Tony Judt - Gli orrori della Shoah nella memoria europea

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Tony Judt

Gli orrori della Shoah nella memoria europea

La storia del Novecento, in particolare la Shoah e le esperienze totalitarie, continuano a ispirare e modellare le memorie pubbliche europee, assumendo significati politici diversi: la legittimazione dell’Unione Europea attraverso il riconoscimento del genocidio oppure il recupero delle sovranità nazionali da parte dei paesi ex comunisti.

Per gli ebrei, secondo Heine1, il battesimo equivale al «biglietto d’ingresso in Europa». Ma queste parole furono scritte nel 1825, quando il prezzo da pagare per l’ammissione nel mondo moderno era la rinuncia a un’opprimente eredità di discriminazioni e isolamento. Oggi, il prezzo per l’ammissione in Europa è cambiato. Con un ironico capovolgimento che Heine, con i suoi profetici ammonimenti sui «tempi oscuri e selvaggi che ci stanno precipitando addosso», avrebbe compreso meglio di chiunque altro, tutti coloro che, all’alba del ventunesimo secolo, stanno diventando europei a pieno titolo devono assumersi una nuova e ben più opprimente eredità. Oggi il fondamentale punto di riferimento identitario non è più il battesimo, ma lo sterminio.

Il riconoscimento dell’Olocausto è l’attuale biglietto d’ingresso per l’Europa. Nel 2004 il presidente polacco Aleksander Kwaśniewski2 – cercando di chiudere definitivamente un triste capitolo del passato della propria nazione e di porla in linea con gli altri membri dell’ue ha riconosciuto ufficialmente le sofferenze subite durante la guerra dagli ebrei polacchi, comprese quelle inferte dagli stessi connazionali. L’anno successivo persino Iliescu3, il presidente uscente della Romania, in una concessione all’ambizione del proprio paese all’ingresso nell’ue, è stato costretto ad ammettere ciò che lui stesso e colleghi avevano a lungo categoricamente negato: che anche la Romania aveva dato il suo contributo allo sterminio degli ebrei in Europa.

Senza dubbio, ci sono anche altri criteri di definizione per la partecipazione a pieno titolo nella famiglia europea. Il perdurante rifiuto della Turchia di riconoscere il «genocidio» della popolazione armena nel 1915 ha rallentato l’approvazione della richiesta di entrare nell’ue, esattamente come la Serbia continuerà a languire sulla soglia sino a quando la sua classe politica non si assumerà la responsabilità per gli omicidi di massa e gli altri crimini compiuti durante le guerre iugoslave. Ma il motivo per cui questo genere di crimini oggi ha un così forte peso politico – e per cui l’«Europa» si è assunta la responsabilità di garantire che vi si presti adeguata attenzione, decidendo di definire realmente «europei» soltanto coloro che lo fanno – sta nel fatto che sono casi parziali del crimine per eccellenza: il tentativo, da parte di un gruppo di europei, di sterminare tutti i membri di un altro gruppo di europei, sul suolo stesso dell’Europa e soltanto pochi decenni fa.

La Soluzione finale di Hitler al problema ebraico in Europa non rappresenta soltanto la fonte da cui sono scaturiti elementi cruciali del diritto internazionale postbellico come «genocidio» o «crimini contro l’umanità». Definisce anche la posizione morale (e in certi paesi persino legale) di chi esprime la propria opinione sul tema. Negare o minimizzare la portata della Shoah – l’Olocausto – significa porsi in modo inaccettabile al di là del discorso pubblico civile. È per questo che i politici evitano, per quanto possibile, la compagnia di demagoghi come Le Pen. Oggi l’Olocausto è ben più che uno dei tanti fatti innegabili di un passato che gli europei non possono più permettersi di ignorare. Proprio mentre l’Europa si prepara a lasciarsi la Seconda guerra mondiale alle spalle – inaugurando monumenti commemorativi e onorando gli ultimi combattenti sopravvissuti –, la recuperata memoria degli ebrei morti è diventata l’autentica definizione e garanzia per la ritrovata umanità del continente. Ma non è stato sempre così.

[...]

La comprensibile tentazione di rileggere negli anni Quaranta le conoscenze e le emozioni di mezzo secolo dopo invita a riscrivere la storia di questo periodo, ponendo l’antisemitismo al centro. Come si potrebbe, d’altra parte, dare una spiegazione diversa a ciò che è accaduto in Europa? Ma ciò è troppo facile e, in un certo senso, troppo consolante. La ragione per cui il regime di Vichy4 fu accettato dalla maggior parte del popolo francese dopo la sconfitta del 1940, per esempio, non stava nel fatto che gli piacesse vivere sotto un governo che perseguitava gli ebrei, ma nel fatto che Pétain gli permetteva di continuare a vivere nell’illusione della sicurezza e della normalità, senza grandi sovvertimenti. Il modo in cui il regime trattava gli ebrei non suscitava alcun interesse: essi non erano così importanti. Lo stesso vale anche per la maggioranza degli altri paesi occupati.

Oggi si potrebbe considerare una simile indifferenza traumatizzante, sintomo di qualcosa di profondamente sbagliato nella condizione morale del continente nella prima metà del Ventesimo secolo. Ed è giusto ricordare che, in tutti i paesi europei, ci furono anche persone che invece si accorsero di ciò che stava accadendo e fecero del loro meglio per combattere l’indifferenza. Ma se non se ne tiene conto e si suppone invece che la maggior parte degli europei visse e percepì la Seconda guerra mondiale allo stesso modo degli ebrei (vale a dire come un Vernichtungskrieg, una guerra di sterminio), non si fa altro che ricoprirci di un nuovo strato di falsa memoria. In retrospettiva, «Auschwitz» è la cosa più importante da sapere sulla Seconda guerra mondiale, ma allora le cose non sembravano tali.

[...]

Dopo la ristrutturazione postcomunista della memoria storica orientale, il tabù che proibiva qualsiasi paragone tra comunismo e nazismo iniziò a frantumarsi. Anzi, politici e storici cominciarono a dare molta importanza al confronto. In Occidente rimase un problema controverso. Il punto non era un diretto paragone tra Hitler e Stalin: ben pochi ormai mettevano in dubbio la mostruosità di entrambi. Ma l’idea che lo stesso comunismo – prima e dopo Stalin – dovesse essere collocato nella medesima categoria del fascismo o del nazismo aveva scomode e imbarazzanti conseguenze per il passato dello stesso Occidente, e non solo in Germania. Secondo molti intellettuali dell’Europa occidentale, il comunismo era una variante fallita di una comune eredità progressista, ma per i colleghi dell’Europa centrale e orientale era stato un’applicazione sin troppo riuscita delle patologie criminali caratteristiche del dispotismo del Ventesimo secolo e doveva essere ricordato come tale. L’Europa poteva anche essere unita, ma la sua memoria restava profondamente divisa.


tratto da Il dopoguerra. Come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi, Mondadori, Milano 2007

 >> pagina 762 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Gli europei gettarono al vento la loro leadership mondiale.

b) Il riconoscimento dell’Olocausto è l’attuale biglietto d’ingresso per l’Europa.

c) Dopo la ristrutturazione postcomunista della memoria storica orientale il tabù che proibiva qualsiasi paragone tra comunismo e nazismo iniziò a frantumarsi.

d) Il nazionalismo socialista e il nazionalsocialismo si consolidarono nello stesso momento.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

Le esperienze totalitarie nella memoria del Novecento

Gli orrori della Shoah nella memoria europea

TESI

   

ARGOMENTAZIONI

   

PAROLE CHIAVE

   
Cooperative Learning

Nel testo di Davies si legge: «Il comunismo e il fascismo non furono mai identici: si sono entrambi evoluti nel tempo e hanno prodotto frutti diversi. Ma avevano in comune molto più di quanto i loro sostenitori fossero pronti ad ammettere.»


competenza DIGITALE Dividiamo la classe in piccoli gruppi con la guida dell’insegnante. Ciascun gruppo sceglie uno dei punti in comune tra comunismo e fascismo elencati da Davies nel saggio riportato e ricerca informazioni online o in biblioteca che amplino i concetti presentati e storicizzino le tesi di Davies. Ogni gruppo presenterà poi alla classe la propria ricerca attraverso una presentazione digitale (utilizzando PowerPoint – Prezi – Thinglink – Sway).

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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