9.2 La guerra sul fronte occidentale

9.2 La guerra sul fronte occidentale

Dalla “strana guerra” a Dunkerque

Mentre in Polonia e in Finlandia divampava il conflitto, a occidente il fronte fu quieto fino alla primavera del 1940, nonostante Francia e Regno Unito avessero dichiarato guerra alla Germania e possedessero eserciti superiori a quest’ultima. Si trattò del periodo della cosiddetta “strana guerra” (drôle de guerre), durante la quale la Francia si illuse di essere sicura dietro la linea Maginot, un sistema di fortificazioni difensive costruito nel corso del decennio precedente lungo il confine tra Germania e Francia. La dottrina dell’esercito francese era ferma al 1914 e alla guerra di trincea, nonostante un giovane colonnello, Charles De Gaulle, avesse scritto un opuscolo sulla crescente importanza delle forze corazzate nelle moderne guerre di movimento e sulla necessità di rinnovare mezzi e arsenale.

La Germania nazista, invece, aveva radicalmente riorganizzato e ammodernato il proprio esercito, dotandolo di numerosissimi contingenti aerei e mezzi corazzati, adatti alla guerra di movimento: le Panzerdivisionen (divisioni corazzate) comprendevano carri armati e mezzi blindati di supporto per rapide incursioni al suolo, mentre dal cielo gli aerei della Luftwaffe, l’aviazione, colpivano in modo coordinato bombardando gli obiettivi. Questa nuova tattica aggressiva venne chiamata Blitzkrieg (“guerra lampo”), poiché fondava la sua efficacia sulla velocità di esecuzione e di conquista dei territori.

Sfruttando questa tattica, nell’aprile del 1940 l’esercito tedesco occupò la Danimarca e invase la Norvegia, così da garantirsi l’accesso alle risorse minerarie scandinave e impedire un attacco britannico da nord. La Svezia riuscì invece a conservare la propria neutralità in cambio di materie prime preziose per i tedeschi, come il ferro, indispensabile per alimentare l’industria bellica.

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Con la stessa tattica della guerra lampo, il successivo 10 maggio Hitler iniziò l’attacco alla Francia. Senza alcuna formale dichiarazione di guerra l’esercito tedesco invase Olanda, Belgio e Lussemburgo, violandone la neutralità. La volontà olandese di combattere fu spezzata dall’attacco contro la città portuale di Rotterdam, rasa al suolo in una sola notte, mentre le truppe anglo-francesi, impegnate sulla linea di confine più settentrionale, in corrispondenza del Belgio, e a difesa della linea Maginot, non furono in grado di fronteggiare l’avanzata tedesca a sud, all’altezza del Lussemburgo. Il contingente britannico e parte dell’esercito francese si trovarono allora accerchiati e solo con una difficile e rocambolesca operazione di reimbarco sulle spiagge di Dunkerque, l’ultimo porto ancora non conquistato dai tedeschi, poterono essere messi in salvo circa 340 000 uomini (120 000 dei quali francesi), abbandonando però al nemico gran parte dell’armamento pesante e la quasi totalità della dotazione dell’esercito inglese [ 3]. La riuscita dell’operazione fu favorita anche da un ordine di Hitler, che decise di non annientare il contingente britannico per tenere aperta la possibilità di qualche accordo con il Regno Unito.

La Francia di Vichy

Dopo una campagna di sole cinque settimane, il 14 giugno la Wehrmacht fece il suo ingresso a Parigi 
[ 4]. Di fronte alla disfatta militare venne nominato capo del governo francese il maresciallo Philippe Pétain, eroe della Grande guerra, esponente della destra e favorevole alla resa, che venne firmata a Compiègne il 22 giugno. Mentre la Germania instaurava un controllo militare diretto sulla Francia centrosettentrionale, comprese Parigi e le coste atlantiche, le regioni centromeridionali restarono sotto la sovranità di un governo francese collaborazionista [▶ fenomeni, p. 326] con sede a Vichy e presieduto dallo stesso Pétain.

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Si trattava di fatto di un regime autoritario asservito ai nazisti, che contribuì, fra le altre cose, al rastrellamento degli ebrei (come il 16 e il 17 luglio 1942, quando a Parigi furono arrestati e raccolti al Velodrome d’Hiver e al campo d’internamento di Drancy oltre 13 000 appartenenti alla comunità di Parigi, fra cui più di 4000 bambini, prima di essere deportati nei campi di concentramento). L’atteggiamento della classe dirigente e della società francese di fronte all’invasione tedesca rispecchiava le divisioni degli anni Trenta, fra oppositori e ammiratori della Germania nazista, fautori e denigratori del Fronte popolare. Il regime di Vichy rappresentava così, per la Francia più reazionaria, la possibilità di realizzare le aspirazioni a lungo coltivate dalle correnti antiliberali e antiparlamentari ostili alla Terza Repubblica [▶ cap. 8.5]. A opporsi vi era invece chi chiamava alla resistenza contro i tedeschi e contro i collaborazionisti, come Charles De Gaulle, nel frattempo nominato generale di divisione. Questi, dopo essersi rifugiato a Londra, in un famoso discorso radiofonico trasmesso il 18 giugno poneva le basi per l’organizzazione della futura Resistenza francese chiamando a raccolta tutti coloro che credevano in una «certa idea di Francia».

  fenomeni

Collaborazionismo

Dalla Francia all’Unione Sovietica, dall’Italia e dalla Iugoslavia fino alla Norvegia, europei di ogni regione cooperarono in vario modo con gli occupanti nazisti tedeschi e le loro politiche tra il 1940 e il 1945: questo atteggiamento fu definito “collaborazionismo” (dal francese, collaboration). È possibile distinguere tra il collaborazionismo istituzionale, quello ideologico e quello dettato da mere ragioni di sopravvivenza personale, di interesse economico o di opportunismo professionale.

Gruppi politici e singoli individui (tra i quali alcuni intellettuali come gli scrittori Ezra Pound e Ferdinand Céline), che aderirono a varie declinazioni dell’ideologia fascista, non vivevano la collaborazione con le forze occupanti tedesche, non come un tradimento, ma piuttosto dalle rispettive istituzioni come l’affermazione della propria nazione all’interno di quel “Nuovo ordine europeo” che i nazisti puntavano a costruire. Alcune amministrazioni pubbliche e diverse forze politiche sostennero sia lo sforzo militare ed economico nazista sia l’organizzazione del lavoro forzato; altre collaborarono direttamente alla repressione della resistenza e alla realizzazione delle politiche di deportazione, persecuzione e sterminio delle comunità ebraiche. Lo Stato francese del maresciallo Philippe Pétain, il regime norvegese di Vidkun Quisling e lo Stato indipendente croato di Ante Pavelić rappresentarono gli esempi tipici in questo senso. In molti casi, infine, la collaborazione per individui comuni o piccoli amministratori era lo sbocco dei quotidiani compromessi per la sopravvivenza in un contesto quanto mai tragico.

Hitler contro il Regno Unito

Conquistato in meno di un anno un enorme territorio, Hitler decise di attuare il piano di invasione del Regno Unito. Un tempo ammirata per la sua potenza imperiale e immaginata come un alleato ideale, essa era diventata la sola forza che resistesse al suo potere in Europa. Dal maggio 1940, infatti, era divenuto primo ministro Winston Churchill, strenuo oppositore di ogni cedimento alla Germania: indisponibile agli accordi proposti da Hitler al Regno Unito, Churchill era convinto che il nazismo dovesse essere combattuto con ogni mezzo.

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Considerata la superiorità britannica sui mari, le forze tedesche dirette da Hermann Göring cercarono di assumere il controllo dello spazio aereo nell’ambito dell’“operazione Leone marino” (nota soprattutto come “battaglia d’Inghilterra”), prima di procedere con l’invasione terrestre. Fra il settembre e il novembre 1940, una campagna di intensi bombardamenti aerei su Londra e su altre città e porti inglesi provocò gravi perdite anche fra la popolazione civile. Tristemente noto è il caso di Coventry, che fu distrutta nella notte fra il 14 e il 15 novembre 1940.

La società britannica riuscì però a dimostrare una notevole capacità di tenuta morale e la volontà di resistere, tanto che già alla metà di settembre, Hitler fu costretto a rimandare lo sbarco [ 5]. La battaglia decisiva fu combattuta il 15 settembre 1940 nei cieli d’Inghilterra fra i caccia Messerschmitt della Luftwaffe e gli Hurricane e gli Spitfire della Royal Air Force britannica e grazie alla superiorità delle comunicazioni radar, questi ultimi ebbero la meglio. «Mai tanti dovettero così tanto a così pochi», commentò Winston Churchill riferendosi ai piloti dell’aviazione, fra i quali vi erano molti profughi francesi, polacchi e norvegesi, in fuga dai loro paesi occupati.

Un bilancio del primo anno e mezzo di guerra

Anche se le politiche di occupazione nazista in Europa occidentale furono di gran lunga meno brutali di quelle attuate a est, all’inizio del 1941 il futuro dell’Europa sembrava davvero marciare verso il “Nuovo ordine” immaginato da Hitler, vale a dire verso uno stretto dominio tedesco su tutta l’Europa continentale [ 6]. Intorno a questo progetto si coagularono il favore e la partecipazione di molti europei, mentre solo un esiguo numero di oppositori corse il rischio di combattere attivamente il nazismo.

In questo contesto, tuttavia, la battaglia d’Inghilterra rappresentò un primo, timido segnale di una futura svolta. La vittoria di Londra fu infatti decisiva perché da quel momento la capitale britannica costituì il polo intorno al quale si riorganizzò la controffensiva aerea contro la Germania e al tempo stesso gettò le premesse di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto. Dal marzo 1941, infatti, la legge “affitti e prestiti” (Lend-lease Act) firmata dal presidente statunitense Franklin D. Roosevelt, avviò il programma di sostegno alle nazioni in guerra contro la Germania attraverso prestiti e forniture di mezzi e materiali utili alla loro difesa. Questo provvedimento riconsolidò lo stretto rapporto politico ed economico fra Stati Uniti e Regno Unito. Proprio come durante la Grande guerra, a questo impegno statunitense i tedeschi risposero con un’implacabile offensiva sui mari attraverso l’impiego dei sottomarini U-Boot, che affondavano le navi cariche di rifornimenti che giungevano dai porti nordamericani verso l’isola britannica.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
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