Joan W. Scott - Il genere: elemento costitutivo dei fenomeni storici

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Joan W. Scott

Il genere: elemento costitutivo dei fenomeni storici

Una delle prime riflessioni sulla storia di genere fu sviluppata da Joan W. Scott. In un saggio del 1986 divenuto ormai un classico, la storica statunitense mostrava infatti quanto la prospettiva di genere potesse essere proficua anche in ambiti tradizionali della ricerca storica, superando le narrazioni fondate sulle sfere separate e cogliendo la dimensione sessuata di fenomeni come la guerra, l’imperialismo o la politica.

Nel suo uso più recente, il termine “genere” sarebbe stato impiegato per la prima volta dalle femministe americane, nell’intento di ribadire la qualità fondamentalmente sociale delle distinzioni basate sul sesso. La parola serviva a denotare il rifiuto del determinismo biologico implicito in termini come “sesso” o “differenza sessuale”. “Genere” sottolineava anche l’aspetto relazionale delle definizioni normative della femminilità. Chi si preoccupava che la ricerca femminile più impegnata fosse concentrata troppo strettamente e separatamente sulle donne si servì del termine “genere” per introdurre una nozione relazionale nel nostro vocabolario analitico. In questo modo, uomini e donne venivano definiti in termini di reciprocità, e nessuna analisi dell’uno o dell’altro poteva essere compiuta con uno studio completamente separato. […]

Per le storiche delle donne non è stato sufficiente dimostrare che le donne hanno una storia, provarne la partecipazione ai maggiori rivolgimenti politici intervenuti nella civiltà occidentale. Nel caso della storia delle donne, l’atteggiamento della maggior parte degli storici e delle storiche non femministe è stato dapprima di presa d’atto, e quindi di distacco e rifiuto (“se le donne hanno avuto una storia separata da quella degli uomini, se ne occupino le femministe: la cosa non ci riguarda”; oppure: “la storia delle donne concerne il sesso e la famiglia, e di conseguenza deve essere studiata separatamente dalla storia politica ed economica”). Per quanto riguarda la partecipazione delle donne, la reazione è consistita, nella migliore delle ipotesi, in uno scarsissimo interesse (“la mia visione della Rivoluzione francese non è cambiata da quando ho saputo che vi hanno preso parte le donne”). La sfida lanciata da reazioni di questo tipo è, alla fin fine, di natura teorica e richiede un’analisi non soltanto dei rapporti tra esperienza maschile e femminile nel passato, ma anche della connessione tra storia del passato e pratica storica attuale. Come agisce il genere nei rapporti sociali tra gli uomini? Quale significato conferisce all’organizzazione e alla percezione della conoscenza storica? Le risposte dipendono dall’assunzione del genere come categoria analitica. […]

Ma si tratta, appunto, soltanto di un aspetto. “Genere” quale sostituto di “donne” è usato anche per suggerire che l’informazione sulle donne è necessariamente anche informazione sugli uomini, che l’una implica lo studio dell’altra. Tale uso ribadisce il concetto che il mondo delle donne è una parte del mondo degli uomini, creato in esso e da esso. Respinge poi l’utilità interpretativa del concetto di sfere separate, affermando che studiare le donne come soggetto isolato perpetua la finzione secondo cui una singola sfera, l’esperienza di un singolo sesso, avrebbe poco o nulla a che spartire con l’altra. “Genere” è usato altresì per designare i rapporti sociali tra i sessi, e rifiuta esplicitamente qualsiasi spiegazione di ordine biologico, come quelle che trovano un denominatore comune per le diverse forme di subordinazione femminile nel fatto che le donne hanno la capacità di partorire mentre gli uomini sono dotati di una maggior forza muscolare. Il genere diventa invece un modo per indicare le “costruzioni culturali” – l’origine, di natura interamente sociale, delle idee circa i ruoli più adatti alle donne e agli uomini. È un modo per fare riferimento alle origini esclusivamente sociali delle identità soggettive di uomini e donne. Secondo tale definizione, il genere è una categoria sociale imposta a un corpo sessuato. […]

Quel che ci occorre è un rifiuto della qualità fissa e permanente della contrapposizione binaria, una genuina storicizzazione e destrutturazione dei termini della differenza sessuale. Dobbiamo acquisire maggiore consapevolezza nel distinguere tra il nostro vocabolario analitico e il materiale che intendiamo analizzare. Dobbiamo trovare il modo (anche se imperfetto) di sottoporre continuamente le nostre categorie alla critica e le nostre analisi all’autocritica. […]

Che cosa dovremmo fare noi storiche/ci, che, dopo tutto, abbiamo visto la nostra disciplina messa da parte da alcuni moderni teorici come una reliquia del pensiero umanistico? […] Dobbiamo chiederci più spesso come accadono le cose, allo scopo di scoprire perché accadono; come afferma l’antropologa Michelle Rosaldo1, non dobbiamo provare le cause universali e generali, ma una spiegazione significativa. «Oggi mi pare chiaro che il posto della donna nella vita sociale dell’umanità non è in alcun senso il prodotto diretto delle cose che fa, ma nel significato che le sue attività acquisiscono attraverso la concreta interazione sociale». Per scoprire il significato, dobbiamo occuparci sia del soggetto individuale sia dell’organizzazione sociale e formulare la natura della loro interrelazione, poiché entrambi sono fondamentali per comprendere come il genere operi e come si verifichi il mutamento. […]

La mia definizione di genere si compone di due parti e di numerosi sottogruppi. Sono tutti correlati, ma devono essere distinti analiticamente.

II fulcro della definizione si basa su una connessione integrate tra due proposizioni: il genere è un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, e il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere. I mutamenti nell’organizzazione dei rapporti sociali corrispondono sempre a mutamenti nelle rappresentazioni del potere, ma la direzione del mutamento non è necessariamente unica. Come elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, il genere coinvolge quattro elementi correlati: innanzitutto, simboli culturalmente accessibili che evocano molteplici (e spesso contraddittorie) rappresentazioni – Eva e Maria, ad esempio, come simboli della donna nella tradizione cristiana occidentale –, ma anche miti di luce e oscurità, purificazione e contaminazione, innocenza e corruzione. Le domande che interessano gli storici sono: quali rappresentazioni simboliche sono richiamate, come e in quali contesti? Il secondo elemento è costituito dai concetti normativi che offrono interpretazioni dei significati dei simboli e si sforzano di limitare e contenere le loro potenzialità metaforiche. Tali concetti sono espressi nelle dottrine religiose, didattiche, scientifiche, legali e politiche, e assumono significativamente la forma di una contrapposizione binaria fissa, che afferma in modo categorico e inequivocabile il significato di maschio e di femmina, di maschile e di femminile. In realtà, tali affermazioni normative dipendono dal rifiuto o dalla repressione di eventualità alternative, e talvolta si verificano aperte contestazioni in proposito (in quali momenti e in quali circostanze è un problema del quale dovrebbero occuparsi gli storici). La posizione che emerge come dominante, tuttavia, è dichiarata l’unica possibile. La storia successiva viene scritta come se quelle posizioni normative fossero il prodotto del consenso sociale anziché del conflitto. Un esempio di questo tipo di storia è costituito dal trattamento riservato all’ideologia vittoriana della domesticità, vista come un fenomeno nato da un giorno all’altro e solo successivamente contestato, anziché come l’oggetto costante di profonde divergenze di opinione. Un altro esempio ci viene dagli attuali gruppi religiosi fondamentalisti, che nell’esercizio della loro funzione premono fortemente per la restaurazione del ruolo “tradizionale” della donna, supposto come più autentico, mentre in realtà esistono ben pochi precedenti storici di una sua esistenza incontrastata. Il fine della nuova ricerca storica è di infrangere la nozione di fissità, nello svelare la natura del dibattito o la repressione che governa l’apparentemente eterna permanenza della rappresentazione di genere binaria. Questo tipo di analisi deve includere l’idea di politica come riferimento alle istituzioni e alle organizzazioni sociali – il terzo aspetto dei rapporti di genere. […]

Argomenti come la guerra, la diplomazia e l’alta politica tornano spesso in campo quando gli storici politici tradizionali si interrogano circa l’utilità del concetto di genere nel loro lavoro. Anche in questo caso, però, è bene guardare al di là degli attori e del senso letterale delle loro parole. I rapporti di potere tra le nazioni e lo status di sudditanza delle colonie sono stati resi comprensibili (e quindi legittimati) in termini di rapporti tra maschile e femminile. La legittimazione della guerra […] ha assunto varie forme, dagli appelli espliciti alla virilità (all’esigenza di difendere donne e bambini, altrimenti vulnerabili) all’affidarsi implicito alla convinzione che sia dovere dei figli servire i propri capi o il proprio (padre) sovrano, e alle associazioni tra virilità e potenza della nazione. Anche l’alta politica è un concetto sessuato, poiché stabilisce la propria importanza cruciale e il proprio potere pubblico, le ragioni e la realtà della sua autorità superiore, appunto in quanto esclude le donne dal suo operato. Il genere è uno dei riferimenti ricorrenti con i quali il potere politico è stato concepito, legittimato e criticato. Esso riguarda, ma al tempo stesso determina, il significato della contrapposizione tra maschile e femminile. Per sostenere il potere politico, il riferimento dev’essere sicuro e stabile, esterno all’elaborazione umana, parte dell’ordine naturale o divino. In questo modo, la contrapposizione binaria e il processo sociale dei rapporti di genere entrano a far parte del significato del potere stesso; mettere in discussione o alterare uno qualsiasi di questi aspetti vuol dire mettere a repentaglio l’intero sistema. […]

Quale rapporto esiste tra le leggi sulle donne e il potere dello Stato? Perché (e fino a quando) le donne sono rimaste invisibili come soggetti sociali, quando ne conosciamo la partecipazione agli eventi grandi e piccoli della storia umana? Il genere ha legittimato l’emergere di carriere professionali? È sessuato […] il soggetto della scienza? Che relazione intercorre tra la politica statale e l’individuazione dell’omosessualità come crimine? In quale maniera le istituzioni sociali hanno incorporato il genere nei loro assunti e organizzazioni? Vi sono mai stati modi autenticamente egualitari di concepire il genere in base ai quali siano stati progettati, se non addirittura costruiti, dei sistemi politici?

Una ricerca su questi temi produrrà una storia che saprà fornire nuove prospettive a vecchi problemi (come si impone, ad esempio, un regime politico, o quale sia l’impatto della guerra sulla società), ridefinirà questi ultimi in termini nuovi (ad esempio introducendo la considerazione della famiglia e della sessualità negli studi di economia o di guerra), renderà visibili le donne partecipanti attive, e creerà una distanza analitica tra l’apparentemente immutabile linguaggio del passato e la nostra propria terminologia.


tratto da Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, in I. Fazio (a cura di), Genere, politica, storia, Viella, Roma 2013

 >> pagina 649

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Alice Kessler-Harris

Le donne, misconosciute protagoniste della storia

Avendo praticato a lungo sia la storia delle donne che quella di genere, la storica statunitense Alice Kessler-Harris in un intervento scritto per il centenario dell’Organization of American Historians solleva forti dubbi sull’opportunità di abbandonare la storia delle donne. Se la prospettiva di genere fornisce un campo analitico più ampio e percepito da alcuni critici come meno ideologico, la storia delle donne non solo ne costituisce un presupposto, ma rappresenta anche un filone ancora largamente inesplorato e che meglio risponde alla missione civile propria di questa storiografia.

Quello del genere è un quadro di riferimento tentatore e potente. Di gran lunga più inclusivo della categoria di donna, esso pone questioni non tanto su cosa le donne facessero o non facessero, quanto piuttosto su come l’organizzazione delle relazioni fra uomini e donne stabilissero le priorità e motivassero l’agire sociale e politico. Laddove la storia delle donne può essere accusata di mancanza di obiettività – di avere obiettivi femministi – quella di genere suggerisce un atteggiamento più equilibrato.

Negli scorsi decenni, gli storici e gli scienziati sociali hanno usato la nozione di genere per vedere come le società e le nazioni hanno legittimato concetti fondanti quali democrazia, equità e libertà. Essi hanno esaminato come i vincoli di comportamento orientato in base al genere diano senso a nozioni altrimenti astratte quali nazione, patriottismo, impero e occupazione. Essi hanno scoperto come le politiche sociali ed economiche siano state costruite nel tentativo di preservare o spezzare le relazioni esistenti fra uomini e donne, all’interno e fra le famiglie.

Dal punto di vista della professione, lo studio del genere offre un differente ventaglio di tentazioni. Esso cancella immediatamente lo stigma del pregiudizio, l’associazione politica al femminismo, da coloro che studiano la sua storia. Diversamente rispetto agli storici delle donne, gli storici di genere si rifugiano comodamente all’interno di un campo analitico largamente accettato. Alle giovani donne, le quali a volte temono che studiare “storia delle donne” possa svantaggiarle nel mercato del lavoro o quando si presenteranno per un posto da professore, indossare l’abito del genere può fornire una benaccetta copertura. Per gli altri, la possibilità di offrirsi su un mercato del lavoro più ampio rappresenta un incentivo sufficiente ad abbandonare la storia delle donne; ancora, altri sperano di trovare un pubblico più ampio per i loro primi libri dando l’idea di occuparsi di questioni più pertinenti o più rilevanti. L’idea del “genere” consente ai giovani studiosi (maschi e femmine) di andare alla ricerca dei modi in cui il mutamento storico è legato alla forma e al dispiegamento delle relazioni maschio-femmina, e di cercare implicazioni connesse al genere dentro e attorno a temi come la politica estera, la storia presidenziale e gli aspetti economici della fiscalità.

E ancora io mi fermo a chiedermi cosa abbiamo perso quando volgiamo la nostra attenzione al genere, che pure io sposo pienamente. Io auspico che non si abbandoni la storia delle donne. Io condivido il sospetto di molti colleghi che il genere oscuri tanto quanto rivela: nel vedere le esperienze degli uomini e delle donne come relazionali, trascuriamo i modi particolari in cui le donne – le immigrate, le afroamericane, le asiatiche, le chicane1 – hanno affrontato i loro diversi

mondi. Questo è particolarmente vero nelle aree dove la storia delle donne sta venendo ancora praticata. […] Soprattutto, mancando una storia delle donne noi perdiamo la capacità dell’individuo di gettare una luce differente – a volte una luce liminale2 – sui processi storici. […]

Fino a quando il concetto di genere maschererà la perdurante ostilità nei confronti della convinzione che le donne sono attori della storia, così come la resistenza all’idea che attività, interessi e idee delle donne abbiano costituito una porzione significativa delle motivazioni che hanno portato a organizzare società, combattere guerre, costruire particolari tipi di sistemi economici, abbandonare la storia delle donne significherebbe semplicemente nutrire quelle ostilità. Se la storia di genere cede alla tentazione di vedere il mondo attraverso gli occhi degli uomini, desiderosi di difendere il proprio onore e di affermare la loro mascolinità riservandosi i lavori qualificati che consentono loro di provvedere alle loro famiglie, allora essa perde lo slancio di vedere le donne agire per conto proprio. A meno che la storia di genere non sfidi la visione normativa del mondo filtrata attraverso occhi maschili continuando a costruire conoscenza sulla base di un sapere progressivo del modo in cui le donne hanno pensato e agito, essa rischia di uccidere la gallina dalle uova d’oro.

Verosimilmente, se non altro la storia delle donne costituisce la banca dati originale per ogni interpretazione in chiave di genere: l’impulso dal quale noi abbiamo iniziato a comprendere quell’ordine sociale e quella conseguente organizzazione politica che promuoveva contemporaneamente la stasi e il cambiamento. Fra coloro che studiano pochi potrebbero sostenere che sappiamo abbastanza, o che abbiamo capito a sufficienza le menti delle donne nel tempo, per credere che i nostri dati siano completi, o completi abbastanza. […]

Come studiosa, io sono convinta che il prezzo dell’integrazione della storia delle donne nella storia di genere sarebbe quello di ridurre il potere del genere come categoria analitica. Come accademica impegnata, io spero che gli uomini e le donne continuino a studiare la “storia delle donne”. […] E, come studente di equità di genere, io ho imparato che continuare a far ricerca sulla storia delle donne deve essere parte del nostro sforzo di formare la consapevolezza della prossima generazione.


tratto da Do We Still Need Women’s History?, in “The Chronicle of Higher Education”, 54, 15 (2007)

 >> pagina 651

Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Io auspico che non si abbandoni la storia delle donne.

b) Quello del genere è un quadro di riferimento tentatore e potente.

c) Il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere.

d) “Genere” […] rifiuta esplicitamente qualsiasi spiegazione di ordine biologico.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Il genere: elemento costitutivo dei fenomeni storici Le donne, misconosciute protagoniste della storia 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
RIASSUMERE un testo argomentativo

Dopo aver schematizzato i saggi con l’aiuto della tabella dell’esercizio precedente, suddividi i due testi in paragrafi e assegna a ciascun paragrafo un titolo. A partire da questi paragrafi sviluppa un testo di mezza pagina di quaderno che riassuma le argomentazioni dei due brani proposti.


  Il genere: elemento costitutivo dei fenomeni storici Le donne, misconosciute protagoniste della storia 
Paragrafo 1    
Paragrafo 2    
Paragrafo 3    

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900