9.5 La guerra globale: l’Estremo Oriente e l’intervento statunitense

9.5 La guerra globale: l’Estremo Oriente e l’intervento statunitense

Lo scenario asiatico

La guerra scoppiata nel 1939 ebbe da subito una dimensione globale, stringendo un nesso diretto fra lo scenario asiatico e quello europeo. Prima di muovere l’Armata rossa verso ovest, infatti, l’Unione Sovietica regolò i conti con il Giappone, che aveva invaso parte della Mongolia, allora alleata di Mosca. Nella seconda metà di agosto, il generale Georgij Žukov costrinse le forze giapponesi alla resa, spingendo Tokyo a dirottare le sue mire espansionistiche verso il Sud-Est asiatico.

Il Giappone, che aveva firmato il patto di alleanza anti Comintern con la Germania nel 1936 [▶ cap. 8.7], aveva avviato una politica di espansione in Estremo Oriente fin dal 1937, attaccando prima la Manciuria e poi la Cina. Nel settembre del 1940 fu quindi siglato il Patto tripartito, da cui scaturì l’asse Roma-Berlino-Tokyo. In questo quadro di alleanze con le potenze fasciste europee, il Giappone mirava a emanciparsi da un ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.

Mentre nelle colonie, soprattutto in Corea, i giapponesi sperimentavano strumenti oppressivi di assimilazione, sfruttamento e trasferimento forzato di popolazioni, la fulminea offensiva nipponica nel Sud-Est asiatico mobilitò i nazionalismi locali, che accolsero con iniziale entusiasmo l’arrivo dei giapponesi, considerati come i “liberatori” dalle forze coloniali francesi, e che favorirono la conquista del Vietnam, del Laos e della Cambogia, nel luglio del 1940.

All’interno della società nipponica i tentativi delle autorità di mobilitare la popolazione in favore di questo progetto imperiale non raccolsero i risultati sperati. Tuttavia, un ampio movimento che, da un punto di vista culturale e ideologico, fondeva razzismo e spiritualismo, contribuì a creare un blocco strategico ed economico intorno al generale Tojo Hideki, un nazionalista radicale, ministro dell’Esercito dal 1940 e primo ministro nell’autunno del 1941. Superando la prospettiva di un accordo con gli Stati Uniti, questo blocco puntava alla guerra per conquistare il dominio sul Pacifico.

L’ingresso in guerra degli Stati Uniti

Arroccate dal 1937 su una posizione isolazionista in politica estera, le autorità statunitensi avevano sottovalutato la possibilità di un attacco giapponese, nonostante i molteplici segnali d’allarme. Il disimpegno statunitense nelle questioni internazionali trovava del resto un solido consenso nell’opinione pubblica, anche se già da tempo il presidente Roosevelt teneva una posizione ambigua: formalmente neutrale, ma di fatto sempre più tesa a sostenere gli avversari dell’Asse. Gli sviluppi dell’azione nazista in Europa e di quella giapponese in Asia avevano poi gradualmente convinto Roosevelt dell’inevitabilità di uno scontro con le forze dell’Asse, pur senza portarlo a impegnare il paese direttamente.

Per quanto riguarda lo scenario asiatico, gli Stati Uniti si erano limitati a sostenere la Cina e a praticare, nei confronti del Giappone, l’embargo di materiali per l’aviazione, senza tuttavia interrompere l’esportazione di petrolio, da cui l’economia nipponica dipendeva, salvaguardando gli interessi delle compagnie petrolifere statunitensi.

Anche se intenzionato a lungo termine a liberare l’Asia dalle influenze americane, il governo giapponese non prevedeva una guerra su larga scala contro gli Stati Uniti in una prima fase. Tuttavia, di fronte all’espansione giapponese in Asia, gli Stati Uniti trasferirono forze militari sempre più consistenti nel Pacifico, soprattutto nelle Filippine, aumentando considerevolmente i rischi di uno scontro militare.

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A questo punto, agli occhi dei militari nipponici un conflitto divenne inevitabile e la migliore opzione per avviarlo fu individuata in un attacco preventivo a sorpresa. Così, la mattina del 7 dicembre 1941, senza alcuna formale dichiarazione di guerra, l’aviazione giapponese bombardò la base navale americana di Pearl Harbor [ 13], nelle isole Hawaii, distruggendo una decina di corazzate e 200 aerei e provocando la morte di oltre 2000 marinai.

L’attacco giapponese a Pearl Harbor pose fine al dibattito sull’isolazionismo e sull’interventismo che aveva segnato la società americana negli anni precedenti e spinse l’intera nazione a una mobilitazione (inizialmente morale, poi anche economica e militare) senza precedenti. In questo clima di fervore patriottico, il giorno successivo l’attacco giapponese il Congresso dichiarò guerra al Giappone, mentre l’11 dicembre Germania e Italia dichiararono a loro volta guerra agli Stati Uniti. A questo punto, la contrapposizione fra l’Asse e i suoi avversari – convenzionalmente definiti gli Alleati – diventarono globali in ogni senso.

La guerra nel Pacifico

Nonostante l’ingresso statunitense nel conflitto, nella prima metà del 1942 l’espansione dell’Impero giapponese continuò senza sosta, attraverso la conquista di Filippine, Thailandia, Malesia, Brunei, Birmania, Singapore e Indie orientali olandesi (oggi Indonesia) [ 14]. L’inattesa celerità della campagna militare mise in difficoltà gli stessi giapponesi, che dovettero ricorrere a personale locale per instaurare nuove amministrazioni. Ciò non significò tuttavia un dominio meno duro di quello già praticato in Corea: in pochi mesi, infatti, le truppe d’occupazione giapponesi cominciarono a mettere in pratica brutali atteggiamenti coloniali, imposero la propria lingua e misero al bando le culture “occidentali”, suscitando un crescente malcontento.

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Ritenendo che fosse ormai il momento opportuno per infliggere un colpo decisivo alla marina americana, nel giugno 1942 l’ammiraglio Yamamoto avviò un attacco coordinato contro le portaerei e le corazzate statunitensi al largo delle isole Midway, nel Pacifico. L’azione si risolse con una pesante sconfitta giapponese, nella quale le forze navali e aeree americane distrussero le superiori forze nipponiche, riequilibrando la situazione che si era creata dopo Pearl Harbor.

Nell’agosto 1942, lo sbarco dei marines a Guadalcanal (isole Salomone), centro di comunicazione strategico fra Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, inaugurò una lunga ed estenuante campagna che sarebbe durata fino al febbraio dell’anno successivo, con un nuovo successo degli Usa. La duplice sconfitta giapponese delle Midway e di Guadalcanal [ 15] impresse un nuovo andamento alla guerra nel Pacifico, che vide i giapponesi costretti a rinunciare al proposito di spingersi fino all’Australia, rimanendo sostanzialmente bloccati su posizioni difensive.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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