2.6 Gli ultimi due anni di guerra

2.6 Gli ultimi due anni di guerra

Le svolte del 1917: l’uscita dell’Impero russo dalla guerra...
Nel corso del 1917 due eventi di portata globale impressero una svolta decisiva al corso della guerra: le rivoluzioni russe di febbraio e d’ottobre e l’intervento statunitense nel conflitto.

Nell’Impero russo, una rivolta a Pietrogrado (nome assunto dalla città di San Pietroburgo tra il 1914 e il 1924) aprì la strada al crollo dello Stato: cominciata come protesta per la mancanza di pane il 23 febbraio (8 marzo per il calendario occidentale), la rivolta si estese e, grazie anche al rifiuto di parte dell’esercito di eseguire l’ordine di sparare sulla folla, finì per travolgere lo zar Nicola II, che abdicò. Il nuovo governo provvisorio cercò di rassicurare gli alleati dell’Intesa, confermando l’intenzione di mantenere il proprio impegno bellico. Dall’estate del 1917, tuttavia, i fanti-contadini al fronte furono di fatto incapaci di compiere azioni offensive a causa della mancanza di rifornimenti bellici dovuta alla spaventosa crisi economica dell’Impero russo. Alla fine di ottobre (inizio di novembre), la dissoluzione imperiale fu accelerata da una seconda rivoluzione, che portò Lenin e i bolscevichi alla conquista del potere e l’ormai ex Impero russo fuori dal conflitto mondiale.

I bolscevichi avevano sperato che, con il loro appello alla rivoluzione, i soldati dei diversi fronti fraternizzassero, ponendo così fine alla guerra. In realtà, il vuoto di potere nell’ex Impero russo aveva facilitato l’offensiva dell’esercito tedesco, che avanzò nelle province baltiche, in Bielorussia e in Ucraina. Dopo la rivoluzione d’ottobre, i bolscevichi, attraverso uno degli esponenti più autorevoli del nuovo governo, Lev Trockij, avviarono le trattative di pace con l’Impero tedesco, mentre le truppe imperiali tedesche procedevano, ormai senza quasi alcuna resistenza, a occupare l’Ucraina. Il 3 marzo 1918 fu firmato il Trattato di Brest-Litovsk (città dell’attuale Bielorussia), che imponeva condizioni durissime ai bolscevichi: i tedeschi estendevano il loro controllo su un territorio vastissimo, che andava dal mar Baltico al mar Nero; la Russia bolscevica doveva rinunciare a Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Ucraina, dove si formarono governi indipendenti, anche se di fatto sottoposti al rigido controllo dell’Impero tedesco.

... e l’ingresso degli Stati Uniti
Nel frattempo, il 2 aprile del 1917, il Congresso degli Stati Uniti approvò la decisione del presidente Thomas Woodrow Wilson (1913-21) di intervenire nel conflitto. La causa immediata dell’intervento militare fu il moltiplicarsi di affondamenti di navi civili e mercantili nell’oceano Atlantico da parte degli U-Boot tedeschi, ma per Wilson la guerra era qualcosa di più profondo, «un segno della provvidenza divina» che dava agli Stati Uniti l’opportunità di riportare la pace nel mondo. Inoltre gli Usa avevano concesso alla Francia e al Regno Unito prestiti ingenti per sostenere le spese del conflitto, che difficilmente sarebbero stati restituiti se l’Intesa avesse perso la guerra. Tuttavia, trascorsero molti mesi prima che le truppe statunitensi giungessero in Europa e fossero operative sul fronte francese. Nel frattempo, gli Stati Uniti soccorsero i loro alleati britannici con un’intensa e continua linea di credito, che rimpinguò le casse ormai vuote dell’Intesa.

L’8 gennaio del 1918, di fronte al Senato, Wilson enunciò i “14 punti”, una serie di principi, sulla base dei quali il presidente americano intendeva definire l’assetto europeo del dopoguerra. Tra le altre cose, Wilson insisteva sulla necessità di rendere pubblici i trattati di pace, di garantire l’assoluta libertà di navigazione, di rimuovere tutte le barriere economiche che ostacolavano l’affermazione del libero scambio e di ridurre gli armamenti. Anche se i termini “democrazia” e “autodeterminazione dei popoli” non comparivano nel testo originale dei 14 punti – ai quali essi sono stati tradizionalmente associati in seguito – questi principi esprimevano indubbiamente la sostanza della politica su cui, secondo Wilson, avrebbe dovuto essere rifondato l’ordine europeo e mondiale dopo la guerra: un ordine in base al quale, in un fitto intreccio di idealismo e interessi economici, la democrazia fosse funzionale a un sistema di libero scambio e viceversa.

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La disfatta italiana a Caporetto
Con la firma del Trattato di Brest-Litovsk, la guerra tra Stati era formalmente finita a Est, anche se sul territorio dell’ex Impero russo cominciò una guerra civile che non avrebbe tardato a coinvolgere le grandi potenze. A Ovest, invece, il conflitto si intensificò, avvicinandosi alla sua fase finale. A seguito del crollo del fronte russo, gli Imperi centrali furono in condizione di trasferire le proprie truppe e di rafforzare le potenzialità offensive contro Italia e Francia [ 18]. Dopo una lunga fase di stallo, il fronte italiano fu travolto e l’esercito del generale Cadorna subì una vera e propria disfatta a Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia), il 24 ottobre 1917: 300 000 soldati italiani furono fatti prigionieri e altrettanti furono gli sbandati, cioè coloro che avevano perduto la propria unità di appartenenza. Cadorna non esitò ad accusare i soldati «vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico», nel tentativo di occultare le gravi responsabilità del comando italiano. Intanto, gli austro-ungarici penetrarono per decine di chilometri nella pianura friulana e veneta e giunsero fino al Piave, dove si attestarono le nuove linee di difesa italiane [ 19].
La situazione di estrema minaccia all’integrità territoriale dello Stato chiamò a raccolta le energie patriottiche, sotto la guida di un nuovo presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando (Paolo Boselli, che aveva appoggiato incondizionatamente il generale Cadorna, si era dovuto dimettere), e di un nuovo comandante in capo, il generale Armando Diaz.

Gli ultimi sanguinosi scontri sul fronte occidentale
Durante i primi tre anni di guerra, all’introduzione di nuove tecnologie nell’armamentario non corrisposero una trasformazione e un’evoluzione delle strategie militari. Solo nel 1918 i generali compresero la necessità di pianificare l’azione congiunta di fanteria e artiglieria insieme a quella di carri armati e aeroplani nello sviluppo di una strategia moderna, fondata sulla mobilità del fronte e sulla capacità di attacchi massicci e coordinati. In Germania il comando militare, affidato a Ludendorff e Hindenburg, che avevano sostituito von Falkenhayn alla guida dell’esercito, intendeva sfondare il fronte occidentale prima dell’arrivo delle truppe americane. Il 21 marzo 1918, le truppe tedesche, sotto la spinta di un potente fuoco d’artiglieria, mossero dalle linee della Somme, costringendo le forze anglo-francesi a retrocedere verso Amiens. Tuttavia, Ludendorff spinse troppo avanti le sue truppe, senza garantire il necessario supporto delle retrovie: le perdite furono altissime da entrambe le parti (240 000 vittime per i tedeschi, 340 000 per gli anglo-francesi). Il 5 aprile l’offensiva aveva ormai perso d’intensità, senza aver ottenuto una vittoria risolutiva. Attacchi successivi ai porti del Belgio e nelle zone dello Chemin des Dames e della Marna non conobbero una sorte migliore.

A fine giugno, l’Intesa poté dunque organizzare una controffensiva decisiva, rafforzata dall’intervento delle truppe americane che avevano cominciato ad affluire sul Vecchio continente al ritmo di 200 000 soldati al mese. Si trattò di un attacco multiplo, con lo scopo di impedire ai tedeschi di spostare le riserve in tempo e tappare le falle. Ludendorff resistette finché possibile davanti a forze ormai superiori, senza mai subire sconfitte vere e proprie. Per gli Imperi centrali, comunque, fu l’inizio di una rapida fine.

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L’armistizio con gli ottomani, il crollo dell’Impero austro-ungarico

Nell’ultimissima fase della guerra, le vicende militari e quelle politiche si intrecciarono ancor di più in un ordito pressoché inestricabile, che avrebbe determinato il nuovo ordine post-bellico. A settembre, l’Impero ottomano e l’Impero austro-ungarico, ormai al collasso, chiesero di trattare la pace. Il 30 ottobre 1918 fu siglato l’armistizio di Mudros (sull’isola greca di Lemno), con cui le autorità ottomane si arrendevano all’Intesa: a metà novembre Istanbul e Smirne furono occupate dalle forze francesi e inglesi.

Nel frattempo, l’Impero austro-ungarico si stava gradualmente dissolvendo: mentre a Vienna si gettavano le basi per la proclamazione della Repubblica austriaca e la fine della dinastia asburgica, i movimenti nazionali ceco, iugoslavo e polacco, che appoggiavano apertamente l’Intesa, si staccarono dall’Impero e proclamarono la formazione di nuovi Stati indipendenti: Cecoslovacchia, Iugoslavia e Polonia.

Nella battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre), gli italiani catturarono centinaia di migliaia di soldati austro-ungarici che si arrendevano. Il 3 novembre 1918 Italia e Impero austro-ungarico firmarono l’armistizio a Villa Giusti, vicino a Padova, mentre le truppe italiane facevano il loro ingresso a Trento e a Trieste: il giorno successivo le ostilità cessarono ufficialmente.

La resa tedesca
Nell’autunno del 1918 l’Impero tedesco si venne a trovare in una situazione paradossale: sul fronte orientale, anche grazie agli accordi di Brest-Litovsk, deteneva un potere sostanzialmente incontrastato; sul fronte occidentale, nonostante il parziale successo delle offensive primaverili, si prospettava invece un esito catastrofico, con la veloce avanzata degli eserciti dell’Intesa. Tuttavia, anglo-americani e francesi non varcarono mai i confini dell’Impero tedesco e non giunsero a combattere sul suo territorio. Questo fatto contribuì a rendere più difficili da accettare i termini della pace per la popolazione tedesca che li considerò iniqui e ingiustificati anche a causa del suo minore coinvolgimento nel conflitto.

Intanto, sul versante interno del Reich, gli ammutinamenti dei marinai di Kiel (città tedesca prospiciente l’arcipelago danese) e le rivolte di Monaco di Baviera e Berlino condussero alla proclamazione della Repubblica tedesca il 9 novembre 1918 e segnarono il destino del Reich guglielmino: la fine della monarchia coincise con l’abdicazione di Guglielmo II e il suo esilio olandese. La tardiva trasformazione del sistema istituzionale in senso liberale rappresentò un tentativo di ridurre il peso decisionale dei militari e di avviare negoziati per l’armistizio. In realtà, però, ebbe soprattutto l’effetto di diffondere a macchia d’olio la leggenda, di matrice nazionalista, della “pugnalata alla schiena”, che i presunti “nemici interni” avrebbero inflitto a una Germania ancora in grado di vincere la guerra.

La Germania aveva perso la guerra senza aver mai subito alcuna sconfitta decisiva sul campo di battaglia e senza che si fosse mai combattuto sul suo territorio.

Alle prime luci dell’alba dell’11 novembre 1918 fu firmato l’armistizio fra i generali francesi e tedeschi all’interno di una carrozza ferma nella foresta vicino a Compiègne (80 chilometri a nord-est di Parigi) lungo la linea del fronte che fu teatro del conflitto dal 1914 al 1918.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
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