17.6 Il Medio Oriente tra guerra e pace

17.6 Il Medio Oriente tra guerra e pace

La guerra del Kippur
Pur essendo radicati nelle specificità regionali del Medio Oriente, i conflitti arabo-israeliani costituivano anche uno scenario locale della Guerra fredda, nello stesso periodo in cui i paesi arabi produttori di petrolio cercavano di conquistarsi una crescente autonomia economica e diplomatica. Perciò, dopo la sconfitta nella Guerra dei Sei giorni (1967[▶ cap. 14.4], i paesi arabi cercarono la rivincita nei confronti di Israele, soprattutto per iniziativa di Anwar Sadat, il nuovo presidente egiziano che aveva preso il posto di Nasser (morto nel 1970). La Quarta guerra arabo-israeliana, che prese il nome anche di guerra del ▶ Kippur, durò dal 6 al 25 ottobre 1973 e cominciò con l’attacco improvviso e imprevisto da parte di Egitto e Siria rispettivamente sulla penisola del Sinai e sulle alture del Golan, con una rapida avanzata a danno delle forze israeliane. Stati Uniti e Unione Sovietica non esitarono ad appoggiare politicamente e militarmente i rispettivi alleati, Israele per gli Usa e i paesi arabi per l’Urss, spingendosi sull’orlo di un conflitto diretto. Tuttavia, dopo i primi tre giorni di arretramento, le forze israeliane riuscirono a contenere l’avanzata siriana, avviando una controffensiva che giunse fino alle porte di Damasco; anche sul Sinai l’esercito egiziano venne respinto e le truppe di Israele avanzarono in profondità verso Il Cairo, ma furono fermate il 24 ottobre, quando fu dichiarato il cessate il fuoco, che impedì la distruzione di un’intera armata egiziana [ 18].
Nonostante l’ennesima sconfitta dei paesi arabi, rispetto ai conflitti precedenti, la guerra del Kippur costò il più alto numero di perdite tra le fila dell’esercito israeliano; per questo motivo le opinioni pubbliche di Egitto e Siria videro come un parziale successo questo scontro, che consentì ai rispettivi capi di Governo Sadat e al-Assad di riconquistare il sostegno popolare. Inoltre, per la prima volta i paesi arabi usarono l’arma diplomatico-economica del petrolio per ritorsione contro i paesi occidentali che sostenevano Israele: la sospensione dei rifornimenti e poi l’innalzamento del prezzo del greggio provocarono una gravissima crisi economica internazionale [▶ cap. 14.1]. A Tel Aviv, al contrario, le iniziali sconfitte militari provocarono una crisi politica: la premier laburista Golda Meir fu costretta a dimettersi per aver ignorato la minaccia di un imminente attacco egiziano, segnalatole dai servizi segreti.

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In questa situazione, che restituì in parte l’equilibrio politico tra le forze in guerra, si aprirono trattative che sfociarono nel 1978 negli accordi di pace fra Egitto e Israele firmati da Sadat e dal premier israeliano Menachem Begin a Camp David, con la mediazione del presidente statunitense Carter

[ 19]. La firma della pace costò la vita a Sadat, ucciso nel 1981 in un attentato organizzato dai Fratelli musulmani[▶ cap. 11.4], ostili al riconoscimento di Israele.

Il nazionalismo palestinese e il conflitto con Israele
Nel 1964, a Gerusalemme, il rivoluzionario palestinese Yasser Arafat fondò l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), con l’obiettivo di “liberare la Palestina” attraverso la lotta armata. Questa organizzazione di tipo politico e paramilitare racchiudeva al suo interno una varietà di movimenti, che si riconoscevano in una prospettiva nazionalista e laica di ispirazione marxista.

La situazione dei palestinesi, però, restava irrisolta e il loro numero cresceva nei campi profughi, destabilizzando l’intera regione. In Giordania i gruppi armati palestinesi, coordinati dall’Olp, costituirono una sorta di “Stato nello Stato”, ma ne furono espulsi nel 1970 durante il cosiddetto “settembre nero”, costringendo l’Olp a trasferire il proprio quartier generale in Libano. Nel corso del decennio successivo, per combattere Israele e insieme per richiamare l’attenzione occidentale sulla causa palestinese, molti di questi gruppi non esitarono a ricorrere al terrorismo (sequestro di ostaggi, assassinii, dirottamenti di aerei). L’episodio più tragico e clamoroso fu il rapimento e l’omicidio di undici atleti israeliani durante i Giochi olimpici di Monaco di Baviera nel settembre 1972 [ 20].



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La guerra del Libano

Nei primi anni Settanta, il Libano, chiamato per la sua prosperità “la Svizzera del Medio Oriente”, conosceva un eccezionale sviluppo finanziario ed economico, sociale e culturale, all’insegna della pluralità politica e religiosa (cristiani di varia estrazione, musulmani sunniti e sciiti). Fin dagli anni Sessanta sul territorio libanese erano presenti 400 000 rifugiati palestinesi, ma le tensioni precipitarono dopo il “settembre nero” del 1970, quando un ingente afflusso di palestinesi espulsi dalla Giordania si riversò nel paese.

Ben presto si acuirono i contrasti fra i diversi gruppi presenti sul territorio, sfociando in una guerra civile che si sarebbe protratta dal 1975 fino al 1990. I principali contendenti erano da una parte i cristiani maroniti del Fronte libanese, organizzati nella Falange, dall’altra il Movimento nazionale libanese, animato da militanti palestinesi radunati intorno all’Olp. Al frammentato paesaggio politico-religioso libanese si aggiungevano i drusi, un gruppo di derivazione musulmana sciita presente nel centro del paese, alleato dell’Unione Sovietica e della Siria e opposto alla Falange; e il gruppo sciita Hezbollah, presente nel Sud, avverso a Israele e legato all’Iran di Khomeini, dove nel 1979 aveva trionfato la rivoluzione islamica.
Dopo che i primi scontri tra maroniti e palestinesi (1975) avevano fatto saltare i precari equilibri settari del Libano e avevano scatenato la guerra civile, nel 1982 intervenne l’esercito siriano, che occupò parte del territorio libanese con il pretesto di “pacificarlo”. A sua volta, il premier israeliano Itzhak Shamir, capo del partito di destra Likud, diede il via all’operazione militare “Pace in Galilea”, con cui tra giugno e agosto del 1982 invase il Libano, raggiungendo la capitale Beirut con l’obiettivo di distruggere le forze dell’Olp. Le forze israeliane bombardarono e occuparono le zone limitrofe ai campi profughi palestinesi del Sud, che costituivano un’▶ enclave sotto il controllo dell’Olp e ospitavano oltre 300 000 persone. Nel settembre di quell’anno, l’esercito israeliano consentì alle milizie maronite di entrare nei campi profughi di Sabra e Shatila [ 21]alla periferia di Beirut, dove compirono un massacro di palestinesi, causando tra 1000 e 3000 vittime, nell’inerzia della comunità internazionale. Mentre la dirigenza dell’Olp si trasferiva da Beirut a Tunisi, l’intervento israeliano si concluse con l’istituzione di una “zona di sicurezza” nel Libano meridionale, sorvegliata da una milizia al servizio di Israele. L’occupazione israeliana mobilitò la minoranza sciita libanese, che trovò il suo punto di riferimento nel partito Hezbollah, operativo proprio nel Sud del paese. Una   forza di interposizione internazionale, composta da americani, francesi e italiani, cercò di imporre una tregua, ma nel corso del 1983 fu colpita da una serie di gravi attentati organizzati dagli integralisti sciiti, inducendola al ritiro.

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La guerra, che con fasi alterne si protrasse fino al 1990, provocò circa 150 000 vittime, e almeno un milione di profughi. La fine del conflitto sancì il disarmo di tutte le milizie cristiane e musulmane (con l’eccezione di Hezbollah) e l’estensione dell’influenza siriana su larga parte del Libano per garantire l’ordine e protezione militare, anche se continuarono le tensioni, soprattutto nel Sud del paese, tra le milizie sciite e Israele.
L’intifada
Nel dicembre 1987, nei territori palestinesi occupati dall’esercito israeliano scoppiò un’insurrezione popolare, conosciuta come intifada (la “rivolta delle pietre”). Essa era il prodotto dell’esasperazione della popolazione palestinese che ormai vedeva l’occupazione militare trasformarsi in una condizione permanente [ 22]. L’Olp, che fino ad allora aveva rappresentato la principale organizzazione palestinese, ispirata a un nazionalismo laico, giocò un ruolo marginale nella rivolta, che segnò invece la nascita del gruppo islamista di Hamas, il quale cominciò a esercitare, oltre a un intenso indottrinamento religioso, anche attività assistenziale e sociale nei confronti delle masse diseredate. Proprio grazie a queste attività Hamas riuscì gradualmente a imporsi all’interno della comunità palestinese, erodendo consensi all’Olp.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
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