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realismo

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Gustave Courbet

Funerale a Ornans

Che cosa sappiamo?

Dopo aver abitato per dieci anni a Parigi, Courbet torna per un periodo a Ornans, il suo paese natale. Qui dipinge la grandissima tela, lunga quasi sette metri, intitolata Funerale a Ornans, in cui raffigura probabilmente la cerimonia funebre dello zio.

Esposto a Parigi nel 1850, il dipinto suscitò sconcerto nei critici e nei visitatori del Salon, la mostra ufficiale di arte francese che si teneva a cadenza annuale. Lontana dallo stile “accademico” e neoclassico che ancora si insegnava nelle scuole d’arte, l’opera scandalizzò i parigini per la rappresentazione di un semplice funerale di campagna in un dipinto di proporzioni gigantesche.

Che cosa vediamo?

La tela ha la forma allungata e orizzontale tipica di un fregio antico (vedi p. 100), ma, anziché raffigurare un episodio della mitologia o della storia del passato, rappresenta un evento contemporaneo.

La scelta di un soggetto tratto dalla storia recente non era considerata così scandalosa per la pittura francese, ma a colpire gli spettatori fu il fatto che la scena non rappresentasse un episodio della grande storia francese, ma un evento minimo e senza importanza, come il funerale di uno sconosciuto in un villaggio di campagna. Un soggetto apparentemente così modesto viene inoltre trattato in dimensioni monumentali: i personaggi appaiono a grandezza naturale e in questo modo il funerale di un uomo qualunque acquista l’importanza di un avvenimento storico.

Nella tela si possono riconoscere tutti gli abitanti di Ornans, un piccolo paese francese: i membri del clero, i borghesi più ricchi ed eleganti, le donne di diverse età, i bambini. Come in un vero funerale, qualcuno si distrae, come per esempio il fanciullo sulla destra, più interessato a quello che sta facendo il cane che alla sepoltura.

In primo piano, davanti al becchino inginocchiato e quasi in posa, si trova la buca dove verrà deposta la bara: una fossa ampia che esce dal bordo del dipinto per entrare nel nostro spazio di osservatori, così da farci provare quasi una vertigine per la paura di caderci dentro.

Leggiamo l’opera

Ognuna delle figure è colta in leggero movimento: nessuno è immobile, ma i volti e i corpi si muovono come in una folla reale. Tutti i personaggi si trovano in primo piano, in uno spazio che sembra quasi contratto per la forma allungata del dipinto, e alcuni di loro sono tagliati dal bordo, come se la tela raffigurasse solo un istante della realtà che prosegue al di fuori dell’inquadratura.

Le pennellate sono rapide e veloci, e le forme appaiono realizzate da macchie di colore, senza un preciso disegno sottostante. Nel paesaggio bruno e terroso, con una natura spoglia a fare da sfondo, spiccano alcuni colori delle vesti: il nero, il bianco e il rosso.

Tutti i volti sono segnati da rughe, scavati, quasi sgradevoli: nell’esposizione ufficiale del 1850 i critici denunciarono la bruttezza dei personaggi definendo l’insieme rozzo e di poco interesse, senza comprendere la forza rivoluzionaria di una pittura che per la prima volta aveva abbandonato le raffigurazioni enfatiche del mito e dei grandi eventi storici.

Le vie dell'arte - volume B
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Dalla preistoria a oggi