1.4 Le crescenti tensioni internazionali

1.4 Le crescenti tensioni internazionali

L’Impero tedesco fra isolamento e riarmo
Negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, il cancelliere Bismarck aveva cercato di mantenere l’Impero tedesco (secondo Reich) al centro del sistema di relazioni internazionali. Nel 1890, dopo la sua uscita di scena, si era creato un nuovo quadro geopolitico – l’alleanza russo-francese del 1894, l’“intesa” anglo-francese del 1904 e l’accordo anglo-russo del 1907 – che suscitò nel Reich un senso di crescente isolamento, se non di vero e proprio accerchiamento. Questa percezione della situazione internazionale come potenzialmente pericolosa per l’Impero tedesco stimolò l’avvio di una politica di riarmo, che, sotto il comando dell’ammiraglio von Tirpitz, privilegiò soprattutto il rafforzamento della flotta navale, alimentando ulteriormente la rivalità con l’Impero britannico.

Il tentativo di incrinare l’egemonia marittima britannica era parte di una “politica mondiale” (Weltpolitik) che mirava a fare dell’Impero tedesco una potenza globale. Tale strategia non si esauriva in un programma militare, ma coinvolgeva anche la forza politica ed economica del Reich, rispondendo alle frustrazioni e alle ansie di matrice nazionalista.

Le crisi marocchine
Fu proprio la Weltpolitik tedesca a riaccendere le tensioni tra Francia e Impero tedesco. La guerra franco-prussiana del 1870 era ormai lontana e il  revanscismo francese agitava soltanto le correnti nazionaliste più radicali: questa volta, i contrasti sorsero non tanto sulle rive del Reno (lungo le cui sponde si affaccia l’Alsazia, una delle regioni perse dai francesi nella guerra franco-prussiana), quanto sulle coste del Maghreb, a causa dell’aspirazione tedesca a costruire un impero coloniale in Africa.

Nell’ambito della sistemazione dei contenziosi coloniali, regolata dall’“Intesa Cordiale” con l’Impero britannico, all’inizio del 1905 il governo francese decise di consolidare il suo controllo sul sultanato del Marocco. La mossa di Parigi sanciva in qualche modo l’esclusione del Reich dalla corsa alla spartizione degli ultimi territori disponibili in Africa e fu intesa da Berlino come una provocazione. Qualche mese più tardi (marzo 1905) l’improvvisa visita del Kaiser Guglielmo II a Tangeri suscitò l’entusiasmo della popolazione locale, che vide nell’Impero tedesco il paladino della propria indipendenza. Il gesto dell’imperatore ebbe però solo un valore dimostrativo; nel gennaio del 1906, la conferenza di Algeciras (in Spagna), convocata per risolvere la disputa diplomatica, si concluse infatti con un grave smacco tedesco: negli accordi finali, con il sostegno di Regno Unito, Impero russo, Italia e Spagna, venne confermata la supremazia francese sul Marocco, così ridotto a uno stato di semi-dipendenza.

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Negli anni successivi, l’Impero tedesco sembrò rassegnarsi alla prospettiva che il Marocco diventasse un protettorato francese; i tedeschi avviarono, pur senza formalizzarne il riconoscimento, forme di collaborazione industriale con la Francia per sfruttare i giacimenti minerari marocchini. Tuttavia, la contesa riprese nel luglio del 1911 quando, a seguito dell’occupazione francese della capitale Fez, la Germania schierò la corazzata Panther al largo del porto di Agadir [ 14]. La situazione giunse vicinissima al punto di rottura, ma le posizioni erano ancora conciliabili e le due potenze raggiunsero un’intesa stabile, con cui i tedeschi riconobbero il pieno controllo francese sul Marocco, ottenendo in cambio alcuni possedimenti in Camerun e sui fiumi Congo e Ubangi, in Africa centrale.

1.5 L’ascesa degli Stati Uniti

L’età progressista americana

All’inizio del Novecento, l’ascesa degli Stati Uniti, che si stavano affermando come forza egemone a livello continentale e miravano ad estendere la loro influenza su scala globale, fu alimentata da un’intensa espansione industriale e da una crescente partecipazione democratica. L’epoca della presidenza  del repubblicano Theodore Roosevelt (1901-09) è stata perciò definita “l’età progressista”. Politico energico e determinato, il presidente Roosevelt promosse infatti una serie di riforme per il rafforzamento del governo federale, per la regolamentazione dei sistemi di trasporto e di produzione e per una più severa supervisione  antitrust, anche se fu legato da uno stretto rapporto con il mondo degli affari del Nord del paese. Intanto, la politica andò allargando la propria mobilitazione di massa degli elettori del Partito repubblicano e di quello democratico e la crescita dei loro apparati burocratici. In questo quadro assumeva maggior forza la richiesta di partecipazione alla vita politica delle donne, ancora escluse dal suffragio universale, ma ormai organizzate in numerose associazioni militanti [ 15].

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D’altro canto, la società statunitense era attraversata da forti tensioni che derivavano da imponenti flussi migratori, i quali toccarono l’apice fra il 1896 e il 1914 quando si calcola che coinvolsero non meno di 900 000 persone all’anno, provenienti soprattutto dall’Asia e dall’Europa centrorientale e meridionale. Questi emigrati erano per lo più poveri, privi di competenze professionali, e la presenza di questa manodopera sottopagata alimentava i timori di concorrenza a basso costo tra i lavoratori locali, spingendo a forme virulente di discriminazione. D’altro canto, l’ostilità dei protestanti rurali nei confronti del gran numero di immigrati cattolici ed ebrei che si insediavano nelle città si traduceva in una richiesta di inasprimento delle norme sull’immigrazione e sulla cittadinanza.

Lo sviluppo industriale americano
L’espansione economica cominciata in tutto il mondo occidentale a fine secolo acquisì uno slancio sconosciuto altrove, facendo degli Stati Uniti il più avanzato paese industriale del mondo. Lo sviluppo della produzione fu a sua volta incrementato da una nuova organizzazione del lavoro di fabbrica secondo criteri di razionalità ed efficienza “scientifica” messi a punto da Frederick Taylor e da Henry Ford. Taylor aveva sviluppato un’organizzazione del ciclo produttivo attraverso la parcellizzazione delle fasi di lavoro in modo da poter standardizzare i tempi e la qualità di realizzazione di ciascun processo. Il “taylorismo” fu concepito sulla base di una meticolosa analisi dei rapporti tra costi e benefici. Da questa organizzazione parcellizzata, nel 1913 Ford inventò la “catena di montaggio” con cui produceva automobili impiegando operai semispecializzati che, disposti lungo un nastro mobile, compivano meccanicamente sempre la stessa operazione, passando poi il pezzo al collega della stazione successiva, fino a quando non veniva completato l’assemblaggio di un’automobile.

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In questa fase, i sindacati come la American Federation of Labour (Afl) svolsero un ruolo importante per l’organizzazione dei lavoratori e per la rivendicazione di maggiori diritti e tutele [ 16]. Essi cominciarono a coordinare la loro azione con il Partito democratico, soprattutto nelle grandi città industriali, contrastando gli  arbitrati per le dispute sul lavoro, che tendevano per lo più a favorire gli imprenditori.

Dal repubblicano Taft al democratico Wilson
Il successore di Roosevelt fu William Taft (1909-13), il quale era vicino alle correnti più conservatrici del Partito repubblicano. La sua politica fu volta a rafforzare le misure antitrust per spezzare i monopoli, a ridurre le tasse per favorire gli investimenti e a mantenere le tariffe per proteggere la produzione industriale nazionale.

Le elezioni successive segnarono il ritorno alla Casa Bianca di un presidente democratico, Woodrow Wilson (1913-21), il quale cercò di stringere un compromesso tra gli interessi degli industriali del Nord e quelli dei proprietari rurali del Sud. Wilson perciò abbassò le tariffe protezioniste per stimolare gli scambi commerciali internazionali, mentre rivedeva la precedente politica antitrust, incoraggiando la competizione economica interna entro un quadro di leggi uguali per tutti. Inoltre, al fine di sottrarre potere finanziario alle grandi banche di New York e incrementare gli investimenti nel Sud, operò una complessiva riforma del sistema bancario, creando il Federal Reserve System, cioè dodici strutture regionali che erano coordinate da una banca centrale con base a Washington.

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Una politica estera attiva
Dopo aver guadagnato una forte influenza su Cuba (1898) e il controllo delle Filippine (1902), gli Usa, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt, cominciarono a muoversi come una potenza in ascesa. Essi rafforzarono la loro alleanza con il Regno Unito, mentre risolsero, con un accordo del 1907, le tensioni con il Giappone, che derivavano dalla rivalità economica e politica nel Pacifico. Quindi intervennero ripetutamente in America Latina per affermare i propri interessi geopolitici ed economici. In particolare, Roosevelt sostenne la sollevazione che portò alla costituzione della Repubblica di Panama [ 17] nel 1903. Fino ad allora la politica continentale statunitense si era attenuta alla “dottrina Monroe”, che fu elaborata nel 1823 sotto la presidenza di James Monroe e che postulava l’indipendenza del continente americano (nord, centro e sud) dall’Europa. Nel 1904 il presidente Roosevelt introdusse un “corollario Roosevelt” alla “dottrina Monroe”, secondo cui, in casi eccezionali, si potevano prevedere interventi delle “nazioni civilizzate” per esercitare “un potere di polizia internazionale”.

Il presidente Taft riteneva invece che fosse più importante intavolare trattative e alleanze in Asia orientale piuttosto che in Europa, spingendo per un rapido riconoscimento della Repubblica cinese nel 1911. In America centromeridionale, adottò la cosiddetta “diplomazia del dollaro”, che combinava l’elargizione di importanti prestiti agli Stati sudamericani in cambio di interessi alti e accordi economici che interferivano con l’economia dei paesi aiutati a vantaggio delle imprese statunitensi. Questa politica, tuttavia, trovò l’opposizione tanto dei governi locali quanto del Congresso statunitense, favorevole a una politica isolazionista. In particolare, il presidente Taft sostenne la rivoluzione messicana che portò all’elezione di Francisco Madero come presidente nel 1911. L’elezione di Wilson inaugurò una linea ben più interventista, che spinse gli Stati Uniti, tra il 1916 e il 1917, a organizzare una spedizione punitiva contro il rivoluzionario Pancho Villa, ma senza successo. La politica estera wilsoniana si ispirò all’idea che gli Stati Uniti dovessero svolgere un ruolo di primo piano nella politica mondiale, divenendo esportatori dei valori universali della democrazia: di qui derivò il suo “idealismo”. Allo scoppio della Grande guerra in Europa nel 1914, però, scelse la neutralità, garantendo che gli Stati Uniti sarebbero rimasti fuori dal conflitto.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi