Adam Tooze - La crisi economica e politica occidentale del 2008-12

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Adam Tooze 

La crisi economica e politica occidentale del 2008-12

La crisi finanziaria ed economica americana del 2007-08 e quella dell’Eurozona del 2010-12 hanno costituito due momenti di una più generale crisi transatlantica, che ha finito per ripercuotersi su scala globale, mettendo in discussione l’ordine costruito intorno al primato americano e occidentale, sollevando un’acuta instabilità politica internazionale e riproponendo le grandi questioni al cuore delle crisi della modernità.

Guardare alla crisi del 2008 come a un evento fondamentalmente americano era una prospettiva allettante, perché era lì che tutto era cominciato. Inoltre, molte persone in ogni parte del mondo erano contente di immaginare che l’iperpotenza stesse ricevendo la meritata punizione. Il fatto che anche la City di Londra1 stesse implodendo rendeva ancora più piacevole il momento. Agli europei faceva comodo spostare le responsabilità oltremanica e poi al di là dell’Atlantico. In effetti era una sceneggiatura preparata in anticipo. Come vedremo nella Parte prima, gli economisti che in America e fuori erano più critici nei confronti della presidenza Bush2, compresi molti dei principali studiosi di macroeconomia3 del nostro tempo, avevano già preparato la reazione a un eventuale disastro, che ruotava intorno al doppio deficit americano – di bilancio e commerciale – e alle implicazioni per la dipendenza dell’America dai prestiti esteri. I debiti accumulati dall’amministrazione Bush erano la bomba che avrebbe dovuto esplodere. L’idea della crisi del 2008 come distintamente anglo-americana, inoltre, ricevette una conferma indiretta diciotto mesi dopo, quando anche l’Europa sperimentò la propria crisi, che però sembrava seguire una sceneggiatura alquanto diversa, centrata sulla politica e la nascita dell’Eurozona4. La narrazione storica, dunque, sembrava svolgersi ordinatamente, con una crisi europea che seguiva una crisi americana, ciascuna con proprie e distinte logiche economiche e politiche.

La tesi di questo libro è che guardare alla crisi del 2008 e alle sue conseguenze soprattutto sulla base del suo impatto sull’America vuol dire fraintenderne e sottovalutarne la portata economica e storica di fondo. Il punto zero5 fu sicuramente il mercato immobiliare americano. Milioni di famiglie statunitensi furono tra le prime vittime, e tra quelle colpite più duramente. Questo disastro, tuttavia, non fu la crisi che era stata ampiamente anticipata prima del 2008, vale a dire una crisi dello Stato americano e delle sue finanze pubbliche. Il rischio di un collasso di Cina e America, che molti temevano, fu contenuto. Si trattò, invece, di una crisi finanziaria innescata dalla stagnazione del mercato immobiliare americano che mise in pericolo l’economia mondiale. Una crisi che si diffuse ben oltre l’America, fino a scuotere i sistemi finanziari di alcune delle economie più avanzate del mondo: la City di Londra, l’Asia orientale, l’Europa orientale e la Russia. E che ha continuato a farlo. Contrariamente alla narrazione diffusa su entrambe le sponde dell’Atlantico, la crisi dell’Eurozona non è un evento separato e distinto, ma deriva direttamente dallo shock del 2008. La nuova descrizione della crisi come interna all’Eurozona e incentrata sulle politiche di debito pubblico fu di per sé un atto politico.

[...]

Visto che si trattava essenzialmente di crisi correlate e che la prima era di dimensioni molto più ampie e più drammatica nella sua rapidità, il contrasto tra il contenimento relativamente efficace del collasso globale nel 2008, descritto nella Parte seconda e il disastro dell’Eurozona raccontato nella terza è davvero stridente. Intorno al debito greco gli europei hanno costruito la propria crisi, con una propria narrazione. Al centro c’erano le politiche del debito sovrano, ma, come i responsabili della ue sono ora disposti ad ammettere pubblicamente, questo non aveva alcun fondamento sul piano economico. La sostenibilità del debito pubblico può diventare un problema, a lungo termine. La Grecia era insolvente. Ma l’eccessivo debito pubblico non era il denominatore comune della più ampia crisi dell’Eurozona. Il denominatore comune era la pericolosa fragilità di un sistema finanziario eccessivamente legato all’indebitamento, e troppo dipendente da finanziamenti a breve termine basati sul mercato. La crisi dell’Eurozona è stata un’enorme scossa di assestamento del terremoto che ha devastato il sistema finanziario del Nord Atlantico nel 2008, che si è risolta in ritardo, ostacolata dal labirintico quadro politico della ue. Come ha detto un esperto, molto vicino ai programmi di salvataggio della ue: «Se avessimo messo le banche sotto supervisione centrale già [nel 2008], avremmo risolto il problema in un sol colpo». Invece, la crisi dell’Eurozona si allargò, in un circolo vizioso di credito pubblico e privato, oltre che in una crisi del progetto europeo in quanto tale.

[...]

La crisi finanziaria ed economica del 2007-12 si è trasformata, tra il 2013 e il 2017, in una crisi politica e geopolitica globale dell’ordine mondiale uscito dalla Guerra fredda, le cui ovvie implicazioni politiche non dovrebbero essere schivate. Il conservatorismo può essere stato un disastro come dottrina per combattere la crisi, ma gli eventi dopo il 2012 lasciano intendere che anche il trionfo del liberalismo di centro sia stato fasullo. Come ha messo a nudo la straordinaria escalation del dibattito sulle disuguaglianze negli Stati Uniti, i liberali centristi faticano a trovare una risposta convincente ai problemi di lungo termine della moderna democrazia capitalista. La crisi si è innestata su tensioni preesistenti per le crescenti disuguaglianze e la privazione dei diritti civili, e le drammatiche misure adottate dal 2008 per rispondere alla crisi, malgrado la loro efficacia a breve termine, hanno avuto i loro effetti negativi collaterali6. Su questo punto i conservatori avevano ragione.

Nel frattempo, le sfide geopolitiche lanciate non dai violenti disordini in Medio Oriente o dall’arretratezza «slava», ma dall’avanzata della globalizzazione, non sono certo svanite. Sono diventate ancora più intense. E anche se esiste ancora l’«alleanza occidentale», questa è sempre meno coordinata. Nel 2014 il Giappone è arrivato vicino allo scontro con la Cina. La ue, il colosso che «non fa geopolitica», muovendosi come un sonnambulo è entrata in conflitto con la Russia sull’Ucraina. Nel frattempo, sulla scia della maldestra gestione della crisi dell’Eurozona, l’Europa ha assistito a una drammatica mobilitazione sia a sinistra che a destra. Invece di essere vista come un segno della vitalità della democrazia europea davanti al deplorevole fallimento dei governi, e per quanto sgradevole possa essere in certi casi questa espressione, la nuova politica del periodo successivo alla crisi è stata demonizzata come «populismo», trattata alla stessa stregua degli anni Trenta o attribuita alla malvagia influenza della Russia. Le forze dello status quo7 riunite nell’Eurogruppo si sono dedicate prima a contenere e poi a neutralizzare i governi di sinistra eletti in Grecia e in Portogallo nel 2015.

Insieme ai nuovi, maggiori poteri di una Bce8 pienamente attivata, questo non lasciava dubbi sulla solidità dell’Eurozona. Ancora più pressante era la questione dei limiti della democrazia nella ue e della sua instabilità. Contro la sinistra, sfruttando la sua stessa ragionevolezza, le brutali tattiche di contenimento hanno fatto il loro lavoro, ma non altrettanto contro la destra, come avrebbero dimostrato la Brexit, la Polonia e l’Ungheria9.

[...]

Visto il tumultuoso inizio del Novecento, i primi decenni del XXI secolo sono costellati di centenari. Nel 2014 è arrivato il più importante di tutti: il centenario del 1914. Alla commemorazione e alla riflessione sullo scoppio della Prima guerra mondiale tutto il mondo ha partecipato con profondo interesse. Gli storici hanno ricordato l’«Ur-trauma10» del XX secolo. E lo hanno fatto sullo sfondo dei conflitti in Ucraina e in Asia orientale, che hanno fatto sembrare la lezione del 1914 particolarmente pertinente. In senso meno letterale, il 1914 potrebbe essere anche un buon modo per riflettere sul genere di problema che la crisi finanziaria del 2008 rappresenta.

C’è una sorprendente analogia tra le domande che ci poniamo sul 1914 e sul 2008. Come finisce una grande fase di moderazione? Come si accumulano rischi enormi, poco compresi e poco controllabili? In che modo ampi spostamenti tettonici nell’ordine globale producono terremoti improvvisi? In che modo gli «orari ferroviari» di giganteschi sistemi tecnici si combinano per provocare un disastro? In che modo quadri di riferimento anacronistici e obsoleti ci impediscono di capire cosa sta succedendo intorno a noi? Siamo entrati nella crisi come sonnambuli, o vi siamo stati spinti da forze oscure? Di chi è la colpa del conseguente disastro, ispirato e provocato dall’uomo? Il motore di ogni instabilità è forse lo sviluppo disomogeneo e combinato del capitalismo globale? In che modo le passioni politiche del popolo influenzano il processo decisionale dell’élite? E in che modo i politici sfruttano tali passioni? Esiste un percorso verso l’ordine, interno e internazionale? Possiamo raggiungere una stabilità e una pace perpetue? Le regole possono essere la risposta? O dobbiamo fare affidamento sull’equilibrio del terrore e sul giudizio di tecnici e generali?

Sono queste le domande che ci siamo fatti negli ultimi cento anni sul 1914. E non è un caso che sul 2008 e sulle sue conseguenze ci poniamo domande analoghe. Perché sono le domande che accompagnano le grandi crisi della modernità.


tratto da Lo schianto, 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo, Rizzoli, Milano 2018

 >> pagina 754 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Maldestra gestione della crisi dell’Eurozona.

b) Il punto zero fu sicuramente il mercato immobiliare americano.

c) Un lungo secolo, non il XX secolo, ma l’epoca dagli anni Sessanta dell’Ottocento ai Settanta o anche Ottanta del Novecento.

d) Populismo territoriale.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

Trionfo e declino dello Stato territoriale e la nuova epoca globale

La crisi economica e politica occidentale del 2008-12

TESI

   

ARGOMENTAZIONI

   

PAROLE CHIAVE

   
Dal dibattito storiografico al DEBATE

Tooze sostiene che una “maldestra gestione dell’Eurozona” successiva alla crisi del 2008 abbia causato una drammatica mobilitazione sia a destra che a sinistra e che «la nuova politica del periodo successivo alla crisi sia stata demonizzata come “Populismo”, trattata alla stessa stregua degli anni Trenta o attribuita alla malvagia influenza della Russia». Rifletti sul significato della parola «populismo» e cerca informazioni in merito e sulle sue accezioni negative e positive per prepararti al dibattito.


a) Creazione dei gruppi di lavoro La classe si divide in due gruppi che sostengono tesi opposte:

Il populismo è un fenomeno…

Gruppo 1: … positivo.

Gruppo 2: … negativo.


b) competenza digitale Laboratorio di ricerca a casa e in classe In classe si propone la lettura del lemma “Populismo” dell’Enciclopedia online Treccani (www.treccani.it/enciclopedia/populismo/). In seguito, all’interno di ciascun gruppo, con la guida dell’insegnante, vengono raccolte informazioni a sostegno delle proprie posizioni.


c) Preparazione di argomentazioni e controargomentazioni Ciascun gruppo prepara le proprie argomentazioni e riflette sulle possibili repliche alle tesi del gruppo antagonista. Possono essere richiamate in via esemplificativa le argomentazioni utilizzate dagli storici dei brani presenti nel percorso. 


d) Dibattito Ciascun gruppo sceglie uno o più relatori che espongano almeno tre argomentazioni a favore della propria tesi, sostenendole con prove della loro validità (esempi, analogie, fatti concreti, dati statistici, opinioni autorevoli, principi universalmente riconosciuti, ecc.). In seguito, ciascun gruppo espone le controargomentazioni rispetto alle argomentazioni antagoniste. Con la guida dell’insegnante si conclude il dibattito con la sintesi e il bilanciamento delle posizioni.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
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