Il tesoro della letteratura - volume 3

Italo Svevo La coscienza di Zeno Dentro il TESTO La morte del padre e la fine della giovinezza I contenuti tematici All inizio del capitolo (qui non antologizzato), Zeno dichiara che la morte del padre è stata «l avvenimento più importante della sua vita , «una vera, grande catastrofe . E poco più avanti spiega: «Il paradiso non esisteva più ed io poi, a trent anni, ero un uomo finito. Anch io! M accorsi per la prima volta che la parte più importante e decisiva della mia vita giaceva dietro di me, irrimediabilmente . Il rapporto tra Zeno e il padre era stato per molti anni di sostanziale indifferenza. Nel momento del trapasso, esso acquista invece grande importanza agli occhi del protagonista: il decesso del genitore lo trasporta infatti dal piano della quotidianità a quello degli echi profondi che quell evento traumatico innesca. Le considerazioni di Zeno, narratore inattendibile , come al solito sono ambivalenti: propongono un interpretazione dei fatti ma lasciano filtrare, al contempo, indizi che sembrano avallare un interpretazione diversa o addirittura opposta. Lo sguardo dentro sé stesso Finché il padre era vivo, l inettitudine di Zeno, che ancora si percepiva come figlio , poteva apparire come immaturità, ma con la sua morte essa si rivela nella sua essenza di sostanziale inadeguatezza alla vita e di inguaribile deficit esistenziale. Il rapporto è tra due personalità contrastanti: solido e borghesemente sereno il padre, nevrotico e inconcludente il figlio. Non dobbiamo pensare però che questo contrasto sia assimilabile a quello, davvero aspro e insanabile, comune a molti altri scrittori, contemporanei o precedenti (si pensi a Leopardi o a Kafka, p. 528). In Svevo, infatti, il dissidio conserva qualcosa di ambiguo, di irrisolto: potrebbe essere quello che Freud ha chiamato complesso di Edipo , vale a dire, come già accennato, il desiderio inconscio del bambino di sbarazzarsi della figura del padre per non avere rivali nell ottenere l amore della madre. D altro canto, Zeno non ha certo la natura del ribelle che reclama libertà e autonomia, mai negategli dal padre, ma soltanto la consapevolezza di essere un debole e un incapace. Ciò che gli rende ostile la figura paterna è, in fondo, la stessa ragione per cui diffida di chiunque: lo considera giudice del proprio operato, un avversario sempre pronto a scrutarlo e colpevolizzarlo. In altri termini, nella contrapposizione generazionale affiorano il consueto egocentrismo di Zeno e quella sua tendenza all autocommiserazione che lo porta a nutrire, in ogni circostanza, sensi di colpa, aggressività latenti, autoaccuse e giustificazioni che sono vere e proprie scuse non richieste. Ogni vicenda a maggior ragione quelle tragiche viene dunque rielaborata da un inconscio che gli fa ingigantire i fatti della vita in un ottica esclusivamente autoreferenziale. Per questo il suo pianto è più per sé stesso, destinato a rimanere solo, che per il padre, destinato a morire: Guardavo nell avvenire indagando per trovare perché e per chi avrei potuto continuare i miei sforzi di migliorarmi. Piansi molto, ma piuttosto su me stesso che sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera (rr. 22-25). Lo schiaffo misterioso Allo stesso modo si può leggere la grande quantità di rimproveri e assoluzioni che il protagonista regala a sé stesso dopo la scena terribile (r. 28): mentre il figlio tenta di sollevarlo, con l aiuto dell infermiere, il padre sente la morte arrivare e alza, nell ultimo spasmo dell agonia, la mano alto alto (r. 48) lasciandola poi ricadere sul volto di Zeno. Di che cosa si è trattato? Di uno schiaffo? O di un movimento inconsulto? Nella prima ipotesi l atto equivarrebbe a una punizione (r. 51): ma per quale colpa? E anche nel caso che si trattasse 609

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi