messer Betto rivolto, disse: «Gli smemorati siete voi, se voi non l’avete
inteso: egli ci ha onestamente
39 e in poche parole detta la maggior villania del
mondo, per ciò che, se voi riguarderete bene, queste arche sono le case de’ morti,
per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che son nostra 

50    casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti40 e non letterati siamo, a comparazion
di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò,
qui essendo, noi siamo a casa nostra».
Allora ciascuno intese quello che Guido aveva voluto dire e vergognossi, né
mai più gli diedero briga, e tennero per innanzi
41 messer Betto sottile e intendente42 

55    cavaliere.

 >> pagina 652

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Boccaccio rievoca con nostalgia un tempo precedente al proprio, l’età che era stata dello stesso Dante, quella della Firenze di fine Duecento. In tale contesto storico, il ritratto di Cavalcanti mette in luce le sue doti di gentile uom (r. 20) tra le quali spiccano quella di essere parlante (r. 19, cioè abile e arguto nel parlare) e soprattutto la sua qualifica di filosofo (è assente invece il riferimento alla sua attività di poeta). Alla sua immagine si contrappone quella di una comitiva di amici della Firenze benestante: giovani superficiali, tutti dediti a passatempi vacui come banchetti, passeggiate a cavallo e giochi di armi. Si tratta di due universi che tra loro difficilmente possono comunicare. Infatti inizialmente la battuta di Cavalcanti (il “motto arguto” in virtù del quale Boccaccio l’ha collocato nella Sesta giornata del Decameron) non viene compresa. Ma quando messer Betto ne chiarisce agli altri il significato, tutti si trovano costretti a riconoscere la superiorità di Guido.

Le scelte stilistiche

Il ritmo della novella è veloce e leggero: proprio come il salto di Guido Cavalcanti, che con invidiabile agilità (da vero sportivo, diremmo oggi) si lancia dall’altra parte delle arche di marmo, lasciando attoniti i giovani della brigata. Tale agilità fisica è l’espressione visibile dell’agilità di intelligenza e di parola del personaggio, che gli consente di superare il goliardico ma fastidioso accerchiamento.

La critica ha evidenziato in questa novella, innanzitutto, la ripresa di alcuni elementi del canto X dell’Inferno di Dante. Non a caso: lì ci troviamo nel cerchio degli eretici e degli epicurei e tra i personaggi che il poeta vi incontra compaiono Cavalcante Cavalcanti e Farinata degli Uberti, rispettivamente padre e suocero di Guido. Essi sono confinati, al pari degli altri dannati per questa colpa, in arche sepolcrali infuocate. Nella novella del Decameron si dice di Guido Cavalcanti che aveva fama di epicureo e la scena si svolge proprio tra alcune tombe marmoree. In tal modo è come se Boccaccio avesse voluto rendere omaggio a Dante, attraverso però una sorta di rovesciamento: infatti qui Guido, seppure epicureo, si libera dalle tombe, che alludono all’assenza di vita interiore e alle quali lascia la brigata, giudicata priva della luce intellettuale.

Infine può essere colta anche l’eco di un brano di Lucio Anneo Seneca (4 a.C. - 65 d.C.), in cui il filosofo latino, che Boccaccio conosceva bene, identificava la vera vita nell’utilità agli altri e a sé stessi, non nel semplice “vegetare” obbedendo ai soli istinti naturali. In altre parole, in assenza di una vera coscienza di sé, la vita non è degna di essere vissuta: «Coloro “che obbediscono allo stomaco”, come dice Sallustio, vanno annoverati tra gli animali, non tra gli uomini, e alcuni nemmeno tra gli animali, ma tra i morti. Infatti vive chi è utile a molti, chi fa uso di sé stesso; al contrario coloro che se ne stanno nascosti e in preda al torpore sono a casa propria come in una tomba. Di costoro puoi incidere il nome nel marmo, sulla soglia stessa della loro casa: hanno preceduto la propria stessa morte» (Lettere a Lucilio, 60, 4).

 >> pagina 653

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In base alle informazioni ricavabili dalla novella, come descriveresti il carattere di Cavalcanti?


2 Con quale intento Betto e i suoi amici avvicinano Guido?


3 Spiega in che cosa consistono la provocazione della brigata e la risposta di Cavalcanti.


4 Perché, dopo che Cavalcanti se n’è andato, gli altri gli danno dello smemorato (r. 43)?

Analizzare

5 Il tono della battuta di Cavalcanti è

  • a ironico.
  • b aggressivo.
  • c referenziale.
  • d sarcastico.

Interpretare

6 Su quale piano si colloca la differenza più significativa tra Guido e la brigata?

  • a Sociale.
  • b Politico.
  • c Intellettuale.
  • d Religioso.

7 Confronta l’opinione della gente volgare (rr. 25-26) su Guido Cavalcanti con il contenuto della provocazione della brigata. Che cosa ne ricaviamo?


8 La conclusione della novella segnala un distacco tra messer Betto e il resto della brigata. In che cosa consiste questa sua diversità?

Produrre

9 Scrivere per argomentare. Il ritratto di Cavalcanti che emerge dalla novella corrisponde a quello che si delinea leggendo le sue poesie? Argomenta la tua opinione in un testo di circa 20 righe.


10 Scrivere per argomentare. Nella novella Cavalcanti dice, indirettamente, che le persone prive di cultura sono come morti. Sei d’accordo? Scrivi un testo argomentativo di circa 15 righe.

CONSONANZE DISSONANZE

Italo Calvino Cavalcanti o della leggerezza

Il salto spiccato da Cavalcanti nella novella di Boccaccio è stato assunto da Italo Calvino (1923-1985) come emblema della «leggerezza», uno dei valori – insieme a «rapidità», «esattezza», «visibilità» e «molteplicità» – che egli ha additato alla letteratura del nuovo millennio. È il 1984 quando Calvino viene invitato all’Università di Harvard a tenere una serie di conferenze lo scrittore prepara scrupolosamente, ma non riuscirà a pronunciarle perché muore nel 1985.

Quei testi sono stati editi in un volume postumo (1988) dal titolo Lezioni americane, da cui riportiamo un brano del primo capitolo, intitolato semplicemente Leggerezza.


Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.

Non potrei illustrare meglio questa idea che con una novella del Decameron (VI, 9) dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Boccaccio ci presenta Cavalcanti come un austero filosofo che passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti a una chiesa. La jeunesse dorée1 fiorentina cavalcava per la città in brigate che passavano da una festa all’altra, sempre cercando occasioni d’ampliare il loro giro di scambievoli inviti. Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia2 era sospettata d’empietà.

[…]

Ciò che qui ci interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti (che si può interpretare considerando che il preteso «epicureismo» del poeta era in realtà averroismo, per cui l’anima individuale fa parte dell’intelletto universale: le tombe sono casa vostra e non mia in quanto la morte corporea è vinta da chi s’innalza alla contemplazione universale attraverso la speculazione dell’intelletto). Ciò che ci colpisce è l’immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d’un salto «sì come colui che leggerissimo era».

Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite.

Vola alta parola - volume 1
Vola alta parola - volume 1
Dalle origini al Trecento