17.7 La rivoluzione di Khomeini e la guerra Iran-Iraq
La rivoluzione iraniana
Dopo la rivoluzione costituzionale del 1906, che limitava il potere dello scià senza abolirlo [▶ cap. 1.3], la Persia aveva conosciuto, con il colpo di Stato del 1921, l’ascesa di Reza Kahn che aveva affermato la dinastia Pahlavi nel 1925 e che nel 1935 aveva ufficialmente cambiato nome allo Stato persiano in Iran. La scoperta di enormi giacimenti di petrolio, risalente ai primi decenni del Novecento, aveva posto l’Iran al centro di una contesa tra l’Impero britannico e quello russo (continuata anche dopo la nascita dell’Unione Sovietica), alimentando tensioni e tentativi di accordo tra i due paesi. Dopo la conquista anglo-sovietica dell’Iran nel 1941 (per prevenire eventuali accordi fra lo scià e le forze dell’Asse), assunse il potere Mohammed Reza Pahlavi (figlio di Reza Khan), il quale, durante il suo regno autoritario (1941-79), cercò di modernizzare la società iraniana e di combattere l’islam tradizionale. Un ruolo di primo piano fu svolto dal suo primo ministro Mohammed Mossadeq, il quale nel 1951 promosse la nazionalizzazione dell’industria del petrolio, sottraendola al controllo britannico. Tuttavia, nel 1953 un colpo di Stato orchestrato dai servizi segreti americani e britannici allontanò Mossadeq dal potere, mentre un impetuoso sviluppo economico fu avviato grazie ai proventi della concessione di estrazione del petrolio alle compagnie occidentali.[ 23].
La “guerra degli otto anni”
La rivoluzione sciita iraniana scosse profondamente l’intero mondo islamico, anche nella sua prevalente componente sunnita (l’80% dei musulmani). L’Iran infatti aspirava a un ruolo di supremazia nel mondo musulmano, sostituendosi all’Arabia Saudita a prevalenza sunnita e ispirando un movimento radicale che coinvolgesse soprattutto i giovani intellettuali integralisti. I paesi sunniti, a partire dalla stessa Arabia Saudita, dominata dall’ideologia anch’essa integralista del ▶ wahabismo, cercarono di contenere l’espansione della rivoluzione sciita.
Un ruolo decisivo, in questo senso, fu giocato dall’Iraq di Saddam Hussein, che era giunto al potere nel 1979 e aveva edificato una dittatura di tipo laico. Questi si era formato come dirigente del partito Baath (“risorgimento”), in cui si sintetizzavano ideali socialisti, nazionalisti e panarabisti, fondato nel 1947 in Siria e che nel 1966 venne scisso in due partiti (uno siriano e uno iracheno).
Nel settembre 1980 le truppe irachene invasero l’Iran: Saddam Hussein mirava, attraverso la guerra, non solo a consolidare il proprio potere interno e a conquistare un’egemonia regionale nell’area del Golfo Persico, ma anche a guidare l’offensiva del mondo arabo nazionalista e laico contro l’Iran islamista di orientamento sciita. In ciò godeva dell’appoggio dell’Occidente e dei paesi arabi sunniti.
Il conflitto ebbe un carattere per certi versi simile alla Grande guerra, per il suo carattere statico, il confronto tra lunghe linee di trincea e il ricorso alle armi chimiche. Nonostante Saddam fosse convinto della fragilità del regime iraniano, dopo le iniziali avanzate irachene, le truppe di Khomeini presero l’iniziativa e respinsero le forze avversarie. Alla scarsità di moderne armi pesanti in dotazione all’esercito iraniano, suppliva la devozione religiosa dei soldati alla rivoluzione e al suo capo
17.8 La Guerra del Golfo e la precaria pace mediorientale
L’invasione del Kuwait e la reazione internazionale
La mancata vittoria nella guerra con l’Iran non aveva piegato le ambizioni egemoniche di Saddam Hussein, che portarono presto a un nuovo conflitto. Il 2 agosto 1990 le truppe irachene invasero il Kuwait, piccolo emirato sul Golfo Persico, per appropriarsi delle sue risorse petrolifere e conquistare un ruolo di primo piano nella regione. Questa mossa fu condannata dalle potenze occidentali, che pure avevano sostenuto il dittatore iracheno durante la guerra contro l’Iran. Con l’autorizzazione dell’Onu, gli Stati Uniti, in collaborazione con Regno Unito, Francia, Italia e i paesi arabi filoccidentali, schierarono un imponente apparato militare nel deserto saudita. Da parte sua Saddam Hussein chiamò a una sorta di “crociata” antioccidentale, in nome della liberazione dei luoghi sacri, La Mecca e Medina, occupati dalle forze armate americane.Dalla Conferenza di Madrid agli Accordi di Oslo
La questione palestinese continuava a essere al centro di tutte le contese mediorientali ed era stata strumentalmente agitata anche da Saddam Hussein nel corso della Guerra del Golfo, come emblema della disparità di giudizio delle potenze occidentali. Nel corso degli anni Novanta, pertanto, vi furono alcuni tentativi della comunità internazionale di trovare una soluzione diplomatica al conflitto. Nel dicembre 1991 si aprì a Madrid una conferenza che, pur senza esiti concreti, portò a un primo confronto il governo israeliano di Shamir e l’Autorità palestinese dei territori occupati, la quale rappresentava indirettamente l’Olp di Arafat.. Fu il primo passo di una trattativa difficile, che mirava a riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione in cambio della pace con Israele, ma l’uccisione del premier Rabin, nel novembre 1994, da parte di un terrorista ebraico inflisse una grave battuta d’arresto ai negoziati. Nel 1995 fu poi firmato un secondo accordo, che concedeva all’Autorità palestinese l’amministrazione su Gaza e Gerico, nonostante la violenta opposizione del gruppo integralista islamico di Hamas, che si rifiutava di riconoscere Israele. Gli estremisti religiosi di entrambi i campi, che si opponevano fermamente a ogni intesa, compirono gravi atti terroristici contro la popolazione civile, riuscendo così a compromettere il negoziato avviato ad Oslo.
Dal jihad locale a quello globale
Dopo il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, nel febbraio 1989, i numerosi volontari islamici affluiti da vari paesi per combattere contro l’Armata rossa, spesso col sostegno finanziario e militare degli Stati Uniti, cominciarono a irradiarsi in altri teatri di guerra: in Bosnia, in Cecenia e in Algeria.
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi