1.3 Trasformazioni imperiali da Pechino a Istanbul

1.3 Trasformazioni imperiali da Pechino a Istanbul

La crisi dell’Impero cinese

L’Impero russo non fu l’unico a essere interessato da rivolte e sommovimenti; anche l’Impero ottomano – anch’esso geograficamente collocato tra più continenti (Europa, Asia e Nord Africa) – e gli altri imperi asiatici, quello cinese e quello persiano, videro minata la loro stabilità da gravi crisi sociali e politiche. 

In Cina, la dinastia Qing aspirava ad adottare il modello di sviluppo giapponese, che fin dagli anni Settanta dell’Ottocento fondava le politiche di rilancio economico su ingenti investimenti in campo militare e industriale, seguendo l’esempio prussiano. Era pressoché inevitabile che questa politica urtasse la sfera d’influenza del Giappone, il quale a sua volta, contando sull’alleanza con l’Impero britannico, aspirava a garantirsi il controllo di tutta la regione. Nel 1894-95, le truppe nipponiche assunsero il controllo della Corea e penetrarono nella Cina settentrionale e in Manciuria.

L’Impero cinese, inoltre, diventò oggetto di crescenti interferenze da parte delle potenze europee, che forzarono Pechino a firmare trattati commerciali da cui solo loro traessero vantaggio. Si verificò perciò una reazione di chiusura agli stranieri che trovò espressione nella società segreta Yihequan (“Pugni di giustizia e concordia”), composta di giovani militanti che praticavano un’arte marziale rituale cinese in cui era predominante il ricorso ai pugni e che fu assimilata alla boxe dai cronisti europei: essi furono per questo detti “boxer”. Nel 1899 la rivolta dei boxer tentò di contrastare la penetrazione occidentale, colpendo soprattutto i cristiani (sia stranieri sia cinesi), i quali cercarono rifugio nel quartiere delle legazioni di Pechino, in cui erano ospitati i rappresentanti dei Paesi stranieri. Dopo un’iniziale fase di esitazione, la corte decise di sostenere i boxer, di cingere d’assedio il quartiere delle legazioni e di dichiarare guerra agli Stati che intendessero intervenire con le armi. Nell’agosto del 1901 un’alleanza di otto potenze (Impero austro-ungarico, Italia, Impero tedesco, Francia, Impero britannico, Stati Uniti, Giappone, Impero russo) liberò il quartiere delle legazioni, pose fine alla rivolta dei boxer e stabilì per la Cina un regime di protettorato, che consentì alle potenze straniere di occupare basi commerciali e militari sulla costa del Mar Giallo. L’umiliazione subita dall’Impero cinese fu all’origine di una crisi irreversibile dell’istituzione imperiale [ 11].

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La nascita della Repubblica cinese
Il governo cinese intraprese un programma di riforme che però, in un contesto di fragilità interne ed esterne sempre più gravi, si rivelò insufficiente. La riorganizzazione delle forze armate e la ristrutturazione dell’assetto istituzionale, invece che rafforzare lo Stato, alimentarono le spinte alla divisione tra un Nord conservatore e un Sud più avanzato e aperto allo sviluppo. Fu proprio nel Sud che nacque il movimento nazionalista del Guomindang, fondato da Sun Yat-sen (1866-1925), rivoluzionario di origine contadina che aveva ricevuto una formazione di tipo europeo nella colonia britannica di Hong Kong. Il suo programma d’azione, fortemente influenzato dal pensiero politico europeo, si articolava in tre fasi: nazionalismo, democrazia e socialismo [ 12].

Con la dimensione nazionalista dell’ideologia del Guomindang trovò una convergenza l’uomo che gestì l’ultima stagione dell’Impero cinese: Yuan Shi-k’ai, politico e militare di famiglia mandarina, autoritario e antisocialista. Nell’ottobre del 1911 scoppiò un’insurrezione contro il governatore e il comandante militare della città di Wuhan; la notizia si propagò velocemente in tutte le province cinesi e la dinastia Qing di fatto cadde, provocando il crollo dello stesso impero. Il 1° gennaio 1912 fu proclamata la nascita della Repubblica cinese a Nanchino, e Yuan Shi-k’ai ne divenne il primo presidente, dopo una breve presenza al potere di Sun Yat-sen. Sotto il nuovo regime politico si avviò un processo di parziale modernizzazione, che trovò i propri riferimenti nella cultura occidentale (dall’adozione del calendario gregoriano all’uso di tenere i capelli corti) e che si tradusse nello sforzo di costruzione della nazione cinese, attraverso l’adozione di un inno e di una bandiera e la definizione di una nuova lingua nazionale. Tuttavia, la Repubblica democratica si rivelò un esperimento effimero: presto Yuan Shi-k’ai sciolse il parlamento, assumendo poteri dittatoriali, e il paese si frantumò in molteplici province autonome, dominate da “signori della guerra”, cioè governatori militari in costante conflitto l’uno con l’altro.

L’Impero persiano

Fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento, anche la Persia (odierno Iran) subì una progressiva destabilizzazione a causa delle ingerenze britanniche e russe che si confrontavano in Asia centrale. L’esempio della rivoluzione russa del 1905 e il malcontento per la stagnazione economica provocarono anche nell’Impero persiano, governato dagli scià (titolo attribuito ai regnanti iranici) della dinastia Qajar, una fase di sommovimenti, dapprima pacifici, poi violenti. Alle proteste contro il dispotismo dello scià parteciparono, insieme ai ceti medi cittadini (soprattutto mercanti del bazar di Teheran), le autorità religiose sciite, gli ulema e i  mullah, e nell’agosto del 1906 fu concessa una Costituzione. Cercando di ammodernare le istituzioni civili e religiose, la nuova assemblea nazionale (il Majles) svolse un ruolo importante, che però aprì una fase di aspra conflittualità.

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Nel 1908, un colpo di Stato dello scià, appoggiato dall’alleanza anglo-russa sancita nel 1907, portò a una temporanea so­spensione della Costituzione da poco promulgata e alla conseguente radicalizzazione della lotta politica. Dopo che il Majles, nel 1909, forzò lo scià a un ripristino delle garanzie costituzionali, lo scontro tra i fautori di una radicale modernizzazione politico-sociale e i critici dell’assolutismo, inclini però a conservare le basi religiose e culturali tradizionali della società, si acuì ulteriormente, finché, nel 1911, un nuovo intervento militare russo represse il primo governo persiano retto da un consenso popolare, pur senza cancellare la Costituzione.

La rivoluzione dei Giovani turchi

L’ondata di rinnovamento che si era propagata dalla rivoluzione russa del 1905 e che aveva attraversato il continente asiatico giunse fino a Istanbul nel 1908. Da molti decenni l’Impero ottomano era considerato “il malato d’Europa” per l’apparentemente inevitabile processo di disgregazione e contrazione territoriale, che le cancellerie europee definivano la “questione d’Oriente”. A fronte delle continue ingerenze occidentali e dell’aggressività crescente dei movimenti nazionalisti balcanici, gli ufficiali dell’esercito ottomano miravano a salvare le istituzioni imperiali dal collasso e al tempo stesso a fare della “nazione turca” il nucleo stabile di un nuovo Stato. Essi si organizzarono nell’associazione “Unione e progresso”, che coinvolgeva soprattutto giovani ufficiali delle zone di confine, come la città di Salonicco, chiamati “Giovani turchi. In opposizione al sultano Abdul Hamid II, che era salito al potere nel 1876 e che aveva abolito la Costituzione poco dopo la sua promulgazione, i Giovani turchi assunsero una posizione laica e costituzionalista; nel luglio 1908 attuarono un colpo di Stato che si guadagnò un vasto sostegno popolare e che, pur senza destituire il sultano, restaurò la Costituzione e convocò le elezioni per il parlamento. Nell’aprile del 1909, tuttavia, il sultano pianificò una controrivoluzione, che mirava non solo a vanificare la prospettiva costituzionale e laica, ma addirittura a instaurare la  shari’a. Seguirono scontri sanguinosi (ad Adana, lo scontro tra rivoluzionari e autorità fu pretesto per un massacro di armeni), al culmine dei quali Abdul Hamid II fu sostituito da Mehmet V, che governò fino al 1913 con i poteri concessi dalla Costituzione [ 13]. Dopo la sconfitta nella prima guerra balcanica, nel gennaio del 1913 fu realizzato un colpo di Stato da un triumvirato composto dal gran Visir (primo ministro) Mehmed Talaat Pasha, Ismail Enver Pasha e Ahmed Djemal Pasha. I cosiddetti “tre Pasha”, esponenti di spicco del Comitato unione e progresso, posero fine al governo costituzionale di Mehemet V e impressero una svolta autoritaria e imperialista alla politica ottomana.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi