Niall Ferguson - Il piacere della guerra

testo 2
Niall Ferguson

Il piacere della guerra

La Grande guerra è durata a lungo, molto più a lungo di quanto tutti si aspettassero nell’estate del 1914, perché i soldati furono convinti a combattere. La propaganda, avvalendosi anche del contributo di scrittori e intellettuali, riuscì a mobilitare enormi eserciti e a motivarli fino all’estremo sacrificio per oltre quattro anni.

Contrariamente a quanto sostiene la teoria del logoramento, per vincere non basta semplicemente uccidere il nemico; è altrettanto importante indurlo a disertare, ammutinarsi e arrendersi. La chiave della vittoria tedesca sulla Russia nel 1917 sta proprio qui, ben più che nel numero dei russi morti. Lo stesso vale per la sconfitta della Germania e dell’Austria-Ungheria nel 1918. […]

Eccoci quindi al cuore del problema: che cosa fece sì che gli uomini continuassero a combattere? E che cosa, a parte la morte o le ferite, li indusse a fermarsi? Come possiamo spiegare il fatto che, quando le possibilità di una rapida vittoria diventarono di gran lunga inferiori a quelle di essere uccisi, milioni di uomini furono disposti a continuare a combattere?

Agli occhi del lettore moderno, i combattimenti della Prima guerra mondiale non sono che orrore e miseria; come si espresse Ford Madox Ford1: «Milioni di uomini, gli uni lanciati contro gli altri, spinti da un’invisibile forza morale in un inferno di paura senza paralleli in questo mondo». Non era certo un picnic. Il massacro dei soldati francesi nelle fasi iniziali del conflitto ebbe proporzioni mai più toccate nel corso della guerra: 329 000 morti nel giro di appena due mesi e mezzo e addirittura 500 000 alla fine dell’anno. Il numero massimo di uomini perduti dai tedeschi in un periodo di due mesi fu di 68 397 nel marzo-aprile del 1918. I due mesi peggiori per la BEF2 in Francia furono luglio e agosto del 1916, quando «solo» 45 063 uomini e ufficiali rimasero uccisi. A giudicare dalle parole con cui un ufficiale francese descrisse l’esperienza del combattimento nel 1914, gli uomini venivano mandati a morire in modo del tutto insensato: «Per tutto il giorno giacciono lì, a farsi decimare, morendo accanto ai cadaveri dei soldati già uccisi». Le mitragliatrici – e fucili capaci di sparare diciotto colpi al minuto – falciavano senza pietà i poilus3 mentre cercavano di mettere in pratica il folle Piano XVII.

Quasi due anni dopo i britannici non avevano ancora imparato la lezione che l’avanzata in linea era una specie di suicidio di massa. Anche dopo che erano state scavate le trincee, gli uomini rimanevano vulnerabili (persino quado non andavano «in cima»4) ai colpi dei mitraglieri e dei cecchini, che nel 1916 erano appostati circa ogni venti metri lungo la linea britannica5. Quando a Passchendaele6 condusse all’attacco la sua compagnia D, Edwin Campion Vaughan perse settantacinque dei novanta uomini che la componevano.

Il buon vecchio Pepper se n’è andato – colpito alla schiena dalla scheggia di un proiettile; sepolto due volte mentre giaceva morente in una buca, il suo corpo squarciato e perduto dopo che Willis lo aveva riportato alla Fattoria Venheule. Ewing è stato colpito da una pallottola di mitragliatrice ...

Clark è stato visto cadere crivellato di colpi; poi anche lui è stato preso da una granata. […]


C’è un’altra possibilità che non ha ricevuto sufficiente attenzione dalla storiografia della Prima guerra mondiale, per il semplice motivo che non è molto gradevole. Si tratta della tesi secondo la quale gli uomini continuarono a combattere perché lo volevano. […]

In definitiva, questa potrebbe essere la spiegazione migliore per il prolungarsi del conflitto: «Oh, che bella guerra!», letteralmente. Julian Greniell, l’archetipo del giovane cavalleresco dell’alta borghesia, è stato spesso considerato una persona fuori del comune perché pensava che la guerra fosse un vero spasso.

Noi quattro stavamo parlando e ridacchiando per la strada quando una dozzina di pallottole ci sfiorò con un sibilo. Ci lanciammo tutti verso la porta più vicina, che casualmente si apriva su una latrina, e cademmo l’uno sopra l’altro, sbellicandoci dalle risa ... Io adoro la guerra. È come un grande picnic senza l’inutilità di un picnic. Non sono mai stato così bene o così felice.

Ma era un sentimento piuttosto diffuso. Alla vigilia della sua morte a Loos7, Alexander Gillespie disse a suo padre: «Sarà una grande battaglia, e quando penso a te non vorrei mancarla». Quando il capitano W.P. Nevill, dell’8° East Surreys, guidò la sua compagnia oltre il bordo della trincea all’inizio dell’offensiva della Somme, ebbe appena il tempo di calciare una pallottola verso le linee tedesche prima di essere colpito a morte: sport e guerra erano congiunti fatalmente nella sua mente. Altri consideravano la guerra un’estensione della caccia (come ovviamente ci si aspettava facessero gli ufficiali di cavalleria): Sassoon8 in modo particolarmente evidente, ma è un’analogia che si ritrova ovunque. Le ultime parole di Francis Grenfell al suo ufficiale comandante nella seconda battaglia di Ypres furono: «l cani corrono come si deve!». Un cecchino scozzese ritenne di avere fatto «sette centri sicuri» e altri quattro probabili in un solo giorno «di buona caccia». I tedeschi non erano da meno: nel marzo del 1918 Jünger9 descrive gli Highlanders10 in fuga, poi massacrati dai suoi uomini, come «prede braccate». La pura e semplice compulsione della guerra intesa come sport è perfettamente colta nei versi della poesia The Assault di Robert Nichols:

«Guardi, signore! Attento!»

Ah, Ah! Figure raggruppate in attesa.

Tira immediatamente fuori il revolver!

Spara! Spara!

Rosso come il sangue.

Tedeschi. Tedeschi.

Bene! O bene!

Calma follia.

La guerra, come ricordava un soldato canadese, fu «la più grande avventura della mia vita, i cui ricordi rimarranno con me per il resto dei miei giorni, e non avrei voluto perderla per niente al mondo»; per un portaferiti inglese «tutto ciò che accadde dopo [la guerra] fu una delusione». Per Guy Chapman la guerra era «un’amante»: «Quando sei stato tra le sue braccia, non vuoi più nessun’altra». In seguito ammise che gli mancava «la sensazione fuggevole, impagabile, di vivere con ogni nervo e cellula del proprio corpo e con ogni impalpabile impulso della propria mente». Il prete francese Pierre Teilhard de Chardin riecheggiava queste parole quando descrisse l’esaltazione provata facendo il portaferiti: «Senti emergere dentro di te un flusso soggiacente di chiarezza, energia e libertà che è difficile provare nella vita ordinaria».

Nessuno può essersi goduto la guerra come Ernst Jünger. Per lui la battaglia era «un oppiaceo il cui effetto immediato è stimolare i nervi, anche se l’effetto successivo è quello di obnubilarli». Un assalto praticamente disastroso era «un intermezzo breve e divertente», e «un ottimo tonico per i nervi». La guerra, come avrebbe poi dichiarato, era stata «un’educazione incomparabile del cuore». Ma Jünger non era il solo: egli stesso aveva colto il medesimo atteggiamento fra i suoi uomini:

Ma, spesso, accade che tutto proceda allegramente. Alcuni sfogano il loro istinto di cacciatori ... Pensano costantemente al modo migliore di lanciare bombe con una specie di catapulta di loro invenzione ... oppure strisciano in avanti fino alla posizione nemica, attaccano al filo spillato inglese un campanello che poi tirano dalla loro trincea con un lungo filo, per mettere in allarme le sentinelle inglesi. Che volete, la guerra li diverte. […]

Molti combattenti giunsero a convincersi quasi del tutto che la guerra non sarebbe mai finita. Jean-Jacques Becker11 ha mostrato come le aspettative dei soldati francesi sulla durata della guerra diventassero sempre più pessimistiche, al punto che, nel1917, la fine non era nemmeno più immaginabile. Nell’agosto del1918 André Kahn era uno dei tanti soldati sicuri che la guerra sarebbe durata ancora un altro anno. Già nel 1916 gli ufficiali colleghi di Sassoon scherzavano sul fatto di prendere il treno dall’Inghilterra al fronte, come normali pendolari che andavano al lavoro. Un anno dopo un ufficiale calcolò che ci sarebbero voluti centottanta anni per raggiungere il Reno se si fosse mantenuto il ritmo di avanzata raggiunto sulla Somme, a Vimy12 e a Messines13. Circolavano battute su come sarebbe stato il fronte nel 1950. Negli anni Trenta Sassoon sognava ancora di doverci tornare. Ivor Gurney morì in ospedale psichiatrico nel 1937, ancora convinto che la guerra non fosse finita.

Ma nel vivo della battaglia il tempo si ritraeva in se stesso: gli uomini che avevano trascorso la sera precedente temendo la morte smettevano di pensare a qualsiasi cosa che non fosse l’immediato futuro non appena cominciava il nuovo attacco. (Come disse Graves: «Non volevo morire, o comunque non prima di avere terminato The Return of the Native».) E questo rendeva l’azione un autentico sollievo; come osservò un soldato francese: «l’attacco ti liberava dalla terribile angoscia dell’attesa, che scompariva non appena iniziava l’azione». Innumerevoli memorie di soldati lo confermano, così come testimoniano l’effetto anestetizzante del combattimento. Come ricordava un soldato dei Royal French Fusiliers a proposito della sua partecipazione nell’attacco al bosco di Mametz14:

Era la vita e non la morte a svanire in lontananza mentre entravo in uno stato in cui non pensavo, non sentivo e non vedevo nulla. Passai in mezzo agli alberi e oltrepassai altre cose; gli uomini mi passavano accanto trasportando altri uomini: alcuni piangevano, altri imprecavano e altri ancora stavano in silenzio. Erano tutti delle ombre, e io non ero più grande di loro. Vivi o morti, eravamo tutti irreali ... Passato e futuro erano equidistanti e irraggiungibili, senza un ponte di desiderio gettato sul baratro che mi separava dal ricordo del mio io da tutto quello che speravo di afferrare.

Questi sentimenti, al contempo entusiastici e morbosi, aiutano a spiegare perché i soldati nelle postazioni più esposte fossero quelli cui più raramente crollava il morale. Perché il morale crollasse, gli uomini avevano bisogno di tempo per valutare le loro probabilità di sopravvivenza. In combattimento non c’era l’opportunità per farlo. Anziché in base a una valutazione razionale delle possibilità di sopravvivenza, gli uomini agivano sulla base dei propri impulsi: di solito combattevano fiduciosi che la fortuna fosse dalla loro parte.


tratto da Il grido dei morti. La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo, Mondadori, Milano 2014

 >> pagina 181 

Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Gli uomini continuarono a combattere perché lo volevano.

b) La «sconfitta della memoria».

c) La «seconda accettazione».

d) La violenza di guerra era stata resa fatto comune.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  L’amnesia della violenza Il piacere della guerra
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

La Grande guerra ha costituito un’occasione di scrittura quotidiana per milioni di soldati scarsamente alfabetizzati. La scrittura dal fronte e dalla trincea diventa quasi uno strumento di sopravvivenza, l’unico legame possibile con la vita reale e con gli affetti familiari. Il saggio di Ferguson riporta alcune missive, mentre il saggio di Audoin-Rouzeau e Becker fa rifermento solo implicito al racconto della violenza della guerra di trincea.


Dividiamo la classe in gruppi con la guida dell’insegnante. Ciascun gruppo sceglie uno dei temi ricorrenti tra quelli affrontati nella narrazione diaristica dal fronte (amicizia, dolore, violenza, amore, fame, prigionia, trincea…).


Sul web sono disponibili importanti archivi di testimonianze. Suggeriamo in particolare quello del gruppo editoriale GEDI con l’Archivio diaristico nazionale.


competenza DIGITALE Dopo aver consultato l’archivio e scelto alcune testimonianze attinenti al tema scelto, ciascun gruppo dovrà preparare una presentazione digitale (utilizzando PowerPoint – Prezi – Thinglink – Sway) che illustri come esso emerga dalle parole che i soldati affidarono ai loro diari.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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Dal 1900 a oggi