3. Passato e presente di un secolo terribile

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Passato e presente di un secolo terribile

Dopo il 1991, cioè dopo la fine del blocco sovietico, si cominciò a stilare una serie di bilanci storici del Novecento, in cui trovavano spazio tanto il fascismo e il nazismo quanto il comunismo e in cui si delineava un racconto unitario delle vicende europee, occidentali e centrorientali. Norman Davies, studioso della Polonia, ha contribuito a forgiare una nuova memoria del Novecento, in cui si riconosce una piena centralità alle esperienze totalitarie che investirono l’Europa orientale: è sua convinzione infatti che la memoria della Seconda guerra mondiale, fondata sullo schema esclusivo di opposizione tra fascismo e antifascismo, avesse deformato la visione delle catastrofi del 1914-45. Tony Judt, storico del socialismo e dell’Europa del dopoguerra, ha invece richiamato il carattere parziale e selettivo di ogni forma di memoria pubblica, tanto prima quanto dopo il 1989: se la memoria dell’antifascismo aveva contribuito a legittimare gli Stati nazionali dopo il 1945, la costruzione di una nuova memoria centrata sulla Shoah funziona in chiave di legittimazione dell’Unione Europea.

testo 1
Norman Davies

Le esperienze totalitarie nella memoria del Novecento

La prima metà del Novecento, segnata dalle due guerre mondiali e dalle esperienze totalitarie, rappresentò una vera e propria regressione nella storia europea, attraverso l’affermazione violenta di regimi che attraverso la repressione e lo sterminio puntavano a rovesciare e distruggere l’eredità liberale e democratica dell’Occidente.

Vi sono sfumature di barbarie nell’Europa del xx secolo che, un tempo, avrebbero stupito i più barbari fra i barbari. Proprio quando gli strumenti di progresso raggiunsero potenzialità sino ad allora sconosciute, gli europei s’imbarcarono in una serie di conflitti che distrussero più vite umane di tutti gli sconvolgimenti passati messi insieme. In particolare, le due guerre mondiali del 1914-18 e del 1939-45 furono incredibilmente distruttive e dilagarono sino a coinvolgere tutto il globo. Ma il centro focale fu senza dubbio l’Europa. Per di più, nel corso di queste due generazioni insanguinate dalla guerra, i due paesi più popolosi d’Europa caddero nelle mani di regimi politici feroci le cui repressioni interne uccisero decine di milioni di persone, molto più delle loro guerre. Una delle rare voci della coscienza, la poetessa russa Anna Achmatova1, disse in anticipo che qualcosa di orribile stava accadendo:

Perché quest’epoca è peggiore delle epoche precedenti?
In uno stupore di dolore e spavento
non abbiamo noi toccato le ferite più infette
lasciando che le nostre mani non le curassero?
A occidente, le luci sbiadite brillano ancora
e i tetti affastellati scintillano al sole,
ma qui la Morte sta già segnando le porte con le croci,
e chiamando i corvi, e i corvi stanno arrivando in volo.

Gli storici futuri, pertanto, sicuramente considereranno i tre decenni tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1945 come l’epoca in cui l’Europa perse la testa. Gli orrori del totalitarismo fascista e comunista, aggiunti agli orrori di una guerra globale, portarono morte, miseria e degradazione in quantità insuperata. Nello scegliere i simboli capaci di rappresentare al meglio l’esperienza umana di quegli anni, difficilmente si potrebbe scegliere qualcosa di diverso dagli strumenti di morte: i carri armati, i bombardieri, i gas, le trincee, le tombe al milite ignoto, i campi di sterminio e le fosse comuni.

La riflessione su questi orrori, che mettono in ombra tutte le conquiste positive del periodo, rende necessaria e urgente una serie di considerazioni generali. Nel corso di questi orrori, gli europei gettarono al vento la loro leadership mondiale: l’Europa fu eclissata dalla sua stessa follia. Nel 1914 il potere e il prestigio dell’Europa non avevano rivali: gli europei primeggiavano in quasi tutti i settori più importanti – scienza, cultura, economia, moda. Grazie agli imperi coloniali e alle compagnie commerciali, dominavano l’intero pianeta. Verso il 1945 era andato quasi tutto perduto: gli europei avevano combattuto fra loro sino al completo esaurimento. Il potere politico dell’Europa diminuì molto; economicamente e militarmente il vecchio continente fu superato; e la potenza coloniale non fu più a lungo sostenibile. La cultura europea perse fiducia in se stessa; il prestigio e la reputazione morale dell’Europa svanirono. Con una ragguardevole eccezione, verso il 1945, ogni singolo stato europeo che era entrato nella mischia nel 1914, ne uscì sconfitto militarmente e annientato politicamente. L’unico paese che evitò il disastro totale riuscì a sopravvivere solo cedendo la propria indipendenza politica e finanziaria2. Quando il polverone della guerra cessò, le rovine dell’Europa passarono sotto il controllo di due potenze extraeuropee, Usa e Urss, nessuna delle quali era stata presente all’inizio. [...]

Malgrado la vittoria delle democrazie occidentali, il prodotto politico più dinamico della Grande guerra fu il mostro antioccidentale, antiliberale e antidemocratico del totalitarismo. Il termine fu coniato dai fascisti italiani per rendere manifeste le loro aspirazioni. Ma dal 1928 fu ripreso per descrivere il denominatore comune del fascismo e del comunismo. Dopo la soppressione dell’Ungheria sovietica, la Russia sovietica (1917-22), poi Urss (dal 1923), rimase a lungo l’unico stato comunista esistente. Il suo esempio esercitò un’influenza immensa. I regimi fascisti più importanti emersero in Italia (1922), in Germania (1933) e in Spagna (1936).

II concetto di totalitarismo fu respinto sia dai comunisti sia dai fascisti, cioè dagli stessi totalitari. Nel periodo della Guerra fredda, il concetto diventò una “patata bollente” politica e ha goduto solo di alterne fortune tra gli accademici e i teorici politici occidentali. Non è riuscito ad attirare quelli che preferiscono dei modelli ordinati e a compartimenti stagni né quelli che identificano i fenomeni politici con le forze sociali. È un anatema, un “relativismo ignobile” per chiunque sostenga che solo il fascismo o solo il comunismo fossero malvagi. Di contro è fortemente sostenuto da tutti quegli europei che hanno sperimentato sulla propria pelle sia l’uno che l’altro. Il comunismo e il fascismo non furono mai identici: si sono entrambi evoluti nel tempo e hanno prodotto frutti diversi. Ma avevano in comune molto più di quanto i loro sostenitori fossero pronti ad ammettere. I punti in comune formano una lunga lista. Un primo studio sulla questione parla di una «sindrome di sei punti». Ma sei punti non sono sufficienti:


1. L’ideologia nazionalsocialista. Sia il comunismo che il fascismo furono movimenti radicali le cui ideologie mescolarono componenti nazionaliste e socialiste. Durante gli anni Venti i bolscevichi mitigarono gradualmente il loro internazionalismo, adottando contemporaneamente i postulati del nazionalismo russo più estremo. Sotto Stalin, il miscuglio ideologico fu classificato come “bolscevismo nazionale”. Nello stesso periodo i nazisti tedeschi modificarono le componenti socialiste della loro ideologia. Il nazionalismo socialista e il nazionalsocialismo si consolidarono nello stesso momento, il 1934. A livello conscio, i comunisti e i fascisti furono addestrati a sottolineare le loro differenze. Di contro, se spinti a riassumere le loro convinzioni, spesso diedero risposte sorprendentemente simili. Uno di loro disse: «Per noi patrioti sovietici, la patria e il comunismo si fusero in un unico indivisibile». Un altro pose la questione in questi termini: «il nostro movimento assunse il controllo del marxismo codardo ed estrasse il significato [vero] del socialismo. Poi prese anche il nazionalismo dei partiti borghesi codardi. Buttandoli insieme nel calderone del nostro stile di vita ne emerse una sintesi chiara come il cristallo: il nazionalsocialismo tedesco». Non per niente, la gente spaventata da una simile oratoria era incline a considerare i comunisti come “fascisti rossi” e i fascisti come “comunisti bruni”.


2. Pseudoscienza. Sia i comunisti che i fascisti pretesero di basare le loro ideologie su leggi scientifiche fondamentali, responsabili, a loro giudizio, dello sviluppo della società umana. I comunisti fecero ricorso a una versione del “marxismo scientifico” o del materialismo storico, i nazisti all’eugenetica e alla scienza razziale. In entrambi i casi, né i loro metodi né le loro scoperte scientifiche riuscirono ad affermarsi in modo indipendente.


3. Obiettivi utopici. Tutti i sostenitori del totalitarismo accarezzavano la visione di un Uomo Nuovo che doveva creare un Ordine Nuovo libero da tutte le impurità esistenti. La natura della visione poteva variare. Poteva essere la fase finale senza classi del comunismo puro come predicata dai marxisti-leninisti, il paradiso ariano e senza ebrei dei nazisti, o la restaurazione di uno pseudoimpero romano come in Italia. La costruzione del nuovo ordine era un compito che giustificava tutti i sacrifici e le brutalità del presente.


4. Il dualismo partito-stato. Una volta al potere il partito totalitario creava degli organismi all’interno del proprio apparato per duplicare e controllare ogni altra istituzione esistente. Le strutture dello Stato erano ridotte a mere cinghie di trasmissione per eseguire i desideri del partito. Questo sistema dittatoriale dualista era molto più pervasivo di quanto implicasse la formula familiare, ma ingannevole del “partito unico di stato”.


5. Il Führerprinzip (“principio guida”). I partiti totalitari funzionavano secondo un modello gerarchico molto rigido. Esigevano l’obbedienza servile dei sottoposti attraverso il culto indiscusso del capo del partito, la fonte di ogni saggezza e bene, il Führer, il Vozhd’, il duce, il caudillo o il “grande timoniere”. Da questo punto di vista Lenin fu un’eccezione, ma il culto della personalità fu il tassello centrale sia dello stalinismo che dell’hitlerismo.


6. Gangsterismo. Molti osservatori hanno notato una forte somiglianza fra il comportamento delle élite totalitarie e quello delle confraternite criminali3. I gangster ottengono un controllo parossistico4 su una data comunità “proteggendola” dalla violenza che loro stessi generano. Abitualmente eliminano i loro rivali e terrorizzano sia i loro affiliati che le loro vittime. Manipolano la legge e, mentre mantengono una facciata di rispettabilità, usano il ricatto e l’estorsione per prendere il controllo di tutte le organizzazioni che operano a livello locale.


7. Burocrazia. Tutti i regimi totalitari ebbero bisogno di un ampio esercito di burocrati da inserire negli organi fotocopia dello Stato partito. Questa nuova burocrazia offrì a tantissime persone di ogni estrazione sociale la possibilità di fare rapidamente carriera. Completamente dipendenti dal partito, si può dire che fossero la sola componente sociale i cui interessi dovevano essere presi in considerazione dal regime. Nello stesso tempo, questa nuova burocrazia comprendeva una quantità di “centri di potere” in competizione fra loro le cui rivalità nascoste generarono la sola forma genuina di vita politica esistente.


8. Propaganda. La propaganda totalitaria dovette molto alle tecniche subliminali della pubblicità moderna e di massa. Usava simboli emotivi, son et lumière5, piegava l’arte al servizio della politica e si serviva di architetture imponenti e del principio della “menzogna colossale”. La sua demagogia spudorata era diretta alle componenti più vulnerabili e astiose della società, quelle sradicate dalla guerra e dalla modernizzazione.


9.L’estetica del potere. I regimi totalitari di fatto monopolizzarono le arti, diffondendo un ambiente estetico atto a glorificare il partito al potere, ad abbellire i legami fra il partito e il popolo, celebrati nelle rappresentazioni eroiche dei miti nazionali e a indulgere in fantasie megalomani. I fascisti italiani, i nazisti tedeschi e i comunisti sovietici condivisero il gusto per le raffigurazioni solenni del capo, le sculture mastodontiche di operai muscolosissimi e gli edifici pubblici pomposi di proporzioni gigantesche.


10. II nemico dialettico. Nessun regime totalitario poteva sperare di legittimare i propri piani malvagi senza un nemico malvagio da combattere. L’ascesa del fascismo in Europa fu una benedizione per i comunisti, che altrimenti avrebbero potuto giustificarsi solo riferendosi ai mali più vaghi del liberalismo, dell’imperialismo e del colonialismo. I fascisti non smisero mai di giustificare la propria esistenza parlando della loro crociata contro il bolscevismo e i comunisti della loro “lotta contro il fascismo”. Le contraddizioni del totalitarismo misero in moto l’odio e i conflitti da esso stesso alimentati.


11. La psicologia dell’odio. I regimi totalitari innalzarono la temperatura emotiva facendo leva sull’odio contro i nemici interni ed esterni. Gli avversari onesti o gli oppositori degni non esistevano. Nel repertorio fascista, gli ebrei e i comunisti erano in cima alla lista; nel repertorio comunista, i fascisti, i servi dei capitalisti, i kulaki e i supposti sabotatori furono messi alla berlina senza pietà.


12. Censura preventiva. Le ideologie totalitarie non potevano funzionare senza un meccanismo di censura perfetto, capace di controllare ogni fonte d’informazione. Non era sufficiente censurare opinioni o fatti che non fossero graditi; era necessario prefabbricare tutte le informazioni che potevano circolare.


13. Genocidio e coercizione. I regimi totalitari spinsero la violenza politica oltre ogni limite. La polizia politica e i servizi di sicurezza furono occupati prima a distruggere tutti gli oppositori e gli elementi indesiderabili e poi a inventarsene di nuovi per mantenere la macchina in movimento. Le campagne di genocidio contro i “nemici” sociali o razziali (del tutto innocenti) aggiunsero credito alle pretese ideologiche e mantennero la popolazione in uno stato di paura permanente. Gli arresti di massa e le esecuzioni, i campi di concentramento e gli assassini indiscriminati furono la norma.


14. Collettivismo. I regimi totalitari enfatizzarono ogni genere di attività tesa a rafforzare i legami collettivi e a indebolire la famiglia e l’identità individuale. Gli asili gestiti dallo Stato, “l’arte sociale”, i movimenti giovanili, le manifestazioni del partito, le parate militari e le uniformi servivano a rafforzare la disciplina sociale e i comportamenti conformisti. Nell’Italia fascista fu istituito un sistema di corporazioni gestite dallo Stato per sostituire tutti i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro; nel 1939 la Camera dei fasci e delle corporazioni prese il posto della Camera dei deputati.


15. Militarismo. I regimi totalitari di solito ingigantirono la “minaccia esterna”, o la inventarono, per riunire i cittadini in difesa della patria. Il riarmo fu una delle priorità economiche principali. Sottoposte al controllo del partito, le forze armate godettero del monopolio degli armamenti e di un grande prestigio sociale. Tutti i piani militari offensivi furono descritti come difensivi.


16. Universalismo. I regimi totalitari agirono in base al presupposto che il loro sistema si sarebbe in qualche modo diffuso in tutto il globo. Le ideologie comuniste sostennero che il marxismo-leninismo fosse “scientifico” e quindi universalmente applicabile. I nazisti marciarono al suono di «Denn heute gehört uns Deutschland, Und morgen die ganze Welt» (“Per oggi è la Germania che è nostra, / domani lo sarà il mondo intero”).


17. Disprezzo per la democrazia liberale. Tutti i regimi totalitari disprezzavano la democrazia liberale per il suo umanitarismo, per la sua fede nel compromesso e nella coesistenza, per il suo mercantilismo e per il suo attaccamento alla legge e alla tradizione.


18. Nichilismo morale. Tutti i regimi totalitari condivisero l’idea che il fine giustifica i mezzi. Il «nichilismo morale», scrisse un osservatore britannico, «non è solo la caratteristica centrale del nazionalsocialismo, ma è anche la caratteristica centrale che lo accomuna al bolscevismo».


Il concetto di totalitarismo si regge o cade sulla sostanza di questi punti comuni. La sua validità non è influenzata dai vari giochi politici e intellettuali per cui è stato successivamente usato.

Ma ovviamente, il comunismo e il fascismo costruirono la propria identità basandosi su fonti diverse. I comunisti sposarono la lotta di classe, i nazisti la purezza razziale. Differenze importanti riguardarono anche la sfera economica e sociale. I fascisti si guardarono bene dal toccare la proprietà privata e portarono dalla loro parte i grandi industriali. I comunisti abolirono quasi del tutto la proprietà privata. Nazionalizzarono l’industria, collettivizzarono l’agricoltura e istituirono un sistema di pianificazione centrale controllata. Da questo punto di vista, il comunismo deve essere considerato la branca più totalitaria del totalitarismo.

Naturalmente, è necessario sottolineare che “il totale controllo umano” a volte attribuito al totalitarismo fosse in realtà solo una chimera. Le utopie totalitarie e le realtà totalitarie furono due cose ben diverse. I grandiosi piani totalitari furono spesso enormemente inefficienti. Il totalitarismo non fa riferimento alle conquiste dei regimi, ma alle loro ambizioni. Per di più, il totalitarismo, come una malattia genera i propri anticorpi. L’oppressione grossolana spesso ispira una resistenza eroica. L’esposizione a una filosofia menzognera qualche volta può generare persone di grandi principi morali. Gli anticomunisti più determinati furono gli ex comunisti. Gli antifascisti migliori furono onesti patrioti tedeschi, italiani o spagnoli.


tratto da Storia d’Europa , Mondadori, Milano 2001

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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