9.3 La “guerra parallela” dell’Italia

9.3 La “guerra parallela” dell’Italia

L’Italia fascista in guerra

Nonostante la retorica militarista che il regime fascista sosteneva da un quindicennio, l’Italia era del tutto impreparata a un conflitto di grandi proporzioni. Di fronte all’aggressione di Hitler alla Polonia, Mussolini aveva dunque dichiarato la “non belligeranza” del paese, malgrado il Patto d’acciaio firmato pochi mesi prima con il Reich tedesco. Tuttavia, di fronte ai primi successi nazisti e alla rapida capitolazione della Francia, Mussolini ritenne che la fine del conflitto e la vittoria tedesca fossero ormai imminenti. Così, a dispetto della preoccupazione dei vertici militari e della contrarietà della monarchia e di parte delle gerarchie fasciste, il 10 giugno 1940 il duce decise l’ingresso in guerra
[ 7] dell’Italia al fianco della Germania, con lo scopo di partecipare alla spartizione del territorio francese. L’esercito italiano tuttavia non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi irredentistici, cioè Nizza, la Savoia e la Corsica.

Le prime fasi della guerra d’Africa

Nei mesi successivi, lo sforzo bellico italiano fu indirizzato verso il progetto mussoliniano di una “guerra parallela”, che fosse cioè autonoma da quella tedesca e finalizzata a garantire al paese una propria sfera d’influenza nel Mediterraneo. Le campagne militari avviate per estendere i territori del continente africano sotto controllo italiano, si risolsero però in perdite catastrofiche.

 >> pagina 330 

Dal mese di luglio 1940 il maresciallo Rodolfo Graziani cominciò le operazioni in Africa settentrionale, al fine di invadere l’Egitto dalla Libia. Tuttavia, grazie a un equipaggiamento superiore e nonostante le ingenti forze italiane, l’esercito britannico riuscì a mettere in atto una vasta controffensiva, arrivando a occupare completamente la Cirenaica e costringendo Mussolini a chiedere aiuto a Hitler. L’intervento dell’Afrikakorps agli ordini del generale Erwin Rommel, inviato nel marzo 1941, consentì allora alle potenze dell’Asse – come ormai erano definiti i paesi firmatari dell’asse Roma-Berlino – di avviare una nuova offensiva che culminò nel lungo assedio di Tobruk, porto dell’attuale Libia orientale [ 8].

Anche in Africa orientale le truppe italiane comandate dal duca Amedeo d’Aosta si confrontarono con le meglio attrezzate forze britanniche, che muovevano dalle colonie del Sudan e del Kenya e che beneficiavano anche dell’appoggio della resistenza locale antitaliana, poiché il Regno Unito favoriva la restaurazione del potere dell’imperatore etiope Hailé Selassié. L’offensiva britannica della primavera del 1941 in Somalia e in Eritrea costrinse i contingenti italiani alla ritirata e si concluse con la sconfitta italiana ad Amba Alagi.

La guerra nei Balcani

Il 28 ottobre del 1940 era intanto iniziato l’attacco italiano alla Grecia. Nonostante la consistenza dell’esercito italiano (circa mezzo milione di soldati), la resistenza delle forze greche fu indomita, tanto che nella primavera del 1941 la Germania decise di intervenire anche nei Balcani, proprio con l’intento di aiutare nuovamente l’alleato italiano.

La penetrazione tedesca nella penisola balcanica cominciò il 6 aprile 1941 con l’invasione e la rapida occupazione della Iugoslavia. Quindi, con un’operazione rapida ed efficace, i tedeschi si impadronirono di Atene e dell’intera Grecia, invadendo la penisola ellenica dalla Bulgaria mentre la maggior parte delle truppe greche era impegnata da quelle italiane al confine con l’Albania.

 >> pagina 331 

In Iugoslavia e in Grecia i tedeschi e gli italiani misero in atto politiche di repressione caotiche ma spietate, fondando il proprio dominio sul terrore e sulla fame [ 9]. Sull’isola di Rab (in italiano Arbe) fu anche aperto il principale campo di concentramento italiano in zona d’occupazione, dove furono detenuti soprattutto sloveni, croati ed ebrei. Poco dopo l’invasione tedesca dell’aprile 1941, era stato inoltre proclamato lo Stato indipendente croato, che – sotto l’occupazione in parte fascista, in parte nazista – includeva, oltre la Croazia, la Bosnia-Erzegovina e arrivava fino alle porte di Belgrado. A capo del governo fu posto Ante Pavelić, leader del movimento fascista croato degli Ustascia [▶ cap. 8.4], le cui squadre della morte compirono rappresaglie e massacri – uccidendo oltre 400 000 persone entro la fine del 1943 – tali da suscitare la preoccupazione delle stesse autorità naziste. Nel campo di Jasenovac (oggi al confine fra Croazia e Bosnia) furono imprigionati ebrei, serbi e zingari, che morirono a decine di migliaia (la stima oscilla fra le 80 000 e le 100 000 vittime).

La parte restante dell’ex Regno iugoslavo fu spartito fra la Germania, con l’occupazione militare diretta dei territori serbi e sloveni, l’Italia, con l’annessione della provincia di Lubiana, del governatorato della Dalmazia e del protettorato del Montenegro, l’Ungheria e la Bulgaria, con l’occupazione di zone di confine. Con la dissoluzione del Regno iugoslavo si scatenò anche una guerra civile in Bosnia-Erzegovina, dove i serbi monarchici, i cosiddetti cetnici, combattevano per il ripristino del Regno iugoslavo, ma erano opposti al movimento comunista, guidato da Josip Broz, detto Tito, che costituì fin dal 1941 il nucleo della resistenza antifascista e antinazista nei Balcani.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi