7.2 La Grande crisi del 1929

7.2 La Grande crisi del 1929

Gli squilibri economici e il crollo di Wall Street
La fine della fase espansiva giunse improvvisa, nonostante già dal 1925 una diminuzione significativa della domanda avesse colpito i settori fino ad allora più produttivi, come quello automobilistico, e avesse innescato la depressione dei mercati agricoli e la crisi edilizia. Lo straordinario sviluppo industriale della prima metà degli anni Venti aveva determinato un eccesso di produzione, che faticava a trovare uno sbocco tanto sul mercato interno quanto su quello internazionale. I prodotti industriali e agricoli cominciarono ad accumularsi invenduti nei magazzini. Al fine di rispondere alla crisi di sovrapproduzione, i consumatori furono incoraggiati a indebitarsi con rate, mutui e prestiti.
L’espansione economica degli anni Venti era stata inoltre sostenuta dalla crescita vertiginosa della Borsa di New York (Wall Street): tantissime persone, non solo fra gli operatori economici ma anche fra i piccoli risparmiatori, investivano in Borsa comprando azioni in vista di guadagni facili e veloci, in anni in cui il loro valore saliva senza sosta [▶ fenomeni]. In assenza completa di controllo statale, si determinò insomma una bolla speculativa, una dinamica, cioè, nella quale la quotazione delle azioni era ormai sganciata dal loro effettivo valore. Quando il prezzo delle azioni cominciò a scendere gli investitori si precipitarono a vendere, per incassare il valore corrente prima che scendesse ulteriormente. La corsa alle vendite alimentò rapidamente il panico, fino al 24 ottobre 1929, il “giovedì nero” [ 6] in cui Wall Street raggiunse il picco delle perdite, polverizzando i risparmi, moltiplicando i debiti che si erano accumulati negli anni precedenti e abbattendo la domanda interna di beni di consumo.
Ad amplificare la crisi sopraggiunsero i fattori internazionali. Il piano Young del 1928 mirava a risolvere la questione delle riparazioni tedesche consentendo alla Germania di Weimar di accedere a finanziamenti per alimentare la propria ripresa economica e pagare i debiti di guerra alla Francia e al Regno Unito, che in questo modo avrebbero a loro volta potuto estinguere i propri debiti con gli Stati Uniti, comprando i loro prodotti (lo vedremo nel prossimo capitolo). Il rallentamento dell’economia tedesca inceppò tuttavia il meccanismo, diminuendo drasticamente la domanda di beni americani da parte del mercato internazionale ed esasperando la crisi di sovrapproduzione.

 >> pagina 259 

  fenomeni

Come funziona la Borsa

Finanziare le imprese: i titoli di debito

La Borsa finanziaria costituisce il mercato regolamentato in cui si svolge la compravendita di azioni e di altri strumenti finanziari, come le obbligazioni, che sono le quote di debito emesse da un’azienda o da uno Stato per ottenere denaro in prestito, garantendo in cambio un interesse periodico e il rimborso integrale alla scadenza del titolo. Da una parte, insomma, abbiamo dei soggetti economici che hanno bisogno di finanziare la propria attività (le imprese o gli Stati), dall’altra dei detentori di risparmi (i cittadini privati): la Borsa li mette in comunicazione, orientando il risparmio verso gli investimenti che si reputano più convenienti.

Le quotazioni

I prezzi delle azioni sono determinati dalle previsioni degli operatori di mercato sul rendimento degli investimenti promossi dalle aziende che le emettono e variano secondo le leggi della domanda e dell’offerta: maggiore è la richiesta di azioni di una certa impresa, tanto più il loro valore salirà.

Poiché le quotazioni delle società in Borsa mutano di continuo, gli investitori possono realizzare guadagni significativi vendendo le proprie azioni in caso di rialzo consistente del loro valore; ma possono anche subire perdite se non liquidano (vendono) i propri titoli in fase di ribasso. I rialzi e i ribassi si autoalimentano proprio in conseguenza della legge della domanda e dell’offerta: se le quotazioni subiscono un calo significativo, per esempio, i loro possessori saranno spinti a vendere i propri titoli, accelerando il ribasso. Se questo movimento diventa generalizzato, magari perché alimentato dal panico di veder svanire il valore dei propri titoli, si possono determinare perdite catastrofiche, come avvenne nella Borsa di New York il 24 ottobre 1929.

Il potere delle informazioni e le condotte illecite

La disponibilità di informazioni certe rispetto alle condizioni di un’impresa garantisce gli investitori circa la previsione dei rendimenti finanziari. Ma se le aspettative non corrispondono alla realtà di una società, perché le informazioni diffuse dalla società stessa, dagli operatori di settore o dagli organi di controllo sono incomplete o addirittura false, allora si parla di manipolazione, cioè appunto di profitti ottenuti grazie a un’asimmetria nel possesso di informazioni fondamentali. In particolare, vi sono due reati specifici che si verificano più frequentemente. L’aggiotaggio è un reato commesso da chiunque divulghi notizie false, esagerate o tendenziose al fine di alterare i prezzi di merci o di strumenti finanziari o di minare la stabilità patrimoniale di banche o di gruppi finanziari. A esso è spesso associato un altro reato, definito dal termine inglese insider trading e dipendente dall’abuso di informazioni privilegiate. Chi è in possesso di queste informazioni può trarre un guadagno illecito nella compravendita di titoli (azioni, obbligazioni, derivati) di una determinata società sulla base di notizie riservate non di pubblico dominio.

Le cosiddette bolle speculative a cui possono concorrere queste condotte illecite rappresentano da questo punto di vista una distorsione tanto diffusa quanto grave del corretto funzionamento del mercato borsistico: provocando eccessivi rialzi di titoli e azioni sulla base di aspettative infondate e irrealistiche, sono state e sono tuttora all’origine di molti gravi crack finanziari.

 >> pagina 260 
La Grande crisi
Mentre un’ondata di pessimismo, a tratti apocalittico, si diffondeva nel paese, il crollo del mercato azionario non tardò a far sentire il suo impatto sull’▶ economia reale. A causa delle difficoltà finanziarie delle famiglie americane coinvolte nel crollo della Borsa, gli acquisti di beni industriali precipitarono. Il crollo della domanda, a sua volta, mandò in crisi le aziende, avviando una spirale di chiusura di fabbriche, licenziamenti e riduzione dei salari: 40 milioni di americani (su una popolazione di 120 milioni) si trovarono improvvisamente privi dei mezzi di sussistenza, e ciò restrinse ancor di più il mercato e aggravò la crisi in atto. Anche nel settore agricolo l’eccedenza di prodotti e la conseguente caduta dei prezzi ridussero drasticamente i redditi degli agricoltori [ 7]. Il crollo della Borsa aveva insomma innescato un processo che si autoalimentava. La crisi del sistema bancario e finanziario e l’indebitamento diffuso originavano fallimenti di banche, aziende e società e dunque licenziamenti; la disoccupazione, a sua volta, aggravava la contrazione dei consumi e quindi la domanda di beni e servizi, causando ulteriore calo della produzione, nuovi licenziamenti e chiusure di società.

 >> pagina 261 

Il presidente Herbert Hoover, eletto proprio nel 1929, non fu in grado, almeno nella prima fase del suo mandato, di mettere in atto misure legislative capaci di arginare la crisi. Egli continuò a riproporre i cardini della politica economica repubblicana, fondata sull’obiettivo del pareggio di bilancio, cioè dell’equilibrio tra entrate e uscite. Una politica di questo genere implicava il contenimento delle spese (a maggiori spese avrebbero dovuto infatti corrispondere maggiori entrate fiscali, ma i repubblicani non intendevano aumentare le tasse) ed escludeva che il governo federale potesse intervenire nell’economia con finanziamenti, sovvenzioni e campagne di lavori pubblici (che avrebbero potuto creare occupazione). Gli interventi di controllo e regolamentazione statale dell’economia erano del resto da sempre esclusi dalla dottrina politico-economica repubblicana.

Di conseguenza, il prodotto nazionale lordo diminuì di circa il 30% in due anni, la produzione industriale si dimezzò e la disoccupazione raggiunse il 25% della forza lavoro. Solo dopo qualche tempo Hoover cominciò ad approntare nuovi strumenti per far fronte all’emergenza, approvando un notevole incremento delle tasse, finanziando politiche di lavori pubblici e di assistenza sociale e sostenendo le imprese tramite un istituto federale (la Reconstruction Finance Corporation). Tali misure non furono sufficienti, ma vennero comunque confermate e rafforzate dal presidente che gli succedette, Franklin Delano Roosevelt.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi