1.1 Ascesa e crisi del primato europeo

Per riprendere il filo…

Il passaggio fra Ottocento e Novecento fu segnato da due grandi fenomeni, tra loro diversi ma collegati sul piano internazionale. Da un lato, nel periodo intercorso tra la guerra franco-prussiana (1870-71) e le guerre balcaniche (1912-13), in Europa regnò una sostanziale pace. Dall’altro, grazie alle conquiste coloniali, le potenze europee acquisirono un potere globale senza precedenti. La competizione per il dominio nel mondo extraeuropeo, il massiccio trasferimento di risorse dalle periferie ai centri degli imperi e l’accesso ai nuovi mercati coloniali consentirono di allentare le tensioni fra le nazioni del vecchio continente. Tuttavia, proprio quando il primato europeo nel mondo raggiungeva l’apice, cominciarono a manifestarsi i primi importanti segni di una crisi che avrebbe segnato la fine della pace in Europa.

1.1 Ascesa e crisi del primato europeo

Lo scenario globale a inizio secolo
Il processo di globalizzazione che si dispiegò a fine Ottocento ebbe l’effetto di intensificare le interconnessioni su scala internazionale, alimentando però la competizione tra i diversi imperi che occupavano lo scenario globale. Mentre l’Impero britannico e la Francia, non senza reciproci attriti, cercavano di conservare le proprie posizioni di dominio nel mondo, la dirompente ascesa della potenza tedesca era limitata dal fatto che il continente africano e quello asiatico erano ormai quasi del tutto colonizzati. Intanto altre potenze, in particolare gli Stati Uniti e il Giappone, avevano cominciato ad affacciarsi sulla scena globale, con l’ambizione di contendere al vecchio continente il suo primato [ 1].


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La conquista militare delle colonie era stata preceduta, accompagnata o sostituita, a seconda dei casi, da strategie di investimento economico e finanziario, che avevano sancito la dipendenza di molti paesi dalle potenze europee, o che comunque ne avevano limitato la libertà d’azione. Gli investimenti occidentali (soprattutto francesi, inglesi e tedeschi) si concentrarono sugli imperi in crisi, come quello cinese e quello ottomano, aggiungendo nuove rivalità economiche ai conflitti politici già esistenti tra le potenze europee. Le politiche imperialistiche in Africa o in Asia e le dinamiche diplomatiche europee divennero dunque strettamente interdipendenti, ben più di quanto era accaduto in passato. Nel primo quindicennio del secolo, in particolare, gli interessi dei paesi europei nel mondo (soprattutto nei processi di disgregazione dell’Impero cinese e di quello ottomano) destabilizzarono il sistema internazionale delle alleanze, concorrendo a determinare il contesto in cui sarebbe scoppiato un conflitto di proporzioni mondiali.

Imperialismo e alleanze europee
Lo schieramento di forze che si sarebbe scontrato nella Grande guerra del 1914 – Francia, Impero russo, Regno Unito e Italia da un lato; Impero tedesco e austro-ungarico dall’altro – fu il prodotto finale di una partita diplomatica difficile e imprevedibile. La Triplice Alleanza, costituita nel 1882 da Impero tedesco, quello austro-ungarico e Italia, veniva regolarmente rinnovata, ma fra Italia e Impero austro-ungarico non mancavano ragioni di tensione, alimentate dalle aspirazioni ▶ irredentiste italiane su Trento e Trieste e dalla competizione nei Balcani. D’altro canto, Francia e Impero russo avevano stretto una solida alleanza politico-militare fin dal 1894, ma entrambe erano contrapposte al Regno Unito sugli scacchieri africano e asiatico. Lo spostamento della competizione geopolitica fuori dall’Europa determinava ora un riposizionamento degli Stati anche sul vecchio continente.
Tra il 1899 e il 1902, l’Impero britannico fu impegnato nella seconda guerra contro i boeri (dopo quella del 1880-81), discendenti degli originari coloni olandesi stanziati nel Transvaal e nel Libero Stato dell’Orange. L’intenzione di Cecil Rhodes, imprenditore dei diamanti dotato di un esercito privato e governatore britannico della Colonia del Capo, era quello di impadronirsi dell’intera Africa meridionale, per meglio controllarne le risorse minerarie. Fra le truppe britanniche e i guerriglieri boeri si scatenò così un lungo e sanguinoso conflitto, durante il quale furono commesse gravi violenze contro la popolazione civile; furono inoltre costruiti i primi  campi di concentramento per la detenzione dei fiancheggiatori della guerriglia; il conflitto si concluse con la sconfitta dei boeri [ 2]. Il Transvaal e il Libero Stato dell’Orange cessarono di esistere come repubbliche autonome e divennero colonie britanniche. Nel 1910, con l’unificazione di queste due colonie con la Colonia del Capo e con quella del Natal, si costituì l’Unione Sudafricana, posta sotto la sovranità della corona britannica, entro la quale vigeva una netta discriminazione delle popolazioni locali a vantaggio della minoranza bianca, costituita da boeri e inglesi [ 3]. La guerra contribuì però a deteriorare le relazioni inglesi con l’Impero tedesco – che aveva appoggiato i boeri nella speranza di allargare i suoi possedimenti in Africa – alimentando la rivalità tra i due imperi anche sullo scenario europeo.

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Fin dai tardi anni Novanta dell’Ottocento, inoltre, l’Impero britannico aveva avviato la conquista del Sudan, muovendo le sue truppe dall’Egitto. Tuttavia, dopo aver preso il controllo della capitale sudanese Khartum, gli inglesi incontrarono l’opposizione dei francesi che, a loro volta, cercavano di ampliare il proprio controllo sull’Africa centrale. Nel 1898 le truppe coloniali francesi e britanniche furono a un passo dallo scontro armato, quando un contingente britannico giunse a Fashoda (odierna Kodok, in sud Sudan) dove, nella zona di confine fra le aree d’influenza dei due paesi, era di stanza un piccolo presidio francese. La Francia, che alla fine del secolo era lacerata da una grave crisi politica interna, per evitare lo scontro decise di lasciare il presidio agli inglesi, stabilendo come confini delle rispettive aree d’influenza la sorgente del Nilo e il fiume Congo. Tra i due paesi, tuttavia, la tensione restò alta: soltanto nel 1904, dopo difficili negoziati, fu siglata l’“Intesa Cordiale” (Entente Cordialetra Impero britannico e Francia, con cui i francesi rinunciarono alle pretese sull’Egitto, in cambio dell’abbandono delle rivendicazioni britanniche sul Marocco.

Le maggiori preoccupazioni dell’Impero britannico, però, derivavano dalla penetrazione russa in Asia centrale e in Cina. La sconfitta russa a opera del Giappone, nel 1905 (di cui parleremo nel paragrafo 1.2), creò le condizioni perché si giungesse a una risoluzione delle controversie aperte tra Londra e San Pietroburgo in Persia e in Afghanistan: l’accordo fu firmato nel 1907. Tra Francia, Impero britannico e Impero russo, alleati a due a due, nasceva una Triplice Intesa, opposta alla Triplice Alleanza.

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altri linguaggi

Cuore di tenebra di Joseph Conrad

Il romanzo Cuore di tenebra, pubblicato nel 1902, scritto da Joseph Conrad, nato in una famiglia aristocratica polacca ma divenuto in seguito cittadino britannico, racconta di un viaggio attraverso la giungla del Congo belga, nel cuore dell’Africa. Il marinaio Marlow risale il fiume Congo con il suo battello a vapore per ritrovare il comandante Kurtz, di cui si sono perdute le tracce mentre lavorava con una compagnia per il commercio dell’avorio. Egli giunge infine al luogo dove Kurtz, nel pieno della giungla, ha instaurato un suo regno personale caratterizzato dalla violenza e basato sulla devozione della popolazione indigena nei suoi confronti. Marlow tenta di riportare a Londra il comandante che, gravemente ammalato e in preda al delirio, muore durante il viaggio.

Il libro si presenta come una critica radicale alla mentalità e alle pratiche del colonialismo, allo sfruttamento degli esseri umani e delle risorse di altri continenti, all’equivoco carattere della missione di “civilizzazione occidentale”. Conrad, inoltre, mostra la profonda metamorfosi dell’uomo occidentale che, in un contesto privo di ordine e di regole, rivela la sua natura selvaggia e crudele. A Cuore di tenebra si è liberamente ispirato il regista Francis F. Coppola per realizzare il film Apocalypse Now, ambientato durante la guerra condotta dagli Stati Uniti in Vietnam (1963-75).

Resistenze antimperiali e agitazioni coloniali
Agitazioni e sollevazioni cominciarono intanto a manifestarsi nelle periferie più o meno lontane degli imperi occidentali, incrinandone la solidità, pur senza metterne a repentaglio la sopravvivenza. Le élites extraeuropee erano spesso educate in sistemi scolastici e universitari coloniali che trasmettevano il senso di superiorità del modello sociale e politico occidentale. Il repertorio di idee e di tecniche che provenivano dall’Occidente era però rimodellato dalle classi dirigenti asiatiche e africane secondo le proprie esigenze, funzionali ad elaborare progetti di riforma dello stesso dominio coloniale. Con la diffusione delle culture politiche europee del liberalismo e del nazionalismo, nel primo quindicennio del secolo nelle colonie si formarono movimenti che, in nome di queste idee, rivendicavano maggior autonomia dai dominatori [▶ altri LINGUAGGI].
Malgrado il suo “splendido isolamento” – così era stato definito l’atteggiamento britannico in politica estera nel corso della seconda metà dell’Ottocento –, l’Impero britannico si misurava sempre più con le sfide di un potere globale, che incontrava resistenze su scala locale o regionale. Anche se i metodi di governo britannici erano considerati tendenzialmente meno oppressivi di altre forme di dominio coloniale, la guerra contro i boeri, con le brutalità commesse dalle truppe imperiali, contribuì in parte a screditarne l’immagine. Ai primi del secolo, in Egitto e in India serpeggiavano malcontento e risentimenti che si sarebbero presto trasformati in agitazioni politiche volte a ottenere un maggior grado di autogoverno, pur senza mettere ancora in discussione la sovranità imperiale di Londra. Di grande rilievo furono i tumulti di Calcutta, in cui il nazionalismo indiano si oppose alla decisione del viceré britannico, lord Curzon, di smembrare il Bengala in due province: nel 1911, i nazionalisti indiani riuscirono ad avere la meglio, ottenendo anche significative riforme costituzionali che aprirono gli uffici pubblici alla partecipazione di elementi autoctoni.
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Un caso particolare era rappresentato dal nazionalismo irlandese, intriso di fede cattolica e rivolto contro il dominio inglese sull’Irlanda, dove la questione dell’Home Rule (cioè la rivendicazione di un’amministrazione autonoma da Londra) era particolarmente sentita fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento. Il provvedimento, bocciato due volte dalla Camera dei Comuni, fu approvato nel 1911 ma non entrò mai in vigore a causa dell’inizio della Grande guerra, nel 1914. Intanto, mentre il nazionalismo radicale irlandese si era organizzato intorno al movimento indipendentista dello Sinn Fein (“Noi stessi”, in gaelico), fondato nel 1905, i protestanti filoinglesi, concentrati soprattutto nelle contee settentrionali dell’isola, avevano cominciato a praticare un’opposizione sempre più intransigente alla ▶ devoluzione di poteri dal governo centrale. Nel 1913-14 in Irlanda si profilava ormai chiaramente la possibilità di una guerra civile [ 4].

Il nazionalismo in un mondo di imperi
Al passaggio tra Otto e Novecento, il nazionalismo costituiva certamente uno dei linguaggi politici più innovativi, in grado di dar vita a movimenti dalla forza e dalle dimensioni crescenti. Tuttavia, come si è visto, lo scenario istituzionale europeo e globale alla vigilia della Prima guerra mondiale era composto, più che da Stati nazionali, da imperi, alcuni dei quali marcatamente multinazionali: prima dell’inizio della Grande guerra solo le frange più radicali dei movimenti nazionalisti miravano a distruggere queste entità politiche per costruire nuovi Stati nazionali indipendenti. La maggior parte dei movimenti nazionalisti aspirava invece a riforme che assegnassero, all’interno degli organismi statali esistenti, una più ampia autonomia culturale alle diverse comunità nazionali, per esempio attraverso l’uso di lingue diverse da quella della nazionalità dominante nelle scuole e nelle università.

L’Impero austro-ungarico è il più chiaro esempio di questa situazione. Retto dall’imperatore Francesco Giuseppe, che era anche re d’Ungheria, costituiva una formazione complessa e originale, in cui soltanto la politica estera, finanziaria e militare erano oggetto di decisioni comuni vincolanti. Mentre Budapest aspirava a essere di fatto la capitale di uno Stato autonomo, all’interno del quale non fossero riconosciuti diritti ad altri gruppi nazionali se non a quello ungherese, Vienna avviò un percorso di costruzione della cittadinanza in cui le diverse comunità nazionali – tedesca, ceca, slovacca, slovena, italiana – trovarono spazio crescente. La vivace società civile che si sviluppò entro la cornice imperiale all’inizio del secolo divenne il contesto per la formazione di movimenti nazionalisti che, pur senza contestare l’autorità sovranazionale dell’Impero, acuirono le loro reciproche rivalità e alimentarono duri conflitti parlamentari. Particolarmente vulnerabili alla circolazione dei nuovi e dirompenti progetti nazionalisti erano le grandi città plurinazionali dell’Europa centrale e orientale, quali Königsberg, Vilnius, Leopoli, Odessa, Salonicco, Sarajevo, Trieste [ 5-6]. Le realtà urbane degli Imperi asburgico, tedesco, ottomano e russo erano frutto di processi lunghissimi, che avevano portato a coesistere – non senza tensioni e conflitti – comunità linguistiche, culturali e religiose diverse, tra le quali spiccava la vivacità di quella ebraica.

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1.2 La guerra russo-giapponese e la rivoluzione del 1905

Il conflitto fra espansione russa e interessi giapponesi

A partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, l’Estremo Oriente conobbe una serie di tensioni regionali che catturarono l’attenzione di molti Stati, allettati dalla possibilità di trarre profitto da questa situazione di incertezza. Le mire espansionistiche di queste grandi potenze provocarono divergenze destinate a sfociare, in alcuni casi, in guerra aperta.

L’Impero russo procedeva da oltre un secolo a una sorta di colonizzazione interna verso est (soprattutto in Siberia). Sotto lo zar Nicola II (1881-1917) l’Impero russo aveva cominciato una politica di espansione in direzione della Manciuria, con l’intenzione di costruire una lunga rete ferroviaria – la Transiberiana – che approdasse al Pacifico. Era pressoché inevitabile che questa politica entrasse in urto con la sfera d’influenza del Giappone che, avendo già sconfitto la Cina nel 1895, aspirava a garantirsi il controllo di tutta la Manciuria, contando inoltre sull’alleanza con l’Impero britannico, anch’esso preoccupato per l’espansione russa.

Falliti i tentativi di raggiungere un’intesa sulle rispettive zone d’interesse, nel febbraio 1904, senza una formale dichiarazione di guerra, la flotta giapponese attaccò e affondò le navi da guerra russe attraccate al largo di Port Arthur, sulla costa cinese, aprendo così il conflitto con l’Impero russo. Nel corso del 1904 l’esercito russo fu sopraffatto e costretto alla ritirata dalle superiori forze di terra giapponesi. Dopo un lungo assedio, all’inizio del 1905 cadde Port Arthur e, in maggio, la flotta russa del Baltico, che aveva raggiunto il Pacifico dopo un viaggio estenuante, fu quasi completamente annientata a Tsushima, nello stretto tra il Giappone e la Corea [ 7].

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Mentre dal fronte giungevano notizie delle numerose sconfitte dell’esercito zarista, all’interno dei propri confini l’impero fu scosso da un’ondata di sollevazioni politiche e di proteste sociali, che imposero allo zar di concludere rapidamente il conflitto con il Giappone. Con il trattato di pace, firmato a Portsmouth nel settembre del 1905 grazie alla mediazione del presidente statunitense Theodore Roosevelt, l’Impero russo fu costretto a rinunciare alla propria strategia di penetrazione verso la Cina e a riconoscere la sovranità giapponese sulla Manciuria. Se sul piano militare le conseguenze della guerra furono relativamente circoscritte, sul piano politico e culturale esse furono traumatiche per la monarchia zarista: nella pubblicistica occidentale, improntata a sentimenti razzisti, la sconfitta russa venne infatti vissuta come una disfatta della “razza bianca” a opera della “razza gialla”.
Modernizzazione e rivoluzione

Le violente agitazioni scoppiate durante il conflitto con il Giappone sono in genere definite come “rivoluzione russa del 1905”. Fin dall’ultimo decennio dell’Ottocento nell’Impero russo si erano costituiti partiti e sindacati di tipo moderno, che avevano visto rapidamente crescere il numero di adesioni. Nonostante la formazione di aree industriali e l’estensione delle zone urbane, però, l’Impero restava una società in larghissima maggioranza contadina, con un’economia basata sulle grandi tenute terriere. Non a caso in questi anni si era rafforzato soprattutto il Partito socialrivoluzionario (fondato nel 1897), che godeva di un ampio sostegno nelle campagne. Eredi della tradizione populista, e favorevoli anche al ricorso ad attentati terroristici come strumento di lotta politica, i socialisti rivoluzionari credevano nella possibilità di affermare la piccola proprietà agricola, spezzando il plurisecolare potere dei grandi latifondisti aristocratici ed evitando, al contempo, il traumatico avvento della moderna società industriale. In effetti nelle circoscritte aree del paese in cui, grazie agli investimenti stranieri e all’iniziativa del governo, si era registrato uno sviluppo industriale, i cambiamenti erano stati particolarmente intensi: ciò avvenne nel circondario di San Pietroburgo, ma anche in alcune zone periferiche, come le regioni polacche, ucraine e caucasiche. Fu proprio qui che le tensioni sociali esplosero, intrecciandosi alle crescenti aspirazioni nazionali, esacerbate dal risentimento verso le politiche di “russificazione”, promosse dal centro dell’impero e volte all’imposizione della cultura e della lingua russa. Sotto questo aspetto, i moti russi del 1905 possono essere considerati come uno scoppio ritardato delle rivoluzioni centroeuropee del 1848.

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La rivoluzione del 1905

Le crescenti tensioni – rese evidenti dalla disobbedienza dei riservisti all’ordine di partire per il fronte – avevano indotto lo zar a intavolare le trattative per la pace con il Giappone. La situazione, tuttavia, era ormai fuori controllo.

L’evento che innescò la rivolta accadde a San Pietroburgo il 22 gennaio 1905, poco dopo la caduta di Port Arthur, quando un religioso, padre Gapon (in seguito giustiziato per il suo doppio gioco con la polizia segreta zarista), guidò una vasta manifestazione popolare fino al Palazzo d’Inverno, sede del potere zarista, per rivolgere allo zar una petizione che chiedeva il miglioramento delle condizioni di lavoro degli operai, l’aumento dei salari, la giornata lavorativa di otto ore, la fine della guerra con il Giappone e il suffragio universale. Di fronte a un corteo di 50 000 partecipanti (tra i quali moltissime donne) il governo schierò circa 10 000 tra guardie imperiali e ▶ cosacchi, che aprirono il fuoco sui manifestanti in diversi punti della città. Secondo le fonti ufficiali oltre un centinaio di persone restarono uccise, anche se altre fonti parlano di almeno un migliaio di vittime: l’evento è ricordato come la “Domenica di sangue”. La fiducia di cui godeva lo zar, circondato fino ad allora da una devozione quasi religiosa, si incrinò profondamente e fu subito convocato uno sciopero generale che coinvolse tutte le maggiori città dell’impero [ 8-9].

Tra il gennaio del 1905 e l’aprile del 1906 seguì una violenta ondata di moti agrari e di importanti insurrezioni urbane [▶ luoghi], che furono duramente repressi dalle autorità: nel dicembre 1905 nelle strade di Mosca si svolse una vera e propria battaglia, che provocò la morte di migliaia di manifestanti. Fu in quei mesi convulsi che nacquero anche le prime esperienze assembleari (soprattutto operaie), divenute note in seguito come soviet (“consigli”). Fra i nuclei più attivi della rivolta antizarista vi furono gli abitanti dei territori un tempo appartenenti allo Stato polacco, annessi all’Impero russo alla fine del Settecento: a Varsavia le proteste dei manifestanti, solidali con gli operai di San Pietroburgo, furono massicce, tanto che numerosi reparti dell’esercito impegnati sul fronte orientale contro il Giappone dovettero essere trasferiti d’urgenza a reprimere la sollevazione polacca. Inoltre, nelle regioni occidentali dell’impero (corrispondenti oggi all’Ucraina), le sollevazioni spesso si accompagnarono a pogrom, in cui morirono migliaia di ebrei e armeni.

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  luoghi

Odessa

La città di Odessa fu fondata dalla zarina Caterina II nel 1794, nell’ambito della politica espansionistica dell’impero. Sita sulla costa settentrionale del Mar Nero, diventò presto un porto rilevante nei commerci tra Est e Ovest. La sua popolazione, quanto mai composita, comprendeva comunità provenienti dalle aree limitrofe e non sol: russi, ucraini, tedeschi, polacchi, turchi, greci, rumeni, italiani e una vasta comunità ebraica animavano i quartieri della città. Fin dal gennaio 1905 fu teatro di disordini violenti, gli scioperi operai furono repressi con durezza dai reparti di cosacchi, che spararono sulla popolazione civile, provocando centinaia di morti.

Durante la confusione di quell’anno, la città fu lo scenario di episodi di violenza indiscriminata, come il pogrom scatenato a ottobre contro la comunità ebraica della città, che causò l’uccisione di oltre 300 ebrei.

La memoria degli eventi del 1905 a Odessa è però legata soprattutto all’ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin in sostegno all’insurrezione, prima di essere costretti alla fuga dal resto della flotta del Mar Nero rimasta leale allo zar Nicola II. Questo episodio, che fu celebrato nel 1925 nel film La corazzata Po­tëmkin del regista Sergej Mi­chajlovič Ejzen­štejn, sarebbe diventato un elemento cardine della propaganda sovietica.

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Tentativi democratici, repressione e riforme
I partiti socialisti, pur riconoscendo che la sollevazione in corso nel paese non era una rivoluzione sociale, sostennero la richiesta di istituzioni democratiche, da loro intese come momento centrale della rivoluzione “borghese” (cui sarebbe seguita quella socialista). In particolare a Lenin, esponente di primo piano della fazione bolscevica del Partito socialdemocratico russo, la rivoluzione del 1905 offrì un insegnamento fondamentale, di cui avrebbe fatto tesoro all’epoca della rivoluzione del 1917: egli imparò a riconoscere il ruolo fondamentale delle campagne nel processo rivoluzionario, tanto da ipotizzare, quale forma di governo di transizione al socialismo, un’alleanza tra operai e contadini.
Per qualche tempo la rivoluzione democratica sembrò imporsi. Il 17 ottobre lo zar Nicola II concesse il cosiddetto manifesto d’Ottobre, un documento con cui si riconosceva il rispetto delle libertà individuali fondamentali. Fu quindi convocata la prima assemblea rappresentativa della storia russa, la Duma (una sorta di Parlamento): attiva tra l’aprile e il luglio 1906, essa non riuscì tuttavia ad approvare la riforma agraria a causa dei dissensi sulle diverse proposte. Così, con un vero e proprio colpo di Stato, il primo ministro russo Pëtr Arkad´evič Stolypin la fece sciogliere. Nel 1907 furono elette una seconda e poi una terza Duma, a cui seguì una quarta nel 1912: anche se contribuirono alla politicizzazione di professionisti, contadini e operai, esse furono in larga misura private dei loro originari poteri di controllo sullo zar. Analogamente le successive Dume, in larga misura private dei loro originari poteri di controllo sullo zar [ 10].
Dopo il riflusso del moto rivoluzionario, mentre il Partito socialrivoluzionario scatenava una campagna di attentati terroristici, fu instaurato un regime repressivo particolarmente duro, che trovava un parallelo solo nell’Impero ottomano.
Il tentativo di riforma agraria di Stolypin
Allo stesso tempo, tra il 1906 e il 1911 il dinamico primo ministro Stolypin avviò una campagna di riforme, in particolare una riforma agraria che mirava a sottrarre consenso ai socialrivoluzionari nel mondo rurale: la risoluzione della questione contadina, come avevano dimostrato i tumulti del 1905-06, era fondamentale per garantire stabilità al regime politico e vitalità alla produzione economica. La riforma di Stolypin prevedeva di redistribuire ai contadini le terre delle proprietà comuni, ancora diffuse nell’Impero russo, così da consolidare ed estendere la piccola e media proprietà, ma in larga misura fallì, sia perché mancava un efficace sistema creditizio che consentisse ai contadini di acquistare le terre, sia perché l’uso delle terre comuni corrispondeva a un costume molto radicato nelle campagne. Tuttavia, non vi furono altre agitazioni contadine di qualche significato prima dello scoppio della Grande guerra. Numerose furono invece le sommosse nelle città e nelle miniere; nel 1912, nelle miniere d’oro siberiane, le proteste per le durissime condizioni di lavoro e la mancanza di sicurezza furono messe a tacere con l’uccisione di 270 scioperanti.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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