PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 Le migrazioni

p. 640

K.J. Bade, Classificare le migrazioni tratto da L’Europa in movimento

– Le migrazioni come parte della condizione umana

– La molteplicità delle forme migratorie

– Percezioni e descrizioni coeve delle migrazioni

P.A. Rosental, Le migrazioni fra radicamento e rottura tratto da Maintien/Rupture: un nouveau couple pour l’analyse des migrations

– L’analisi “micro” delle migrazioni

– Le migrazioni come progetto sempre in progress

– Ragionare sulle migrazioni indipendentemente dalle distanze percorse

2 Storia di genere e storia delle donne

p. 645

J.W. Scott, Il genere: elemento costitutivo dei fenomeni storici tratto da Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica

– Ogni fenomeno si comprende meglio se analizzato nella sua dimensione “sessuata”

– Una storia delle sole donne è parziale quanto quella dei soli uomini

A. Kessler-Harris, Le donne, misconosciute protagoniste della storia tratto da Do We Still Need Women’s History?

– Le donne oggetto di studio importante e ancora trascurato

– I rischi di appiattimento insiti nella prospettiva di genere

percorso 1

Le migrazioni

La storiografia ha ormai superato il paradigma che voleva l’essere umano tendente alla staticità e ne sottovalutava la mobilità nelle epoche precedenti le migrazioni di massa di fine XIX secolo. Allo stesso modo, ha mostrato la molteplicità di ragioni che spingono le persone a spostarsi e i diversi meccanismi attraverso cui lo fanno. Queste acquisizioni hanno consentito di riscrivere la storia delle migrazioni, che oggi ha rivisto le sue periodizzazioni; ha rivalutato il ruolo delle donne; ha integrato la tradizionale prospettiva quantitativa con una qualitativa attenta alla soggettività dei migranti; sottolinea la multicasualità del fenomeno; spiega le mete scelte dei migranti non solo in funzione di considerazioni economiche; guarda i processi migratori nel loro complesso per coglierne le conseguenze sia nei luoghi d’origine che di arrivo; apprezza la non-linearità e la circolarità dei percorsi; ne dimostra il carattere di progetti in continua evoluzione (da cui il termine “migrante” preferito a “e/im-migrato”) e ragiona su come classificare le migrazioni. A questi nuovi approcci hanno contribuito sia Klaus J. Bade sia Paul André Rosental, che però differiscono nella scala dell’analisi e nei criteri di analisi e classificazione delle migrazioni.

TESTO 1
Klaus J. Bade

Classificare le migrazioni

Lo storico tedesco Klaus J. Bade prova a classificare le migrazioni europee distinguendole in base ai motivi dello spostamento, al carattere volontario o forzato, alla durata della permanenza, alla distanza e all’eventuale superamento dei confini di Stato. Nel farlo, egli suggerisce però quanto le migrazioni possano essere legate allo spostamento di confini e quanto le fonti relative a questo fenomeno possano essere condizionate dalle valutazioni soggettive e dalle forme di descrizione coeve, legate a fattori culturali e ambientali specifici, se non alle personali percezioni dei loro autori.

Da quando esiste l’Homo sapiens esiste anche l’Homo migrans, giacché le migrazioni fanno parte della conditio humana come la nascita, la procreazione, la malattia e la morte. Le migrazioni, come processi sociali – a prescindere dagli esodi forzati dei profughi – sono altrettante risposte a condizioni di esistenza e ambientali più o meno complesse di natura economica ed ecologica, sociale e culturale. La storia delle migrazioni perciò è sempre anche una parte della storia generale e può essere compresa solamente sullo sfondo di quest’ultima. Ciò vale anche per quella delle migrazioni europee. Ma le mappe dell’Europa e dei suoi confini sono cambiate nelle varie epoche. E quindi la questione che ne risulta – come intendere e scrivere la storia europea – ha un lungo passato di studi e ricerche, e ha anche un significato attuale di fronte allo scenario del processo di unificazione europeo alla fine del XX secolo.

La storia europea ha posto gli storici delle migrazioni di fronte a una realtà straordinariamente complessa: da una parte, spostamenti non solo di masse umane attraverso le frontiere ma anche di frontiere attraverso masse umane; dall’altra, una molteplicità di forme e modelli non solo del fenomeno migratorio ma anche del comportamento migratorio, con confini e relazioni reciproche estremamente labili e mutevoli, che rendono già ogni mera “classificazione” di processi migratori storici una astrazione estremamente schematica.

Sotto il profilo territoriale possiamo distinguere per esempio tra emigrazioni, immigrazioni e migrazioni interne, malgrado le frequenti sovrapposizioni tra questi fenomeni. A scopo orientativo è utile anche porsi la questione delle occasioni, dei motivi e degli scopi delle migrazioni. In questo senso possiamo circoscrivere per esempio le migrazioni motivate da ragioni socio-professionali, e all’interno di questo campo distinguere, di nuovo, tra migrazioni motivate dalla ricerca di un lavoro e del minimo necessario per vivere (subsistence migration) o di una possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita (betterment migration), e migrazioni a scopo di qualificazione o formazione professionale o all’interno delle filiali di una ditta (career migration). Ma motivate da perdita e distruzione delle condizioni elementari di esistenza economica – e quindi in ultima analisi altrettanto condizionate da ragioni economiche – sono anche quelle migrazioni per motivi di sopravvivenza per le quali il tardo XX secolo ha coniato il concetto collettivo di “espatrio” o fuga dall’ambiente in cui si vive. All’interno delle migrazioni che hanno tali motivazioni si possono a loro volta distinguere gli esodi e le migrazioni forzate per motivi ideologico-religiosi, politici, etnico-nazionalisti o razzisti. Rientrano in questo tipo di migrazioni le espulsioni e i trasferimenti forzati avvenuti nel XX secolo, in cui spesso lo spostamento di masse umane attraverso le frontiere è stato la conseguenza dello spostamento di frontiere attraverso masse umane.

Infine, ci si può porre anche il problema dei modelli di migrazione – di nuovo tenendo conto di sfumature e forme intermedie – e distinguere tra migrazioni locali e circolari, temporanee (per esempio per motivi di lavoro e di formazione professionale) e definitive (per esempio emigrazioni e immigrazioni). I passaggi dalle forme temporanee a quelle definitive erano caratterizzati, di norma, dallo sviluppo di migrazioni a catena. Un fenomeno concomitante, al tempo stesso fattore di stabilizzazione di sistemi migratori circolari e di movimenti emigratori e immigratori, erano le tradizioni migratorie consolidate dallo stesso fenomeno migratorio e il trasferimento di informazioni tra aree di provenienza e aree di destinazione sotto forma di vere e proprie reti migratorie. Esse avevano funzioni di orientamento nelle aree di provenienza e nelle zone di immigrazione, spesso guidavano i migranti fino alla comunità di origine, facilitando così in misura decisiva l’accoglienza e l’integrazione.

Questa molteplicità di forme di movimento, di modelli di comportamento e di motivazioni collettive che si intersecano tra loro – e che naturalmente nella realtà storica è ben più estesa – diventa addirittura sterminata se si include anche il loro mutamento storico e quello delle valutazioni soggettive e delle forme di descrizione coeve, legate a specifici fattori culturali e ambientali. “Emigrazione”, per esempio, fu un concetto-guida centrale nell’Europa del XIX secolo (Francia esclusa), ma non lo era stato ancora nei secoli precedenti. E come vedremo, anche nel XIX secolo per esempio il sogno della povera gente riguardo alla “emigrazione” come viaggio verso la grande felicità nel Nuovo Mondo, aveva poco in comune, malgrado le considerazioni e le informazioni oggettive desunte dalle reti transatlantiche, con la decisione di un imprenditore “globale” di “aprire uno stabilimento” negli Usa come sede di produzione più adatta o come mercato più promettente dei suoi prodotti. Si aggiungano le differenze specifiche di sesso nei comportamenti migratori e quindi nel modo di elaborare i processi migratori a seconda della storia individuale, riguardo alle quali la ricerca è appena ai primi tentativi. Questa molteplicità e fluidità di confini dovute a specifici motivi culturali, ambientali e sessuali, ma anche regionali, fanno sorgere anche, nel loro mutamento epocale, una serie di problemi particolari di periodizzazione.


tratto da L’Europa in movimento. Le migrazioni dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2001

 >> pagina 642 
TESTO 2
Paul André Rosental

Le migrazioni fra radicamento e rottura

Lo storico francese Paul André Rosental analizza la mobilità geografica di un numero limitato di migranti nella Francia dell’Ottocento. Lo fa però attraverso una dicotomia categoriale originale, che vuole superare l’approccio demografico alle migrazioni per provare a spiegare i comportamenti dei migranti attraverso il rapporto fra i luoghi dei loro spostamenti e i loro progetti, costantemente in fieri.

Di solito la demografia analizza la migrazione in quanto tale, cercando di descrivere la direzione, l’intensità e la composizione dei suoi flussi, così come di rintracciare le sue cause e i suoi effetti. È da una prospettiva differente che noi ci proponiamo di portare l’attenzione su di lei, studiandola non in quanto oggetto in sé ma come uno strumento che consente di osservare altri fenomeni che non sono necessariamente di natura demografica.

La dimensione della migrazione che è qui considerata è di ordine biografico. La demografia si preoccupa in primo luogo dell’aspetto fisico dei movimenti migratori. La sua pratica più comune, l’analisi statistica, rinforza naturalmente questa tendenza. Essa riduce i migranti a un insieme predeterminato di variabili e dissocia queste variabili individuali le une dalle altre, dimenticando assai spesso le articolazioni che le uniscono e che, sole, danno loro senso. Al contrario, noi intendiamo esaminare la migrazione in quanto creatrice di un differenziale spaziale per l’individuo, e osservare come la percezione di questo differenziale si ripercuote sul migrante e influisce sui suoi comportamenti.

In altri termini, noi consideriamo la migrazione come una situazione sperimentale, sperando di analizzare attraverso di essa due nozioni, da un lato quella di identità e dall’altro quella di radicamento. Nel primo caso, la migrazione è considerata come un passaggio fra due luoghi che non differiscono solo per la loro posizione fisica ma anche per la loro posizione socio-storica. Nel secondo caso la migrazione è più immediatamente e più fisicamente concepita nella sua dimensione di abbandono di un luogo e di insediamento in un altro. In un caso come nell’altro, tuttavia, si tratta di intravedere la fisionomia che prendono due concetti, di solito studiati attraverso i discorsi e le rappresentazioni, quando uno li approccia attraverso dei comportamenti.

Per quanto riguarda l’identità, noi abbiamo seguito un metodo comparativo. Si è ricostruito il percorso dei migranti (e dei loro discendenti) di origini diverse, domandandosi come i loro legami coi due precedenti luoghi di riferimento possibili (quelli di partenza e di arrivo) evolvano nel corso del tempo. Poi si è cercato in che cosa questa modifica temporale dei loro investimenti spaziali assuma dei profili differenti secondo la loro origine. Si è in particolare studiato la diluizione più o meno rapida dei legami con il luogo di origine riconnettendola a una pregnanza più o meno forte dell’identità che ad essi è associata.

Per lo studio della nozione di radicamento, la prospettiva adottata è stata un po’ differente. Essa non constava più nel prendere la migrazione come modo di passaggio fra due universi identitari, ma come una svolta, un atto fondativo che stravolge il rapporto con lo spazio di tutta una famiglia, e nel valutarne la natura e l’intensità. […]

Tanto per cominciare, considerare le migrazioni come un semplice spostamento fisico fra due poli comporta l’irrigidimento, ossia la differenziazione sempre più netta, di questi due poli. La delimitazione globale e a priori di una zona di partenza e di una zona di destinazione, la messa a confronto dell’una con l’altra, la focalizzazione sui flussi umani che le uniscono, tutto questo porta a caratterizzare queste due zone partendo da ciò che sembra costituire le loro differenze strutturali. L’idea implicita che qui è sottesa è che la corrente umana che si osserva è la risultante quasi elettrica della differenza di potenziale fra due poli1. L’opposizione che è così postulata orienta meccanicamente l’interpretazione dei risultati. All’opposizione geografica iniziale si sostituisce una dimensione sociologica, che consiste nell’associare a ciascuno dei due spazi-polo una categoria più generale (l’urbano in opposizione al rurale, per esempio).

Il secondo asse di deviazione è prescrittivo. Sul piano logico, il fondamento di questo processo è che i due estremi distinti attraverso l’operazione di polarizzazione non siano in un rapporto egualitario. Uno dei due si impone sull’altro, almeno in termini interpretativi, e spesso in termini ideologici. In un primo tempo, l’analisi tende a mettere in evidenza sia la pregnanza dell’ambiente d’origine e la sua conservazione, sia l’influenza dell’ambiente di arrivo. In un secondo tempo, questa scelta può sfociare in una valutazione normativa2, nel corso della quale il meccanismo che è stato appena descritto è o deplorato o apprezzato. […] La diade logica inziale è posta in secondo piano ed è soppiantata da più opposizioni sociologiche. E queste non sono mai neutre, ma rinviano a delle valutazioni normative, generalmente implicite, che variano in funzione delle tradizioni storiografiche e ideologiche. Città/campagne o nazione/etnia può così tradursi in modernità/tradizione, sviluppo dell’individuo/pressione della famiglia o del gruppo, libertà/costrizione, universalismo/particolarismo. O, al contrario, può rinviare a solitudine/solidarietà, egoismo/altruismo, cosmopolitismo/identità ecc.

Il primo caso è quello del migrante “destoricizzato”, termine che noi preferiamo a sradicato perché rende meglio la logica di questo tipo di analisi: il migrante […] è totalmente passivo, è slegato da ogni legame sociale. Visto attraverso la sequenza città/campagne, si ottiene il quadro seguente: il migrante è partito suo malgrado dal suo villaggio, cacciato senza alternative, e spesso brutalmente, da una situazione economica tragica. In città, egli è in una terra sconosciuta e ostile. Se non è solo, le reti del “paese” di cui dispone in loco sono tutt’al più capaci di opporre una resistenza disperata e vana all’influenza dell’ambiente urbano, onnipotente e distruttivo. L’identità e la coscienza individuale finiscono per dissolversi, così come quelle del gruppo. Ne risulta tutta una serie di disfunzioni che suggeriscono sovente di vedere nel migrante un criminale o un rivoluzionario potenzialmente incontrollabile.

La visione opposta […] immagina degli spostamenti gestiti da migranti, che partono da una città in virtù di una scelta meditata e spesso alla ricerca di una promozione sociale. Più importante, e centrale in questo tipo di analisi, è la loro capacità d’inserirsi nelle reti dei compaesani in città. Queste possono essere sia informali (e fondarsi spesso su una parentela più o meno lontana), che formali (associazioni di compaesani, filiere di migranti legati a una specializzazione professionale ecc.). Tutto deriva da questa attitudine a conservare, nel luogo di destinazione, una rete di solidarietà derivante dalla regione d’origine: una traiettoria sociale favorevole, il mantenimento dei legami che possono essere stretti con la regione che si è lasciata (endogamia, numerosi scambi con la famiglia rimasta sul posto, in particolare sul piano finanziario, ritorni periodici o definitivi ecc.).

Conviene sottolineare come l’analisi delle carriere dei migranti nel luogo d’arrivo dipende essenzialmente da una scelta iniziale fra una delle due prospettive di cui si dispone per analizzare la maggioranza delle migrazioni. La posizione iniziale dello storico è così determinante, il che rende difficile affrontare la questione dell’integrazione dei migranti su basi solide. […]

Alla luce di ciò che è stato detto, noi consideriamo necessario tentare d’imbastire un’analisi alternativa, più adatta alla nostra problematica iniziale. Essa può essere ricondotta, nella sua forma più sintetica, a una dicotomia iniziale diversa da quella che si è presentata, ma altrettanto elementare. Tutto il cambio di prospettiva consiste nel vedere nella migrazione qualcosa di diverso da un semplice spostamento fisico, per tentare di tener conto della maniera in cui essa si riflette e condiziona i progetti dei migranti. Più precisamente, si tratta di integrare le scelte che essa impone loro con le attese che sono concepite nel luogo d’origine e con le attese che si inscrivono nel luogo di arrivo. Tutto si riduce a voler sostituire alla coppia luogo d’origine/luogo d’arrivo la diade spazio vissuto/spazio investito.

Per definire queste due nozioni si può dire che lo spazio vissuto è il quadro fisico nel quale si svolge l’esistenza materiale quotidiana del migrante, ossia il luogo di arrivo. Lo spazio investito è invece quello in cui si presume che si inquadrino gli obiettivi cui mira un individuo. La sua dimensione può essere fisica (aspirazione alla residenza, acquisto di una casa o di un terreno) o sociale (desiderio di far parte di un gruppo attraverso l’endogamia, la rete di convivialità o l’ambizione di rappresentare la comunità ecc.).

[…] Si può passare alla distinzione fra due tipi di migrazione che costituirà il quadro analitico dei movimenti e dei comportamenti che si intende descrivere. Il caso in cui esiste una corrispondenza fra spazio vissuto e spazio investito sarà associato a degli spostamenti che noi definiremo delle migrazioni di rottura. Esse riguardano in effetti dei migranti per i quali il riferimento al luogo iniziale è assente. Di contro, l’esistenza di situazioni dove lo spazio di arrivo è neutro ci porterà a parlare di migrazioni di mantenimento: lo spostamento fisico non va di pari passo con un rifiuto dei diversi elementi che compongono l’universo di origine, il trapiantarsi fisico, in un certo senso, è secondario, nella misura in cui i suoi protagonisti fondamentalmente mantengono i medesimi progetti, e se possibile lo stesso orizzonte di vita dei loro compaesani rimasti sul posto. […] Su questo tema, dalla dicotomia originaria derivano altre pesanti conseguenze. La prima, lo si sarà indovinato, è di tentare di ragionare non sulle cause della partenza ma sui progetti nel luogo d’arrivo. Una seconda è di ragionare poi sull’evoluzione di questi progetti nel corso dell’esistenza. Essa consiste nel domandarsi se i progetti iniziali dei migranti restano stabili nel tempo o se conoscono un’evoluzione; quali ne siano la direzione e il ritmo; se essa si produce nel corso della vita del migrante o solo nei suoi discendenti. L’opposizione fra migrazione di mantenimento e migrazione di rottura non è solo analitica: essa ricalca anche una dimensione dinamica essenziale poiché contiene in germe un meccanismo di evoluzione. La prima tende a trasformarsi nella seconda? Quali sono i fattori che incidono su questo processo e quali sono gli effetti?


tratto da Maintien/Rupture: un nouveau couple pour l’analyse des migrations, in Annales ESC, 6 (45), 1990

 >> pagina 645

Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) La dimensione della migrazione che è qui considerata è di ordine biografico.

b) Ogni mera “classificazione” di processi migratori storici [è] una astrazione estremamente schematica.

c) Tutto si riduce a voler sostituire alla coppia luogo d’origine/luogo d’arrivo la diade spazio vissuto/spazio investito.

d) Da quando esiste l’Homo sapiens esiste anche l’Homo migrans.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Classificare le migrazioni

Le migrazioni fra radicamento e rottura
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

competenza DIGITALE La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati stabilisce, nell’articolo 1, una definizione di rifugiato. In gruppi di massimo 5 persone leggete il primo articolo e confrontate la definizione con quella riportata in dizionari o enciclopedie, per esempio il lemma dell’Enciclopedia online Treccani (www.treccani.it/enciclopedia/rifugiato). Una volta completato il confronto realizzate il vostro lemma di “rifugiato”.

percorso 2

Storia di genere e storia delle donne

La storia delle donne e la storia di genere rappresentano alcune fra le più significative innovazioni metodologiche e prospettiche registrate negli ultimi decenni nella storiografia mondiale. La prima ha consentito non soltanto d’indagare quella metà del mondo a lungo trascurata, apprezzandone così anche il ruolo spesso assai rilevante nelle vicende della Grande storia. La seconda ha invece ulteriormente ampliato il campo, permettendo di vedere il “genere” come prodotto delle relazioni umane, come una costruzione culturale oltre che come un dato biologico, e quindi di rileggere in questa chiave la storia politico-diplomatica, militare, economica e sociale. 

Di solito considerate l’una (la storia di genere) una filiazione dell’altra (la storia delle donne), esse non vanno confuse, tanto più dopo la ricezione assai diversificata che la storia di genere ha avuto nei diversi contesti storiografici nazionali, il suo intersecare la World history e le polemiche recentemente nate sulla sua natura meno impegnata rispetto a quella della storia delle donne, in origine assai vicina al femminismo degli anni Settanta del Novecento.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900