7.5 Colpi di Stato e dittature in America Latina

7.5 Colpi di Stato e dittature in America Latina

Una lenta e contraddittoria modernizzazione
Tra gli anni Settanta dell’Ottocento e lo scoppio della Grande guerra si era affermata in America Latina la cosiddetta “età liberale”, durante la quale, in diversi paesi, le oligarchie di orientamento politico liberale avevano cercato di imporre lo Stato di diritto e il rispetto della legge, di consentire una limitata partecipazione alla vita politica nazionale e di avviare forme intense di industrializzazione. Infatti, anche se in alcuni Stati (come Argentina, Cile e Uruguay) gli abitanti delle città avevano già raggiunto il 30% del totale, la maggior parte della popolazione latinoamericana continuava a vivere nelle campagne, dove l’analfabetismo era largamente diffuso.
La Grande guerra lasciò tracce profonde nel panorama politico ed economico dell’America Latina, sebbene nessuno Stato vi avesse preso parte direttamente. La sostanziale chiusura dei mercati europei durante il periodo bellico aveva rallentato le esportazioni dei paesi sudamericani, aumentando nel contempo la dipendenza di molti di loro dagli Stati Uniti. Per gli Stati dotati di maggiori capitali pubblici, questa situazione di parziale isolamento rappresentava una potente spinta agli investimenti interni, finalizzati soprattutto a promuovere un’industrializzazione locale. Ma la modernizzazione economica portava con sé nuove istanze popolari, con uno strascico di conflitti sociali e politici, cui negli anni Venti furono date parziali risposte soltanto in Cile, Uruguay e Argentina, con i primi abbozzi di legislazione sociale.
Se fino allo scoppio della Grande guerra le azioni del movimento operaio erano state sporadiche e di bassa intensità, fra il 1919 e il 1920 la caduta dei salari e la suggestione dagli avvenimenti rivoluzionari russi stimolarono grandi ondate di scioperi e agitazioni. In Argentina, a Buenos Aires, nel gennaio del 1919 si verificarono gravi scontri fra polizia e lavoratori, durante quella che fu poi chiamata “Settimana tragica” (Semana tragica) [ 14]. I disordini iniziarono con un sanguinoso scontro fra la polizia e i metalmeccanici di Vasena, un quartiere periferico della capitale, in seguito ai quali comunisti e anarchici proclamarono lo sciopero generale, che si estese a tutto il paese e degenerò in conflitti violenti con le forze dell’ordine. La dichiarazione della ▶ legge marziale e il conseguente intervento dell’esercito stroncarono infine la rivolta, provocando la morte di oltre 700 insorti.

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Nel 1924, in Perù, nacque l’Apra (Alianza popular revolucionaria americana), con l’intenzione di dar vita a un originale movimento antimperialista, finalizzato a lottare per l’unità politica dell’America Latina e per la sua indipendenza economica, attraverso politiche di nazionalizzazione delle industrie. La formazione non riuscì però a creare una solidarietà internazionale fra le diverse sinistre sudamericane, trovando anzi una ferma opposizione ai suoi progetti da parte delle forze comuniste. Dal 1928, infatti, il Comintern rivide drasticamente la tattica (già sperimentata in Cina) di un’alleanza di operai e contadini con la borghesia nazionalista, optando invece per la linea della “classe contro classe”, una prospettiva di chiusura settaria e di rifiuto di alleanze con i ceti borghesi.

  idee

Populismo

Un termine, molte accezioni

Nel vocabolario storico, il termine “populismo” designa fenomeni fra loro molto diversi.

Nell’Impero russo degli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento il populismo fu un movimento politico e culturale rivoluzionario alternativo al marxismo e sostenitore di un socialismo agrario.

Negli Stati Uniti degli anni Novanta dell’Ottocento, il populismo designò il programma del Partito del popolo (People’s Party), critico verso il capitalismo bancario e finanziario, a tratti ostile all’immigrazione in difesa dei lavoratori nazionali. Pur senza assumere toni antiliberali, esso mirava a dare voce alla protesta e alla rivolta contro le élite economiche, politiche e intellettuali e a combattere la crescita delle diseguaglianze sociali.

A partire dagli anni Trenta e Quaranta del Novecento in America del Sud si affermò una diversa forma di populismo che in parte si ispirò all’esempio dei fascismi europei e che si tradusse in una serie di regimi autoritari. A differenza di quello statunitense, la sua cifra essenziale era l’antipluralismo, ossia il rifiuto degli istituti della democrazia rappresentativa e parlamentare. Al tempo stesso, i governi populisti latinoamericani cercavano il consenso delle masse per accreditare la volontà del dittatore quale volontà del “popolo”. Per ottenerlo, ricorsero a politiche statali volte a ridistribuire risorse ai ceti che li sostenevano, a stimolare lo sviluppo industriale e a inquadrare nell’ambito del sistema politico ed economico vigente gli interessi dei produttori e dei lavoratori.

La crisi delle oligarchie liberali
Le agitazioni di massa del dopoguerra ebbero l’effetto, soprattutto in Brasile e in Argentina, di suscitare un veemente anticomunismo all’interno dei gruppi finanziari e fra i proprietari terrieri, sostenuti in genere dai vertici militari ed ecclesiastici, che vedevano in ogni istanza di rinnovamento una minaccia “bolscevica”.

I tentativi di modernizzazione operati dai regimi oligarchici dell’età liberale sembravano ormai del tutto superati, anche a causa delle contraddizioni che essi avevano dimostrato di non riuscire a risolvere. Nella maggior parte dei casi, come in Argentina nel 1912 e in Uruguay nel 1927, l’ampliamento del suffragio elettorale non aveva incluso gli analfabeti, cioè la grande maggioranza della popolazione: di conseguenza, la crescente domanda di partecipazione popolare era rimasta inascoltata, finendo per minare la stessa stabilità e legittimità di tali regimi.

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I sistemi politico-istituzionali dell’Europa occidentale, adottati come modello dalle classi dirigenti liberali, smisero di ispirare i processi di modernizzazione. Prevalevano ora le istanze del blocco sociale conservatore e reazionario, che rivendicavano l’esigenza di perseguire strade autonome, sostenute ideologicamente da un nazionalismo in ascesa e dalle correnti più oscurantiste del cattolicesimo [▶ fenomeni].

In questo contesto, le forze armate si presentarono sempre più come le uniche garanti dell’ordine e delle gerarchie vigenti e spesso furono considerate la soluzione alla conflittualità e all’instabilità che erano state innescate dal pur timido avvio dei processi di modernizzazione e democratizzazione. Il loro intervento era spesso motivato dall’incompetenza e dalla corruzione delle élite politiche, che divenivano sempre più impopolari. Fu così che, attraverso l’azione diretta dei militari, si affermarono nel continente modelli di istituzioni illiberali e antiparlamentari, per esempio con i colpi di Stato in Argentina, Perù e Brasile, nel 1930, e in Uruguay, nel 1933 [ 15].

In Argentina, in particolare, il colpo di Stato militare interruppe l’esperienza democratica che si era dispiegata dal 1912, non senza conflitti e contraddizioni, come quelli ricordati a proposito della “Settimana tragica”. Dal golpe nacque un regime antide­mocratico, militarista e clericale, da cui si sarebbe sviluppata l’esperienza del peronismo, fra gli anni Quaranta e Cinquanta.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi