9.4 Il fronte orientale

9.4 Il fronte orientale

L’operazione Barbarossa

La campagna iugoslava fu per la Germania un successo, ma provocò un grave ritardo all’invasione dell’Unione Sovietica che, secondo i piani dei generali tedeschi, doveva essere conclusa prima del sopraggiungere dell’inverno. Hitler riteneva la conquista dell’Urss necessaria per realizzare il disegno di assoggettamento dei popoli slavi e di annientamento del comunismo.

I preparativi tedeschi per l’operazione erano cominciati già nel dicembre 1940, ma Stalin non diede ascolto alle informative dei servizi segreti, rifiutandosi di credere a un attacco imminente, convinto che Hitler non avrebbe violato il Patto Molotov-Ribbentrop prima di aver sconfitto il Regno Unito. Così, quando all’alba del 22 giugno 1941 tre milioni di soldati tedeschi entrarono in territorio sovietico, avviando la campagna militare più terribile e sanguinosa della storia, l’Armata rossa fu colta completamente alla sprovvista: circa 1200 aerei sovietici furono distrutti al suolo e centinaia di migliaia di soldati caddero nelle mani della Wehrmacht.

L’attacco, progettato secondo le modalità della guerra lampo e denominato “operazione Barbarossa” [ 10], seguì tre direttrici fondamentali lungo un fronte di oltre 1800 chilometri, muovendosi contemporaneamente verso Leningrado, Mosca e Kiev. Nelle prime settimane, le truppe tedesche furono salutate come forze di liberazione tanto nei paesi baltici, dove pesava l’esperienza dell’occupazione sovietica del 1940-41, quanto nei territori a maggioranza ucraina, che erano stati sotto sovranità polacca fra le due guerre per essere poi occupati dall’Armata rossa nel 1939. Tuttavia, la speranza che i nazisti promuovessero la formazione di nuovi Stati indipendenti fu ben presto frustrata.

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L’operazione Barbarossa diventò presto una vera e propria crociata paneuropea contro il comunismo sovietico, a cui presero parte, oltre che l’esercito tedesco, corpi di spedizione italiani, romeni, croati, ungheresi, slovacchi e finlandesi, insieme a una divisione della Spagna franchista, teoricamente neutrale, e a volontari provenienti dalla Francia, dal Belgio, dall’Olanda, dalla Danimarca e dalla Norvegia.

La “Grande guerra patriottica”

Superato il disorientamento iniziale, il 3 luglio Stalin pronunciò un importante discorso radiofonico in cui chiamò a mobilitarsi i «popoli dell’Unione Sovietica… per la difesa della Patria contro il fascismo tedesco». Impartì quindi l’ordine di resistere all’avanzata in ogni città e di organizzare for­mazioni partigiane nei territori già occupati, nonché di trasferire le principali infrastrutture produttive verso est, in modo da sottrarle alle forze d’occupazione e da assicurare la possibilità di alimentare lo sforzo bellico.

Nonostante il regime di Stalin non avesse perso il suo carattere brutale e repressivo – basti pensare che alla fine di agosto del 1941 fu ordinato il trasferimento forzato verso il Kazakistan di circa 800 000 cittadini sovietici di origine tedesca –, la propaganda sovietica riuscì a determinare una mobilitazione intensiva della popolazione, caratterizzando il conflitto come una “Grande guerra patriottica” in cui anche i civili dovevano svolgere un ruolo primario [ 11]. L’Armata rossa era già di per sé un esercito di massa, contando circa 11 milioni di uomini; l’inasprimento della disciplina sul lavoro portò a una vera e propria militarizzazione del sistema produttivo, nel quale anche il ruolo delle donne divenne fondamentale. A incrementare in maniera significativa la forza lavoro del sistema produttivo sovietico furono anche i prigionieri dei Gulag.

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L’avanzata e le prime difficoltà

A inizio settembre la Wehrmacht ottenne la più grande vittoria della campagna sovietica, riuscendo a conquistare Kiev. Per ordine di Stalin, contro ogni possibilità di successo, la capitale ucraina fu ostinatamente difesa dai soldati dell’Armata rossa, che subì così la perdita di quasi un milione di uomini. Entro la fine del 1941, i tedeschi catturarono oltre 3 milioni di prigionieri sovietici, stipati in campi di concentramento e lasciati a morire di fame, freddo e malattia. Del resto, per Hitler il fronte orientale era destinato a una guerra di sterminio: rovesciando le logiche belliche tradizionali, egli aveva ordinato di combattere fino ad annientare il nemico, senza la possibilità della resa e della prigionia, nonostante il trattamento dei prigionieri di guerra, secondo il diritto umanitario, non solo fosse dovuto, ma fosse anche funzionale alla reciprocità.

Volendo evitare il procrastinarsi del conflitto fino al terribile inverno russo e ritenendo che la caduta di Mosca fosse imminente, a ottobre i tedeschi annunciarono la vittoria. Tuttavia, la marcia tedesca fu rallentata dalle piogge autunnali e dalle prime nevi invernali, dalla tenace resistenza della popolazione e dalla politica di terra bruciata ordinata da Stalin, che privava i tedeschi di ogni mezzo di sostentamento nei territori conquistati. In tali condizioni, anche la Wehrmacht, di gran lunga l’esercito europeo più efficiente, denunciava limiti di attrezzatura e di organizzazione.

Nonostante tutto, il 7 dicembre i tedeschi furono comunque fermati alle porte di Mosca, segnando il punto più avanzato della propria penetrazione in territorio russo: cominciò così un primo, lento ripiegamento [ 12].

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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