T1 - Migrazioni senza frontiere

T1

Migrazioni senza frontiere

Martina Cvajner e Giuseppe Sciortino, Limes, Il mondo dopo Wall Street, 2008

Che ruolo ha il confine? Può essere concepito come strumento per regolare i flussi migratori? Quale rapporto intercorre tra la Grande guerra e la moltiplicazione delle barriere all’interno degli Stati? I confini sono tutti uguali? La porta chiusa al Mediterraneo e la porta aperta all’Est europeo.

1. Il ruolo esercitato dai confini degli Stati nell’attuale sistema migratorio mondiale è ancora ampiamente incompreso. Nel dibattito pubblico dei paesi occidentali è facile rintracciare due posizioni fortemente polarizzate. Per alcuni, l’esistenza stessa dei confini è un fatto trascurabile se non addirittura irrilevante: le dinamiche demografiche ed economiche determinerebbero infatti le dinamiche migratorie, trovando nella regolazione statale dei flussi un ostacolo flebile se non irrilevante. Per chi assume questa posizione, i confini servono solo a produrre nell’opinione pubblica dei paesi sviluppati un senso di sicurezza, tanto fragile quanto illusorio, relativo alla capacità di tenere a distanza la miseria del mondo.

Per altri, i confini statali sono macchine tecnologiche e organizzative feroci, roccaforti inespugnabili che tutelano la disuguaglianza globale. Per loro, il confine è il luogo dove ogni considerazione umanitaria si spegne, e dove le legittime aspirazioni degli abitanti del Sud del mondo si infrangono. Chi non ha mai sentito denunciare la Fortezza Europa?

Queste tesi opposte hanno qualcosa in comune: sono chiare, eleganti e consentono di proseguire all’infinito un dialogo tra sordi. Peccato abbiano in comune anche il fatto di essere sostanzialmente errate, inadeguate a comprendere la natura, le funzioni (e il possibile futuro) dei confini statali nella regolazione dei sistemi migratori contemporanei. I confini sono tutto meno che irrilevanti: le dinamiche migratorie contemporanee operano di fatto in un quadro di regolazione ben più intenso e sistematico di quello che i nostri antenati incontravano nel corso delle grandi migrazioni transoceaniche. Le disuguaglianze regionali sono enormi e tendono ulteriormente a crescere: se si misura l’efficacia dei sistemi di controllo rispetto alla domanda potenziale d’ingressi nei paesi sviluppati, c’è da ritenere che i confini dei paesi Ocse, lungi dall’essere un colabrodo, funzionino discretamente bene.

Allo stesso tempo, l’immagine della Fortezza Europa è fuorviante. È vero che i politici europei abbondano in retoriche restrizioniste: ma nell’ultimo ventennio l’intera Europa è divenuta un paese d’immigrazione. I paesi dell’Europa meridionale hanno visto crescere le proprie popolazioni straniere a ritmi decisamente veloci, quasi statunitensi. […]

Due estremismi non fanno quindi una buona analisi.

2. I confini territoriali sono un elemento fondamentale, ma anche fortemente peculiare, del processo di costruzione dello Stato moderno e contemporaneo. Il sistema politico del globo si differenzia infatti in modo segmentario, attraverso la moltiplicazione di Stati formalmente identici tra loro se non per la collocazione delle porzioni di spazio sul quale ognuno di essi rivendica la propria sovranità. Non sorprende quindi che il controllo dei confini di quello spazio sia un elemento fondamentale dell’attività statale. Allo stesso tempo, è bene ricordare come tale forma di differenziazione segmentaria del sistema politico sia un’anomalia rispetto agli altri sistemi sociali. L’economia, la scienza, le religioni, e anche le organizzazioni formali e le famiglie usano logiche spaziali del tutto diverse, trasversali rispetto alla definizione politica dello spazio. E questo implica che sui confini politici degli Stati si scarichi una varietà di tensioni di tipo e ambizioni diverse.

Ma cosa vuol dire controllo dei confini? E perché tale controllo dovrebbe riguardare anche gli spostamenti di popolazione? […]

La storia dello Stato moderno richiede la costruzione di confini chiari e ben delimitati sui quali si esercita un’autorità centralizzata e omogenea e rivolta a una categoria egualmente omogenea di sudditi-cittadini. Per un lungo periodo, tuttavia, questo non implica un interesse dei governanti nel controllo sulla propria popolazione. Gli Stati tengono raramente conto delle caratteristiche e delle origini della propria popolazione, e l’eventuale controllo sugli immigrati è personalizzato e affidato ai normali strumenti di polizia. I confini di questi Stati servono principalmente per incamerare parte delle risorse economiche che lo attraversano: il confine è il doganiere, non il funzionario del servizio immigrazione.

È solo con la trasformazione degli Stati europei in Stati nazione e con l’espandersi del colonialismo, che il confine acquista anche una funzione identitaria: il confine (idealmente) è dove si comincia a parlare un’altra lingua, dove bisogna cambiare il denaro usato, dove finisce una realtà sociale e ne inizia un’altra. Dal punto di vista di uno Stato che interpreta la propria missione in termini di tutela di una nazione, inoltre, alla tradizionale preoccupazione per l’emigrazione dei propri sudditi si aggiunge adesso il timore per l’immigrazione di persone etnoculturalmente diverse. […] Chi conosce la storia delle migrazioni sa che per un lungo periodo la costruzione dello Stato nazione è avvenuta insieme a una sostanziale libertà di movimento dei lavoratori europei. Per tutto l’Ottocento, i lavoratori italiani si sono spostati attraverso il globo senza incontrare ostacoli politici sistematici in termini di quote e contingenti. Infine, in quasi tutti i paesi europei il legislatore ha resistito a lungo all’introduzione di qualunque misura di controllo generalizzato della mobilità (cosa diversa da regolazioni selettive per motivi di ordine pubblico) anche contro richieste popolari sempre più forti. All’inverso, le forme di chiusura più radicale in questo periodo ricalcavano differenze di tipo religioso e razziale e non nazionale. Contrariamente a quanto si possa pensare, lo Stato nazionale non è necessariamente uno Stato interventista in campo migratorio.

3. Il punto di svolta si registra con la Prima guerra mondiale. L’intero apparato di controllo che oggi conosciamo viene praticamente istituzionalizzato nel giro di pochissimi anni, tra il 1910 e il 1930. Il diritto internazionale viene modificato per riconoscere il diritto degli Stati al trattamento discrezionale degli stranieri, vengono introdotti il passaporto e il visto come documenti di viaggio nonché la registrazione amministrativa degli stranieri residenti, l’accesso al mercato del lavoro degli stranieri viene regolamentato, vengono creati uffici di polizia specializzati, vengono introdotte procedure di

espulsione degli stranieri “irregolari” anche a prescindere da considerazioni di ordine pubblico. È in questi anni che si realizza il monopolio statale dei mezzi legittimi di movimento. […] Con l’introduzione generalizzata del principio “a lavoro uguale, paga uguale”, i lavoratori autoctoni ottengono che l’ingresso di nuovi lavoratori possa avvenire solo in caso di carenza “assoluta” di lavoratori e non per una loro sostituzione; col principio della “preferenza nazionale”, gli stessi ottengono che i lavoratori stranieri non possano essere usati per calmierare le rivendicazioni salariali.

Un altro fattore, forse persino più importante, è costituito dallo stesso sviluppo dello Stato sociale: più lo Stato ridistribuisce servizi su base generalizzata, più diventa importante chiudere la platea dei potenziali beneficiari dei provvedimenti. Questi due fattori restano oggi, e nel futuro prevedibile, l’ostacolo principale alla rimozione dei confini, a politiche espansive di circolazione migratoria. Si può immaginare uno Stato sviluppato che gestisca in modo liberale le richieste di ingresso. Ma è possibile immaginare uno Stato sociale universalista che faccia lo stesso?

4. […] Gli ultimi decenni in Europa non hanno affatto visto un indebolimento dei confini quanto piuttosto una loro moltiplicazione. E questa moltiplicazione di confini ha contribuito a creare una vera e propria stratificazione nella popolazione straniera irregolare, che sempre più si distingue per molteplici aspetti.

Il caso italiano è sotto questo aspetto esemplare. L’attenzione pubblica è chiaramente concentrata sugli sbarchi che hanno luogo attraverso il Mediterraneo mediante l’utilizzo di natanti. Questa modalità di ingresso irregolare ha un impatto fortemente mediatico, altamente congruente con l’idea istituzionalizzata del confine come una linea da attraversare. Questa modalità di ingresso è inoltre fortemente problematica sotto il profilo umanitario: i rischi di morte e di abuso ai quali vanno incontro i migranti che seguono questo percorso sono infatti molto elevati. Tuttavia, come recenti studi dimostrano, tali sbarchi sono una componente marginale e trascurabile del mondo dell’emigrazione irregolare. E si tratta inoltre di una componente in forte diminuzione.

L’elemento portante dell’immigrazione irregolare in Italia, come in molti altri paesi europei, opera da sempre attraverso l’uso dei visti turistici ai quali fa seguito una permanenza irregolare. Si tratta cioè di un’immigrazione irregolare ma non clandestina, di fatto tollerata dagli Stati europei come un male minore.

5. Le opinioni pubbliche europee sono scettiche sulle capacità dei sistemi di controllo di prevenire le migrazioni indesiderate. Molti attivisti accusano gli stessi sistemi di essere stupidamente crudeli, colpendo a casaccio gli uni piuttosto degli altri. Altri ancora vedono nell’esistenza di immigrati irregolari la prova del fallimento dei controlli. Ma questo vuol dire davvero ragionare sulla base di aspettative eccessive: il fatto che avvengano gli omicidi non ci fa pensare che il codice penale sia inutile. Occorre inoltre tenere presente che i confini sono selettivi e differenziati: non producono effetti solo sull’ammontare di potenziali immigrati, ma anche sulle loro caratteristiche e sul radicamento geopolitico dei flussi migratori. Nel caso dell’Italia, ad esempio, l’evoluzione della situazione nell’ultimo ventennio si caratterizza principalmente per una riduzione della rilevanza dei sistemi migratori transmediterranei e per una forte crescita dei flussi migratori provenienti dall’Europa orientale.

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comprensione del testo

Dopo un’attenta lettura del testo, rispondi alle domande.


a. Quali sono i due orientamenti sui confini presenti nei paesi occidentali? (massimo 10 righe)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


b. Quando e perché i confini acquisiscono una funzione identitaria? (massimo 10 righe)

 

 

 

 

 

 

 

 

 


c. In che modo e quando si istituzionalizza il concetto moderno di “confine”? (massimo 10 righe)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


d. Quali fattori costituiscono l’ostacolo principale alla rimozione dei confini? (massimo 10 righe)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Analisi e riassunto

Riassumi il contenuto del testo dell’autore indicando gli snodi del suo ragionamento. Puoi aiutarti compilando la seguente scheda di sintesi.


 

Migrazioni senza frontiere

Problema

 

 

Tesi

 

 

Antitesi

 

 

Argomenti a favore della tesi

 

 

COMMENTO

Traendo spunto dal brano proposto, sulla base delle conoscenze di studio, delle letture e di altre fonti significative, descrivi il ruolo dei confini nella gestione dei flussi migratori nel XX e XXI secolo e rifletti su come cambia la percezione e il controllo del confine insieme alla percezione dell’opinione pubblica sull’impatto del fenomeno migratorio.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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