PROTAGONISTI - Totò Riina

  protagonisti

Totò Riina

Salvatore Riina, mafioso latitante dal 1969, fu il capo di Cosa nostra dal 1982 al 15 gennaio 1993, quando fu catturato nel corso delle operazioni di polizia che seguirono gli attentati contro i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Figlio di una famiglia di contadini, Riina si associò nel dopoguerra alla banda di Luciano Liggio, con il quale si dedicò al furto di covoni di grano e di bestiame. Ma la sua ascesa è indissolubilmente legata a quella dei Corleonesi, la banda mafiosa di Corleone (in provincia di Palermo), che, dalla metà degli anni Settanta, beneficiò della protezione politica di Vito Ciancimino, esponente della corrente andreottiana della Dc e sindaco di Palermo. Nei primi anni Ottanta, Riina conquistò l’egemonia su Cosa nostra, grazie alla guerra di mafia contro il gruppo di Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, provocando la morte di oltre 200 mafiosi rivali. Fu Riina a coordinare la strategia militare con cui i Corleonesi, nel 1992, reagirono alle condanne nel maxiprocesso di Palermo e che segnarono la fine dei rapporti politici con la Dc. Dopo il suo arresto, condannato in molteplici processi all’ergastolo, fu detenuto secondo il regime carcerario speciale di isolamento assoluto, fino alla sua morte nel 2017.

16.4 La nascita della Seconda Repubblica

La “discesa in campo” di Berlusconi
Tra il 1992 e il 1993 il senso di identità e di appartenenza nazionale sembrava messo in discussione dalla crisi del sistema politico e dall’avanzata di spinte secessioniste, che si susseguirono e si consumarono rapidamente, da Milano a Palermo. Queste manifestazioni simboleggiavano le illusioni e le delusioni di una società civile convinta che potesse sorgere un cambiamento dal basso. I magistrati del pool di Mani pulite diventarono eroi popolari che sembravano in grado di sradicare un malcostume profondo nel paese. Intorno ai nuovi sindaci eletti a votazione diretta (legge introdotta nel marzo 1993, che sostituiva l’elezione del sindaco da parte del Consiglio comunale) e legittimati da un forte sostegno democratico, prese forma un movimento che parve offrire una spinta rinnovatrice. Così non fu. Mentre la coalizione dei “progressisti”, raccolti intorno al Pds, si aspettava di vincere le imminenti elezioni, l’esito politico della crisi fu però del tutto inatteso.
Con un video distribuito attraverso le sue reti private, Silvio Berlusconi annunciò la sua “discesa in campo” [▶ FONTI, p. 660], con la fondazione del movimento Forza Italia, nel gennaio 1994. Si trattava di un partito-azienda, o meglio di un movimento che rifiutava la struttura territoriale dei vecchi partiti e si rifaceva al modello aziendale per affermare un metodo di efficienza. A una struttura padronale e antiliberale, guidata e mobilitata dal potere carismatico di Berlusconi, si univa una retorica liberista e antistatalista, che proclamava la capacità di spazzare via le complicazioni burocratiche e di ridurre le tasse.
La sua campagna elettorale e la sua propaganda politica in vista delle consultazioni previste a marzo 1994, sostenuta dai migliori esperti di marketing della sua azienda,  furono animate dalla mobilitazione di un aggressivo anticomunismo, in nome di un “nuovo miracolo italiano”. Al centro della campagna elettorale fu però il conflitto di interesse che andava emergendo fra il Berlusconi imprenditore televisivo, con i suoi interessi economici privati, e il Berlusconi politico, candidato al governo nazionale. Intanto, con un abile stratagemma, Berlusconi si alleò al Nord con la Lega di Umberto Bossi e al Sud con Alleanza Nazionale, la nuova formazione che sotto la direzione di Gianfranco Fini aveva preso il posto dell’Msi, erede politico del fascismo. Nonostante le contraddizioni profonde tra un alleato federalista e secessionista e uno statalista e nostalgico del regime di Mussolini, la coalizione guidata da Forza Italia sconfisse l’”Alleanza dei progressisti”, guidata dal Pds in cui convergevano le correnti di sinistra dell’ex Pci e della Dc: si formò così il primo governo Berlusconi 

[ 13], ma le tensioni interne alla coalizione di maggioranza non tardarono a riemergere.

La questione principale nella discussione politica era allora rappresentata dalla necessità di riequilibrare il sistema delle pensioni, che era messo sempre più a dura prova dall’invecchiamento della popolazione e dalla crisi della finanza pubblica. La riforma delle pensioni proposta dal governo spinse a una vasta mobilitazione dei sindacati, che, con una serie di scioperi generali e manifestazioni massicce, si trasformarono in una sorta di opposizione politica. Ancora più decisivo fu il mancato appoggio della Lega alla riforma, che costrinse Berlusconi a ritirare il provvedimento e poco dopo a rassegnare le dimissioni nel gennaio 1995. Nacque allora un governo tecnico, guidato da Lamberto Dini, ministro del Tesoro del governo Berlusconi e già governatore della Banca d’Italia, che riprese e attuò la riforma delle pensioni, in forme che però privilegiavano le generazioni più anziane a danno di quelle più giovani.

FONTI

Discorso di Berlusconi (gennaio 1994)

Il discorso, con cui Silvio Berlusconi annunciava la sua “discesa in campo”, fu registrato in videocassetta e recapitato a tutte le televisioni nazionali il 26 gennaio 1994. In circa nove minuti, l’imprenditore milanese spiegava le ragioni del suo nuovo impegno politico e della costituzione del movimento Forza Italia.

L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. [...]

So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti. [...]

Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha generosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L’importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie occidentali. [...]

Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi – ora, subito, prima che sia troppo tardi – è perché sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita. [...]

Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di un’Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, protagonista in Europa e nel mondo. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.

 >> pagina 662 
L’Ulivo e l’Europa
A seguito della clamorosa sconfitta alle elezioni del 1994, nel campo del centrosinistra si fece strada, nel frattempo, un progetto di vasta aggregazione che prese il nome di Ulivo ed elesse a proprio leader Romano Prodi, esponente della sinistra democristiana, professore universitario di Economia che aveva già ricoperto ruoli di responsabilità all’interno dell’Iri. Alle elezioni del 1996, anche in virtù del fatto che Lega Nord e Forza Italia si presentarono divise, l’Ulivo riuscì a imporsi sebbene di stretta misura [ 14]. Un governo assai fragile e composito avviò incisive politiche di risanamento finanziario per soddisfare i criteri di Maastricht, che furono infine coronate dall’ingresso nel sistema della moneta unica europea (euro), sancito nel maggio 1998. Fu una sorta di “miracolo”, dato l’enorme sforzo finanziario del paese e l’importanza simbolica e politica del traguardo. Tuttavia, nei tre anni successivi, dopo la caduta di Prodi (ottobre 1998), per contrasti interni alla maggioranza, l’esperienza dell’Ulivo finì col perdere slancio. L’introduzione dell’euro, dal 1° gennaio 2001, consentì di abbassare ulteriormente il debito pubblico, anche se non si adottarono riforme sufficienti a incrementare la produttività e la competitività del paese. Poco dopo la crisi di governo e la formazione di un nuovo esecutivo guidato da Massimo D’Alema, al Quirinale fu eletto presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (maggio 1999), che cercò di recuperare, in chiave europeista, la tradizione del Risorgimento e il sentimento di identità nazionale.
La politica estera dopo la Guerra fredda
La fine repentina e tutto sommato inattesa della Guerra fredda, così come la caduta dei regimi comunisti nell’Europa orientale mutarono drasticamente il quadro in cui l’Italia si era ritagliata un proprio ruolo internazionale. Entro il nuovo contesto essa fu relegata quindi a un ruolo sempre più secondario, anche se prese parte a varie missioni umanitarie armate [▶ cap. 15.3] di peace-keeping (“mantenimento della pace”) e peace-enforcing (“rafforzamento della pace”), dal Medio Oriente ai Balcani.
 >> pagina 663 

Il governo italiano del pentapartito guidato da Andreotti, nonostante l’opposizione del mondo cattolico e comunista, aderì alla Guerra del Golfo, all’interno del percorso di risoluzioni delle Nazioni Unite, che seguì invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nell’estate del 1990 [▶ cap. 15.3]. Nel gennaio-febbraio 1991 la flotta e l’aviazione italiane, all’interno di una vasta coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, presero parte dunque, per la prima volta dai tempi della Seconda guerra mondiale, a operazioni militari. Circa un decennio più tardi, l’Italia, allora sotto il governo Berlusconi, aderì anche alla Seconda guerra del Golfo, nel marzo-maggio 2003, quando gli Stati Uniti e una coalizione di loro alleati, ma senza il consenso dell’Onu, attaccarono l’Iraq e destituirono Saddam Hussein.

L’altro scenario geopolitico su cui l’Italia fu particolarmente coinvolta fu quello ex iugoslavo, dilaniato dai conflitti degli anni Novanta. Dopo essersi spesa invano per la sopravvivenza di una forma di federazione iugoslava, l’Italia partecipò alle missioni dell’Onu e della Comunità europea, volte a contenere le guerre in Croazia e in Bosnia-Erzegovina e a sostenere le popolazioni civili. Infine, un ruolo di primo piano fu giocato durante la crisi e la guerra del Kosovo tra il 1998 e il 1999. Durante quest’ultimo conflitto, il governo di centrosinistra guidato da D’Alema accordò il permesso di utilizzare le basi italiane [ 15] della Nato agli aerei statunitensi impegnati nei bombardamenti su Belgrado  [▶ cap. 15.4].

16.5 Dal bipolarismo a oggi

Il decennio “berlusconiano” e la sua fine
Negli anni di opposizione all’Ulivo, Forza Italia si era trasformata in una formazione moderata, mobilitata dal radicalismo populistico e carismatico del suo capo, ma tesa a raccogliere segmenti del mondo democristiano e dei suoi alleati, socialisti inclusi. Grazie a questa manovra inclusiva, alle elezioni del 2001 Berlusconi guidò una coalizione, la Casa delle libertà, di cui fece parte anche la Lega Nord. La vittoria del centrodestra fu netta, raccogliendo quasi il 50% dei consensi [ 16]. Il nuovo governo, più che a una politica di riforme, fu interessato alle vicende personali del presidente del Consiglio e al suo duello con la magistratura, visto che erano numerosi i processi che coinvolgevano il premier. Tra questi spiccò il processo Mediaset, in cui Berlusconi era inquisito per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, al termine del quale (nel2013) fu condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione, che furono ridotti a uno grazie all’indulto e che fu tramutato in affidamento ai servizi sociali.

 >> pagina 665 
La tormentata riedizione dell’Ulivo culminò nell’aprile 2006 nell’esigua vittoria di Prodi, che conquistò solo lo 0,1% in più della coalizione di centrodestra e che riuscì a governare per due anni con estrema difficoltà. Questa legislatura rappresentò una breve ed effimera interruzione all’interno di un decennio segnato da Berlusconi e dalla polarizzazione politica intorno alla sua figura. Alle elezioni del 2008, nonostante gli scandali e le esperienze di governo precedenti, Berlusconi si presentò alla guida di un nuovo grande partito (Popolo delle libertà) e conquistò una nuova larga vittoria sul Partito democratico, erede del Pds e dei Democratici di sinistra (nome assunto dal Pds nel 1998). Tuttavia, le crescenti pressioni della crisi finanziaria del 2007-08 e della crisi europea del 2010-12 (di cui parleremo successivamente) rivelarono la fragilità del nuovo governo. L’abbandono dei suoi principali alleati (su tutti, Gianfranco Fini), una vita privata che diventò oggetto di discussione pubblica per una serie di scandali sessuali e una sempre più difficile gestione dell’economia screditarono il governo di Berlusconi e ne accelerarono l’uscita di scena. In quel frangente, un ruolo di primo piano fu svolto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’esponente ex comunista eletto al Quirinale nel 2006. In una grave situazione di crisi finanziaria, egli infatti chiamò l’economista Mario Monti a dirigere un governo tecnico (2011-13) per varare alcune riforme strutturali, come quella del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, che furono solo in parte realizzate, ma che furono necessarie per rispettare i parametri dell’Unione Europea, dando vita a un periodo di austerità.
Un lungo stallo parlamentare
Il governo Monti, con l’appoggio delle maggiori forze politiche (Partito democratico e Popolo delle libertà ), riuscì a risolvere l’emergenza finanziaria del 2011-12, mentre larghi strati sociali accumulavano risentimenti nei confronti della classe politica e delle sue scelte di austerità economica. Di conseguenza, le elezioni del 2013 inflissero una scossa significativa al sistema politico [ 17]: grazie a una stentata vittoria elettorale, la coalizione guidata dal Partito democratico (29,55%), dopo il fallimentare tentativo di coinvolgere la nuova forza politica del Movimento 5 stelle (25,56%) [ 18], fu costretta a dare vita a un esecutivo di larghe intese con Forza Italia, che con i suoi alleati aveva raccolto il 29,18%. Emblematica della grave paralisi politica in cui si dibatteva il nuovo parlamento fu la necessità di eleggere per una seconda volta Giorgio Napolitano presidente della Repubblica, al quale subentrerò l’ex democristiano Sergio Mattarella nel 2015.
La nuova legislatura, guidata prima da Enrico Letta (Pd), poi da Matteo Renzi (segretario del Pd) e infine da Umberto Gentiloni (Pd), segnò l’ingresso nel centrosinistra di una generazione in parte nuova di dirigenti, aprendo una profonda spaccatura interna. La legislatura fu caratterizzata da una forte iniziativa riformistica in materia di diritti civili e di mercato del lavoro, ma anche da una crescente distanza tra i governi diretti dal Pd e l’elettorato, evidenziata dalla sconfitta di Renzi in occasione del referendum per la revisione costituzionale in chiave presidenzialistica nel 2016.

 >> pagina 666 

Come è stato detto, la vera sorpresa delle elezioni 2013 fu l’affermazione del Movimento 5 stelle, che si sottraeva ai canoni della politica partitica, si mobilitava soprattutto attraverso Internet, ritenuto veicolo di democrazia diretta, ma al tempo stesso attingeva al tradizionale repertorio antipolitico. Nella propaganda del movimento, alla crescente sfiducia nel sistema dei partiti si intrecciava un non meno dirompente euroscetticismo, elemento nuovo nell’opinione pubblica italiana.

Infine, le elezioni del 2018 sancirono per molti versi l’esaurimento delle eredità e delle contese novecentesche, con la sconfitta del Pd e di Forza Italia e la netta vittoria del Movimento 5 stelle (primo partito sotto la guida di Luigi Di Maio) e della nuova Lega di Matteo Salvini. Quest’ultimo fu capace di rinnovare l’ormai declinante partito di Umberto Bossi, trasformandolo in un partito nazionalista, teso a raccogliere consensi soprattutto sulla questione della lotta contro l’immigrazione. Il Movimento 5 stelle e la Lega, dopo lunghe e difficili trattative, formarono un governo [ 19] accomunato dalla volontà di contrastare i flussi migratori dall’altra sponda del Mediterraneo e di sfidare le politiche di rigore finanziario, destabilizzando così l’Unione Europea e lasciando intravvedere la possibilità dell’uscita dell’Italia dall’Eurozona, reintroducendo quindi una valuta nazionale.

Nondimeno mutava il ruolo della Chiesa cattolica, guidata da tre papi non italiani dalla fine degli anni Settanta (oltre al polacco Wojtyla, il tedesco Ratzinger e l’argentino Bergoglio), all’interno di una società italiana sempre più secolarizzata [▶ cap. 12.1]. Nel corso del dopoguerra, la Democrazia cristiana aveva mediato il rapporto con il Vaticano e con le gerarchie ecclesiastiche, interpretando attraverso la politica la presenza cattolica nella società. Dopo lo smembramento della Dc, la Chiesa cominciò a dedicarsi a un impegno politico più attivo e diretto, appellandosi alla società civile, pronunciandosi sulle materie più sensibili del dibattito pubblico (il matrimonio omosessuale, la fecondazione assistita, il testamento biologico) e facendosi carico di istanze di giustizia sociale (verso i poveri, gli immigrati).

 >> pagina 667
L’Italia di oggi
Nei primi due decenni del nuovo millennio, nel dibattito pubblico si è fatto insistente il tema del declino dell’Italia, un declino che sembra tradursi in paura generalizzata di fronte al futuro e in una sistematica ignoranza delle sue opportunità.

Nel lungo dopoguerra, l’Italia fu uno dei paesi in cui si radicò un’identità culturale più omogenea, nonostante le profonde fratture economiche, politiche e sociali. D’altro canto, essa conobbe uno sviluppo demografico senza precedenti, a cui seguì, dalla metà degli anni Settanta in poi, un crollo verticale. In questo quadro l’immigrazione [▶ fenomeni, p. 668], che cominciò ad aumentare dagli anni Ottanta e che oggi conta circa cinque milioni di individui presenti sul territorio, è oggi vista come una grave minaccia e non come una delle principali opportunità per il rilancio del paese, tanto sul piano demografico quanto sul piano della produzione di nuova ricchezza che possa essere redistribuita, riattivando così i meccanismi del Welfare State.

Fino alla fine degli anni Settanta, in Italia come in Europa, prevalsero le politiche tendenti alla riduzione delle disuguaglianze e alla ridistribuzione delle ricchezze, che erano state favorite dall’impatto delle due guerre mondiali. Negli ultimi tre decenni, però, sono affiorate nuove forme, più rigide, di disparità sociale, che uno Stato oberato da un enorme debito pubblico non è più in grado di affrontare con gli strumenti classici del sistema di assistenza sociale. Sono state quindi le famiglie a farsi sempre più carico di una sorta di assistenzialismo informale, unico modo per affrontare l’invecchiamento generale della popolazione e l’allungamento della gioventù, nonché le difficoltà dei giovani a trovare lavoro: da questo punto di vista, però, è tornata a far sentire tutto il suo peso l’eredità familiare, con le sue pesanti implicazioni di classe.

Infine, negli ultimi anni si è fatta strada in Italia, dove il consenso al progetto di integrazione europea è stato sempre molto alto, una tendenza all’euroscetticismo, che ha cristallizzato varie forme di risentimento contro la politica nazionale e quella internazionale. Resta però aperto il nodo del rinnovamento del sistema politico e della classe dirigente italiana, che sembra strettamente intrecciato al destino dell’Europa e del suo sviluppo nel mondo globalizzato.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi