Geo CITTADINANZA - Difendiamo l'ambiente

Geo cittadinanza

Difendiamo l’ambiente

Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, ogni ambiente naturale, con la propria preziosa riserva di biodiversità, è esposto a rischi e problematiche che sono spesso conseguenza della presenza e delle attività umane. A partire dal secolo scorso, infatti, le conquiste dell’uomo per migliorare il proprio benessere, anche in relazione all’incremento della crescita demografica mondiale, hanno portato a uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse del pianeta, tanto che oggi l’umanità si trova di fronte a un drammatico “dilemma ambientale”.

I consumi sono in rapida crescita, specialmente nei Paesi popolosi come la Cina e l’India, che ambiscono a raggiungere standard di benessere “occidentali”; inoltre le stime demografiche indicano un andamento che porterebbe la popolazione mondiale a circa 9 miliardi intorno al 2050, contro i circa 7 miliardi e mezzo attuali. Questi dati indicano che la pressione sull’ambiente è destinata ad aumentare, mentre la comunità scientifica avverte che i sistemi naturali non sono in grado di sostenerla: ecco i termini del dilemma.

Da qui nasce l’esigenza di una mobilitazione “globale” per un’inversione di tendenza. Prepararsi ad affrontare i cambiamenti in atto, ristrutturare l’economia e ripristinare gli ecosistemi naturali che ne sono il supporto appaiono le urgenti priorità del mondo di oggi.

LA SALUTE DELLA TERRA

La salute della Terra non è buona: come abbiamo visto, il nostro pianeta ha la “febbre”, si sta riscaldando piuttosto rapidamente, con conseguenze imprevedibili. Le Nazioni Unite hanno affidato il compito di studiare i cambiamenti climatici a un istituto formato da migliaia di scienziati provenienti da oltre 120 Paesi, l’IPCC, Intergovernamental Panel on Climate Change. Sulla base dei risultati ottenuti vengono costruiti modelli e scenari per prevedere il futuro. Ecco alcune delle principali minacce connesse al riscaldamento globale del pianeta (global warming).

Perdita di biodiversità

Nell’ipotesi di riuscire a limitare l’aumento della temperatura a 1,5-2,5 °C sarà comunque gravemente minacciato tra il 20 e il 30% delle specie animali. Gli ecosistemi più sofferenti sono le barriere coralline, che ospitano circa il 25% della vita marina, e le foreste tropicali, che racchiudono la maggiore biodiversità terrestre. Poiché i tassi di estinzione corrono a una velocità migliaia di volte superiore al normale, secondo molti scienziati ci troviamo già di fronte alla sesta grande estinzione di massa della storia: la prima a non essere causata da un’improvvisa catastrofe naturale ma di cui è responsabile l’uomo.

La regressione e lo scioglimento dei ghiacci

La regressione dei ghiacciai di montagna e lo scioglimento dei ghiacciai polari proseguono a ritmi sempre più elevati. La scomparsa dei ghiacciai è destinata a rivoluzionare la situazione idrica dell’intero ambiente terrestre: si prevede che la conseguente crescita del livello dei fiumi provocherà inondazioni e dissesti idrogeologici, cui farà seguito la carenza idrica.

A livello planetario, una delle minacce più concrete è costituita dalla crescita del livello dei mari. Nell’ipotesi formulata dall’IPCC, se le acque dovessero salire di 36 cm, entro il 2080 potrebbe sparire un terzo delle zone umide costiere, comprese le paludi salmastre e le mangrovie. Se non si costruiscono barriere, saranno minacciate oltre 100 milioni di persone.

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L’impoverimento dei suoli e la crisi idrica

Nell’ultimo secolo, secondo la FAO – Food and Agriculture Organization, Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura –, l’uso dell’acqua è aumentato a un tasso più che doppio rispetto all’incremento di popolazione.

Il 70% dell’impiego complessivo dell’acqua nel mondo è per usi connessi all’agricoltura e all’allevamento.

Siccità più frequenti, diminuzione delle precipitazioni, impoverimento e inquinamento dei suoli e delle falde hanno già ridotto la disponibilità idrica nella fascia compresa fra le zone temperate e l’Equatore.

La deforestazione e la desertificazione

Il disboscamento, specialmente dell’area amazzonica, ha già causato sensibili mutazioni nel microclima, ed è possibile che un ulteriore incremento della deforestazione possa accelerare i mutamenti climatici su larga scala. Negli ultimi 20 anni la superficie delle aree trasformatesi in deserti è più che raddoppiata, e circa la metà delle terre emerse si trova minacciata da una crescente aridità. Ogni anno quasi 1 milione di persone è costretto a lasciare la propria casa perché il suolo è divenuto improduttivo.

Eventi atmosferici estremi

Uno degli effetti più evidenti del riscaldamento globale è l’aumentata frequenza di eventi meteorologici estremi, come uragani e cicloni tropicali, la cui area di attività si sta inoltre espandendo fino a comprendere zone fino a poco tempo fa quasi mai toccate da simili fenomeni, come la città di New York, colpita da vari uragani negli ultimi anni. Nelle regioni continentali anomale ondate di calore e periodi di siccità si alternano a piogge violente e alluvioni.

LA LOTTA AL RISCALDAMENTO GLOBALE

Come abbiamo visto, il riscaldamento globale è causato principalmente dall’aumento dell’effetto serra, fenomeno connesso all’aumento della concentrazione nell’atmosfera di gas serra, come l’anidride carbonica (CO2). Si tratta di sostanze prodotte in grandi quantità attraverso la combustione di materie fossili come petrolio, gas, carbone, ossia le fonti di energia che hanno permesso il “salto qualitativo” fin dai tempi della Rivoluzione Industriale. L’IPCC, insieme a molti scienziati, sottolinea l’urgenza di un taglio radicale delle emissioni di gas serra per cercare di ridurre il riscaldamento e di conseguenza stabilizzare il clima.

Per minimizzare i costi del global warming gli esperti indicano un obiettivo: ridurre le emissioni di CO2 del 30% entro il 2030 e del 50% entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990).

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Il futuro delle energie rinnovabili

Per ridurre le emissioni di gas serra in modo tale da scongiurare definitivamente la minaccia del riscaldamento globale sarebbe necessaria una profonda ristrutturazione dell’economia mondiale, basata sulla riconversione dei combustibili fossili in fonti energetiche alternative e non inquinanti. Le tecnologie ci sono, e il loro costo sta progressivamente diminuendo. Nel 2017, per esempio, il 25% dell’energia elettrica prodotta nel mondo era generata da fonti rinnovabili e le energie rinnovabili sono arrivate a coprire circa il 15% del consumo energetico mondiale. In particolare, l’energia prodotta tramite lo sfruttamento del vento (energia eolica) aumenta nel mondo, ogni anno, di circa il 25%, mentre le proiezioni dall’Agenzia Internazionale per l’Energia stimano che entro il 2060 la maggior parte dell’elettricità generata nel mondo sarà prodotta da impianti a energia solare, la cui capacità aumenta di uno straordinario 50% ogni anno. Ma c’è ancora molto da fare per realizzare queste previsioni: per impiegare veramente su vasta scala le energie rinnovabili sarà necessario un profondo cambiamento delle nostre abitudini e una vigorosa spinta in tal senso da parte di tutti i Governi del mondo. Infatti l’impiego su vasta scala delle energie rinnovabili non sarebbe in sé sufficiente: la messa al bando della deforestazione, il contenimento della crescita demografica e lo sradicamento della povertà sono altre necessità inderogabili per ristabilire l’equilibrio del pianeta.

Il ruolo delle istituzioni

Malgrado il generale riconoscimento del problema ambientale da parte delle istituzioni internazionali, gli Stati del mondo hanno a lungo faticato prima di trovare un accordo che ponesse vincoli e obiettivi alle emissioni di gas serra di ciascun Paese. Il primo tentativo in tal senso è stato il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 febbraio 2005. Fortemente voluto dall’Unione Europea (che nel frattempo ha raggiunto i propri obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2020, stabiliti dal trattato), il Protocollo non aveva però ricevuto la ratifica né da parte degli Stati Uniti, né dei grandi Paesi emergenti come Cina e India, che sono ormai responsabili della maggioranza delle emissioni mondiali di gas serra.

Dopo la scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012 e una serie di tentativi infruttuosi per istituire un nuovo trattato che mettesse d’accordo la maggior parte dei Paesi del mondo, finalmente è stato trovato un accordo durante la ventunesima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (detta anche COP21), tenutasi nel 2015 a Parigi. L’urgenza di trovare un accordo globale per la riduzione delle emissioni di gas serra era ben presente a tutti i delegati, molti dei quali rappresentavano Paesi, come gli Stati isolani del Pacifico, che vedono minacciata la loro stessa esistenza in caso di ulteriore aumento delle temperatura globale e di innalzamento del livello degli oceani.

L’Accordo di Parigi prevede che tutti i Paesi firmatari si adoperino a ridurre le emissioni in quantità sufficiente per contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2 °C. Ancora più importante è che sia stato trovato un accordo sugli aiuti e gli indennizzi che i Paesi più industrializzati dovranno corrispondere ai Paesi in via di sviluppo per finanziare le rispettive politiche ambientali e aiutarli a passare alle energie rinnovabili. Attualmente gli Stati del mondo che hanno firmato l’Accordo sono 195, dei quali 180 l’hanno finora ratificato, un numero sufficiente a farlo entrare ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016.

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L’AMBIENTALISMO E LA CRESCITA DI UNA NUOVA COSCIENZA AMBIENTALE

Negli ultimi decenni sono stati molti i gruppi e le associazioni, di natura istituzionale o privata, che hanno sostenuto le ragioni dell’ambientalismo, cioè il movimento che pone al centro della propria azione la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente in cui viviamo. Tuttavia, nonostante la loro opera sia stata molto importante, e in alcuni casi fondamentale per sensibilizzare il resto della popolazione su alcune tematiche, risulta sempre più evidente la necessità che tutti gli abitanti del mondo sviluppino una propria coscienza ambientale.

Chi si occupa davvero dell’ambiente

Oltre all’IPCC, che come abbiamo visto riunisce gli scienziati incaricati di monitorare i cambiamenti climatici, l’altro importante organismo dell’ONU in materia ambientale è l’UNEP, United Nations for Environmental Programme (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente). Le sue aree di competenza spaziano dalla tutela ambientale – atmosfera, clima, suoli, acque, fauna e vegetazione – all’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. L’UNEP svolge un attivo ruolo diplomatico in sede internazionale e costituisce l’unico punto d’incontro istituzionalizzato in tema ambientale sia tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo sia tra autorità pubbliche, settore privato e società civile.

Il terzo settore

Il ruolo svolto dal cosiddetto terzo settore – Organizzazioni Non Governative (ONG), associazioni di volontariato, cooperative sociali – su problemi quali l’educazione e la prevenzione ambientale, il rispetto dei diritti umani, la pace, l’aiuto e la protezione delle persone più povere, l’assistenza sanitaria, è divenuto nella nostra epoca indispensabile per una larga fascia di popolazione. Da un certo punto di vista, può sembrare strano e perfino preoccupante che su molte questioni scottanti le istituzioni internazionali come l’ONU si affidino a organismi formati per larghissima parte da volontari. D’altra parte, il volontariato rappresenta oggi uno dei modi più diretti, per i singoli cittadini, di partecipare alla “cosa pubblica”, e la sua crescita costante è un confortante indizio della spinta, specialmente nei più giovani, a “farsi coinvolgere” in questioni che riguardano tutti.

Le ONG e l’ambiente

Moltissime sono le ONG (Organizzazioni Non Governative) e le associazioni che si occupano a vari livelli di tutela dell’ambiente e alcune operano e sono note in tutto il mondo.

Si pensi per esempio al WWF, sigla per World Wildlife Fund, fondato nel 1961. Divenuto poi World Wide Fund for Nature (Fondo mondiale per la natura) e noto anche come The Global Conservation Organization (Organizzazione per la conservazione globale), opera oggi in più di 100 Stati, impiega 4000 persone in tutto il mondo e finanzia circa 3000 progetti di conservazione; la sua principale battaglia è quella contro la perdita di biodiversità del pianeta.

Greenpeace, nata in Canada nel 1970 e presente in 39 Paesi, con circa 3 milioni di sostenitori nel mondo è forse la più battagliera delle associazioni ambientaliste: alla denuncia dei crimini ambientali si accompagna la sfida a Governi e grandi imprese con azioni non violente e dimostrative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. Fermare la caccia alle balene, proteggere le foreste, salvare gli oceani sono alcune delle sue campagne più popolari.

Il World Watch Institute (Istituto per l’osservazione del mondo), fondato nel 1974, costituisce la principale fonte di informazione sulle interazioni tra i problemi ambientali, sociali ed economici; esso opera per la transizione a una società giusta ed ecologicamente sostenibile.

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Una nuova società verde

Interrogativi, paure e suggestioni relativi alla questione climatica e alla sostenibilità ambientale sono oggi largamente condivisi su scala mondiale, anche dalla pubblica opinione. Il processo di “alfabetizzazione ecologica”, benché a ritmi diseguali nelle diverse regioni del mondo, prosegue, portando con sé l’idea che la “rivoluzione verde” possa avvenire solo in concomitanza con un profondo mutamento culturale e delle coscienze, a livello individuale e collettivo. In altre parole, i passaggi obbligati per l’immediato futuro – la drastica conversione a fonti energetiche alternative, il riciclaggio dei materiali inquinanti, l’arresto del processo di deforestazione, la stabilizzazione della popolazione, l’accesso universale all’istruzione e alle risorse – potrebbero essere vani senza l’adozione di comportamenti individuali più responsabili. 

La condivisione degli obiettivi da parte di cittadini, istituzioni e sistema produttivo può forse aprire la via a un processo in grado di invertire la rotta.

Due imperativi per il futuro: riciclo e sostenibilità

In un mondo sviluppato che fa dell’aumento della produzione di beni di consumo un indicatore fondamentale dello stato di salute dell’economia, il problema dello smaltimento dei rifiuti è divenuto sempre più pressante. Inoltre lo straordinario sviluppo economico di alcuni Paesi come Cina e India, e il conseguente aumento del benessere delle loro popolazioni, hanno determinato un aumento vertiginoso nella domanda di molti beni, che ha scatenato tra i vari Paesi una lotta per l’approvvigionamento delle materie prime, i cui prezzi sono costantemente aumentati negli ultimi anni.

Di fronte a questi fenomeni, una soluzione per sostenere la produttività senza provocare un tracollo ambientale ed economico è la pratica del capillare riciclo di ogni materia prima riutilizzabile nei processi produttivi. Non si tratta soltanto del riciclo dei comuni rifiuti domestici, la pur importante raccolta differenziata, ma anche dello smaltimento e del riutilizzo di materiali industriali la cui produzione ex novo causerebbe sprechi economici e danni ambientali. Tuttavia, anche l’adozione generalizzata di un’abitudine al riciclo e al riutilizzo da parte di tutti i Paesi del mondo potrebbe non essere sufficiente per sostenere lo sviluppo dei grandi Stati in ascesa economica e per assicurare che l’aumento del benessere delle loro popolazioni avvenga in maniera sostenibile per gli equilibri del nostro pianeta.

Sarà probabilmente necessario per gli abitanti dei Paesi più sviluppati rivedere le proprie abitudini quotidiane per ridurre i consumi ed eliminare gli sprechi consentendo al maggior numero possibile di persone nel mondo di godere di condizioni di vita dignitose. Occorre quindi prestare molta attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale degli stili di vita individuali e dei sistemi economici. Non si tratta certamente di mettere in discussione conquiste fondamentali come gli elevati standard nei campi della sanità e dell’istruzione, ma di mitigare alcuni degli eccessi della società contemporanea. Molto può essere fatto, per esempio, attraverso il riuso degli oggetti e mediante una rinnovata politica dei trasporti che privilegi i mezzi più economici e meno inquinanti (come i mezzi pubblici o la bicicletta).

Geo ATTUALITÀ

Riciclo: necessità e... moda

La cultura del riciclo e del recupero si sta diffondendo ovunque nel mondo. Nelle città portuali del Pakistan esistono enormi cantieri dove vecchie navi provenienti da tutto il mondo vengono smantellate e ogni parte della loro struttura è rimossa per essere riciclata e riutilizzata da un esercito di operai armati soltanto di semplici attrezzi. In Cina dispositivi tecnologici ormai sorpassati, come vecchie schede madri di computer e telefonini, vengono smontati per recuperare i metalli rari di alcuni loro componenti (nella foto, operai al lavoro), che verranno poi riutilizzati per produrre nuovi gadget. Ma anche in Occidente si sta diffondendo una nuova cultura del riciclo, che ha coinvolto anche settori spesso accusati di incoraggiare il consumismo e lo spreco come quelli della moda e del design. Basta ricordare le borse fatte con i copertoni o con i teli dei TIR, i mobili di cartone pressato riciclato, per arrivare a capi di marche prestigiose fatti con tessuti tratti da materiali riciclati, come pantaloni in tessuti ricavati dalla plastica delle bottiglie riciclate.

Ad alta quota - volume 3
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