2.5 Forme della guerra totale

2.5 Forme della guerra totale

Guerra totale e potere dello Stato
Nell’estate-autunno del 1914 nessuno immaginava che lo sforzo bellico avrebbe richiesto l’impiego di risorse umane e materiali così ingenti e per un periodo così lungo. Presto, però, divenne chiaro che occorreva un’organizzazione eccezionale per far fronte a questa nuova situazione. Così, tra il 1914 e il 1918, in diversi gradi e momenti, tutti gli Stati conobbero processi di crescente militarizzazione.

L’emergenza determinò un grado assolutamente nuovo di intervento dello Stato nella società e nell’economia. Questa profonda trasformazione incrementò l’efficienza bellica e impedì il diffondersi di movimenti rivoluzionari antimilitaristi, ma provocò anche un’alterazione della vita politica, con la limitazione o addirittura la sospensione dell’attività parlamentare (come nell’Impero austro-ungarico). Anche le forze politiche, con la significativa eccezione delle correnti socialiste avverse alla guerra, sospesero, almeno per i primi anni, le discussioni e le divisioni tipiche del tempo di pace.

L’impellente esigenza di organizzare e mobilitare l’intera società ai fini dell’impegno bellico implicò una compenetrazione sempre più stretta tra il potere civile e il potere militare. Nelle scelte dei governi assunsero un peso decisivo i capi di Stato maggiore dell’esercito – i generali Joseph Joffre in Francia, Helmuth von Moltke in Germania, Luigi Cadorna in Italia –, sui quali, per contro, ricaddero spesso anche le responsabilità per gli insensibili progressi del fronte e per le gravissime perdite. Non a caso, nel corso del conflitto questi generali furono rimossi e sostituti, rispettivamente, da Robert Nivelle (e poi da Ferdinand Foch), Erich von Falkenhayn (poi da Erich von Ludendorff e da Paul von Hindenburg) e Armando Diaz.
L’economia di guerra e l’inflazione
Il nuovo ruolo dello Stato si concretizzò soprattutto sul terreno dell’organizzazione economica [▶ fenomeni]. La mobilitazione delle risorse, il trasporto delle truppe e la produzione degli armamenti, delle munizioni e dei vettovagliamenti richiedevano uno sforzo logistico colossale, che contribuì a estendere a dismisura le funzioni dell’autorità pubblica. Si trattò di organizzare – e spesso di improvvisare – una vera e propria economia di guerra , in cui la produzione e la distribuzione erano poste totalmente al servizio degli eserciti . Per prevenire ogni forma di conflitto sociale che ostacolasse la produzione, fu imposta una severa disciplina militare al lavoro in fabbrica , anche grazie alla disponibilità dei sindacati a collaborare con le autorità. Inoltre, poiché la maggior parte degli uomini in età lavorativa era impegnato al fronte, le donne assunsero nuovi e più importanti ruoli sul posto di lavoro [ 17].

I costi economici della guerra furono altissimi. Per finanziare lo sforzo bellico, gli Stati – a partire dall’Impero russo – cominciarono a stampare grandi quantità di carta moneta, con una conseguente svalutazione del denaro e una crescita incontrollata dell’ inflazione. Il sistema monetario internazionale vigente fino al 1914 (il gold standard), fondato su una base aurea in virtù della quale a ogni unità monetaria corrispondeva una certa quantità fissa di oro, venne di fatto meno, mentre il rincaro dei prezzi dei prodotti di prima necessità giocò un ruolo decisivo nel fomentare le agitazioni sociali, condotte soprattutto dalle donne.

  fenomeni

L’economia di guerra

La guerra e la necessità di organizzare la produzione industriale a fini bellici ebbero un impatto strutturale e duraturo sulle relazioni tra lo Stato, la società e l’economia. Le politiche economiche del tempo di pace, che prevedevano un’azione pubblica per lo più mirata e selettiva, furono sostituite da un intervento sistematico e organico dello Stato nell’economia.

A contribuire a questa svolta fu uno dei più potenti imprenditori tedeschi, Walther Rathenau (1867-1922), dirigente della Società elettrica generale (Aeg), nonché scrittore e mecenate d’arte. Dal 1915 egli diresse, presso il ministero della Guerra, il Dipartimento per l’approvvigionamento delle materie prime per uso bellico, coordinando la produzione industriale, pianificando la distribuzione e regolamentando i prezzi dei beni di consumo.

Nel 1919 Rathenau pubblicò molti scritti su questa “nuova economia”, in cui elaborava una visione teorica dell’esperienza praticata durante la guerra. L’economia di guerra tedesca divenne così un modello che ispirò, tra gli altri, il capo bolscevico Lenin e il suo comunismo di guerra in Russia.

Un ruolo altrettanto importante fu ricoperto dal socialista e sindacalista francese Albert Thomas (1878-1932), incaricato fin dal 1914 di gestire i trasporti per scopo bellico e di garantire la massima efficienza nella produzione degli armamenti. Egli ebbe anche il compito di disciplinare il movimento sindacale per circoscrivere, quanto più possibile, i conflitti sociali. Il britannico Oswald Mosley incoraggiò la mobilitazione pubblica dell’economia, che fu d’ispirazione per John M. Keynes nel teorizzare la sua concezione interventista dello Stato in economia.

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Eserciti di massa e reparti speciali
Il primo banco di prova dell’organizzazione di guerra era stata la mobilitazione stessa, con cui, in modo rapido, erano stati reclutati e inquadrati in formazioni regolari milioni di uomini. In seguito, il problema principale divenne la necessità di sostituire le grandi perdite con il richiamo e l’addestramento di forze fresche (in Italia, gli ultimi a essere mobilitati furono, appena diciottenni, i cosiddetti “ragazzi del ’99”). Alla fine degli oltre quattro anni di conflitto, si calcola che furono mobilitati complessivamente circa 65 milioni di uomini. La leva obbligatoria era praticata in tutti gli Stati in guerra, con l’eccezione dell’Impero britannico, dove il servizio militare era volontario; ma anche qui, per quanto i volontari si fossero presentati in gran numero, dal marzo 1916 le necessità belliche imposero l’istituzione dell’esercito di leva. A fronte di questo carattere di massa assunto dal conflitto, comunque, in tutti gli eserciti si costituirono anche unità speciali di militari particolarmente motivati, addestrati e armati, destinati a compiere operazioni rapide e pericolose: i più noti fra questi furono gli Arditi, creati in seno all’esercito italiano nell’estate del 1917.

Violenza contro i militari, violenza contro i civili

Il numero quotidiano di vittime al fronte fu altissimo: ogni giorno perdevano la vita, mediamente, 900 francesi e 1300 tedeschi. Il 1° luglio 1916, data dell’avvio dell’offensiva britannica sulla Somme, fu il giorno più sanguinoso della guerra: 20 000 uomini d’origine britannica o provenienti dai possedimenti coloniali inglesi furono uccisi, e 40 000 furono feriti. Al fronte non mancarono esperienze di fraternizzazione tra soldati di opposti schieramenti o iniziative come le cosiddette tregue di Natale, ma, più che forme di vera e propria solidarietà fra le truppe, si trattava di tentativi di contenere la violenza reciproca.

La violenza, come si è accennato, non risparmiò i civili. Se sul fronte occidentale la guerra fu combattuta in zone circoscritte, con un limitato coinvolgimento della popolazione nei combattimenti, sul fronte orientale, in Galizia, nel Caucaso e in Anatolia, le vittime civili furono moltissime. A Ovest come a Est, comunque, furono compiute efferate operazioni contro le popolazioni civili: presa di ostaggi, massacri, stupri. Spesso le “atrocità tedesche” – in particolare quelle compiute nell’invasione del Belgio nel primo mese di guerra – furono amplificate da voci e false notizie derivanti da pregiudizi, stereotipi e paure; nondimeno, gli episodi di violenza contro la popolazione erano reali e frequenti.

In tutti gli Stati in guerra, inoltre, gli stranieri che si trovavano entro i confini nazionali, in specie se appartenenti a comunità considerate culturalmente legate a Stati nemici, furono sottoposti a regimi sempre più duri di discriminazione ed espulsione. Quando si trattava di comunità di decine o centinaia di migliaia di persone, come nel caso delle minoranze nazionali, le autorità arrivarono ad attuare detenzioni o deportazioni di massa. A questo scopo, furono aperti veri e propri  campi di internamento, soprattutto negli imperi multietnici, che temevano la solidarietà degli Stati nazionali confinanti nei confronti delle minoranze interne ai propri confini. Nelle minoranze si vedeva infatti una costante minaccia – poco importa se reale o immaginaria – all’unità e alla coesione della nazione in guerra. Peraltro, questi stessi Imperi non esitarono a chiamare alla rivolta le minoranze nazionali degli imperi nemici, cercando di provocarne la crisi.

Gli effetti dell’esperienza bellica
Nel corso del conflitto si sperimentarono nuove e micidiali armi di distruzione: le mitragliatrici, l’artiglieria, i primi aerei, i carri armati. Si fece persino ricorso all’uso dei gas. L’esperienza di una guerra di massa combattuta con il ricorso a queste tecnologie moderne, i cui effetti distruttivi erano assai più devastanti, determinò gravi effetti psicologici e sociali sui soldati e sugli ufficiali di ogni ordine e grado. Nonostante le virtù tradizionali del soldato – il coraggio e le abilità personali – conservassero un valore per sopravvivere in battaglia, un così intenso ricorso alla tecnologia faceva sì che sfuggire a un bombardamento di artiglieria fosse per lo più questione di fortuna.

La continua esposizione ai bombardamenti e ai loro devastanti effetti sonori e visivi provocava conseguenze durature tra i soldati: panico, senso di impotenza, stati di alterazione mentale. Un vero e proprio stato di terrore si diffondeva soprattutto quando le battaglie si facevano caotiche e si interrompevano i collegamenti con gli altri reparti; i fanti cercavano allora il primo riparo disponibile, in genere le stesse buche provocate dallo scoppio delle granate.

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Per i soldati di fanteria, in gran parte provenienti dal mondo rurale (il grosso degli eserciti era costituito da contadini), la guerra fu il primo, traumatico incontro con la modernità. Sradicati dalla vita tradizionale dei villaggi e allontanati dal lavoro nelle campagne, questi fanti-contadini venivano trasportati per la prima volta sui treni e inseriti forzatamente in una nuova comunità – l’esercito – socialmente eterogenea e basata su regole ferree; al fronte, poi, venivano esposti alla brutalità della vita di trincea e costretti all’uso di una sconosciuta tecnologia di morte.

D’altra parte, l’esperienza bellica contribuì a rafforzare il senso comunitario dei soldati all’interno dei reparti, dove nacquero legami di solidarietà e amicizia tra uomini di ogni estrazione sociale. In Italia, inoltre, si crearono per la prima volta i presupposti per una reale fusione delle frammentate culture dialettali, estremamente localizzate, in un senso di identità nazionale [▶ FONTI, p. 96].

Guerra, cultura e religione
In tutti i paesi, per sostenere lo sforzo bellico fu essenziale anche l’organizzazione del consenso, tramite il ricorso a una propaganda [▶ fenomeni]. che, attuata con moderne tecniche pubblicitarie (volantini, manifesti), mirava a coinvolgere tutta la società, a partire dai bambini. La radio e il cinema svolsero, in questo senso, un ruolo importantissimo. Complementare all’opera di propaganda fu il ricorso alla censura, strumento essenziale per controllare strettamente la circolazione delle informazioni sia tra i militari sia tra la popolazione civile. Un aspetto altrettanto rilevante, in quest’ambito, fu la mobilitazione degli intellettuali, in maggioranza disposti a partecipare alla propaganda di guerra, incitando alla lotta eroica contro il nemico, glorificando il sacrificio compiuto dai soldati per la collettività e richiamando le energie nascoste delle masse in nome di una grande missione nazionale.

Lo scontro fra culture tendeva anche a caricarsi di tonalità religiose, che facevano rivivere l’antico spirito di crociata volto a combattere l’“infedele”, ora identificato con il nemico della nazione. In questo senso la propaganda di guerra non esitò a manipolare la fede per esasperare l’ostilità fra comunità religiose diverse. D’altro canto, nelle condizioni estreme del fronte, in cui si era quotidianamente esposti al pericolo di morte, si faceva strada anche una nuova valorizzazione della fede come forma ultima di consolazione e speranza di salvezza.Secondo una logica di contrapposizione totale, la guerra veniva considerata giusta nella misura in cui difendeva la “civiltà” e combatteva la “barbarie” delle altre nazioni; e la rappresentazione del nemico come un “barbaro” si accompagnava spesso alla sua completa disumanizzazione.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi