Nel suo uso più recente, il termine “genere” sarebbe stato impiegato per la prima volta dalle femministe americane, nell’intento di ribadire la qualità fondamentalmente sociale delle distinzioni basate sul sesso. La parola serviva a denotare il rifiuto del determinismo biologico implicito in termini come “sesso” o “differenza sessuale”. “Genere” sottolineava anche l’aspetto relazionale delle definizioni normative della femminilità. Chi si preoccupava che la ricerca femminile più impegnata fosse concentrata troppo strettamente e separatamente sulle donne si servì del termine “genere” per introdurre una nozione relazionale nel nostro vocabolario analitico. In questo modo, uomini e donne venivano definiti in termini di reciprocità, e nessuna analisi dell’uno o dell’altro poteva essere compiuta con uno studio completamente separato. […]
Per le storiche delle donne non è stato sufficiente dimostrare che le donne hanno una storia, né provarne la partecipazione ai maggiori rivolgimenti politici intervenuti nella civiltà occidentale. Nel caso della storia delle donne, l’atteggiamento della maggior parte degli storici e delle storiche non femministe è stato dapprima di presa d’atto, e quindi di distacco e rifiuto (“se le donne hanno avuto una storia separata da quella degli uomini, se ne occupino le femministe: la cosa non ci riguarda”; oppure: “la storia delle donne concerne il sesso e la famiglia, e di conseguenza deve essere studiata separatamente dalla storia politica ed economica”). Per quanto riguarda la partecipazione delle donne, la reazione è consistita, nella migliore delle ipotesi, in uno scarsissimo interesse (“la mia visione della Rivoluzione francese non è cambiata da quando ho saputo che vi hanno preso parte le donne”). La sfida lanciata da reazioni di questo tipo è, alla fin fine, di natura teorica e richiede un’analisi non soltanto dei rapporti tra esperienza maschile e femminile nel passato, ma anche della connessione tra storia del passato e pratica storica attuale. Come agisce il genere nei rapporti sociali tra gli uomini? Quale significato conferisce all’organizzazione e alla percezione della conoscenza storica? Le risposte dipendono dall’assunzione del genere come categoria analitica. […]
Ma si tratta, appunto, soltanto di un aspetto. “Genere” quale sostituto di “donne” è usato anche per suggerire che l’informazione sulle donne è necessariamente anche informazione sugli uomini, che l’una implica lo studio dell’altra. Tale uso ribadisce il concetto che il mondo delle donne è una parte del mondo degli uomini, creato in esso e da esso. Respinge poi l’utilità interpretativa del concetto di sfere separate, affermando che studiare le donne come soggetto isolato perpetua la finzione secondo cui una singola sfera, l’esperienza di un singolo sesso, avrebbe poco o nulla a che spartire con l’altra. “Genere” è usato altresì per designare i rapporti sociali tra i sessi, e rifiuta esplicitamente qualsiasi spiegazione di ordine biologico, come quelle che trovano un denominatore comune per le diverse forme di subordinazione femminile nel fatto che le donne hanno la capacità di partorire mentre gli uomini sono dotati di una maggior forza muscolare. Il genere diventa invece un modo per indicare le “costruzioni culturali” – l’origine, di natura interamente sociale, delle idee circa i ruoli più adatti alle donne e agli uomini. È un modo per fare riferimento alle origini esclusivamente sociali delle identità soggettive di uomini e donne. Secondo tale definizione, il genere è una categoria sociale imposta a un corpo sessuato. […]
Quel che ci occorre è un rifiuto della qualità fissa e permanente della contrapposizione binaria, una genuina storicizzazione e destrutturazione dei termini della differenza sessuale. Dobbiamo acquisire maggiore consapevolezza nel distinguere tra il nostro vocabolario analitico e il materiale che intendiamo analizzare. Dobbiamo trovare il modo (anche se imperfetto) di sottoporre continuamente le nostre categorie alla critica e le nostre analisi all’autocritica. […]
Che cosa dovremmo fare noi storiche/ci, che, dopo tutto, abbiamo visto la nostra disciplina messa da parte da alcuni moderni teorici come una reliquia del pensiero umanistico? […] Dobbiamo chiederci più spesso come accadono le cose, allo scopo di scoprire perché accadono; come afferma l’antropologa Michelle Rosaldo1, non dobbiamo provare le cause universali e generali, ma una spiegazione significativa. «Oggi mi pare chiaro che il posto della donna nella vita sociale dell’umanità non è in alcun senso il prodotto diretto delle cose che fa, ma nel significato che le sue attività acquisiscono attraverso la concreta interazione sociale». Per scoprire il significato, dobbiamo occuparci sia del soggetto individuale sia dell’organizzazione sociale e formulare la natura della loro interrelazione, poiché entrambi sono fondamentali per comprendere come il genere operi e come si verifichi il mutamento. […]
La mia definizione di genere si compone di due parti e di numerosi sottogruppi. Sono tutti correlati, ma devono essere distinti analiticamente.
II fulcro della definizione si basa su una connessione integrate tra due proposizioni: il genere è un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, e il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere. I mutamenti nell’organizzazione dei rapporti sociali corrispondono sempre a mutamenti nelle rappresentazioni del potere, ma la direzione del mutamento non è necessariamente unica. Come elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, il genere coinvolge quattro elementi correlati: innanzitutto, simboli culturalmente accessibili che evocano molteplici (e spesso contraddittorie) rappresentazioni – Eva e Maria, ad esempio, come simboli della donna nella tradizione cristiana occidentale –, ma anche miti di luce e oscurità, purificazione e contaminazione, innocenza e corruzione. Le domande che interessano gli storici sono: quali rappresentazioni simboliche sono richiamate, come e in quali contesti? Il secondo elemento è costituito dai concetti normativi che offrono interpretazioni dei significati dei simboli e si sforzano di limitare e contenere le loro potenzialità metaforiche. Tali concetti sono espressi nelle dottrine religiose, didattiche, scientifiche, legali e politiche, e assumono significativamente la forma di una contrapposizione binaria fissa, che afferma in modo categorico e inequivocabile il significato di maschio e di femmina, di maschile e di femminile. In realtà, tali affermazioni normative dipendono dal rifiuto o dalla repressione di eventualità alternative, e talvolta si verificano aperte contestazioni in proposito (in quali momenti e in quali circostanze è un problema del quale dovrebbero occuparsi gli storici). La posizione che emerge come dominante, tuttavia, è dichiarata l’unica possibile. La storia successiva viene scritta come se quelle posizioni normative fossero il prodotto del consenso sociale anziché del conflitto. Un esempio di questo tipo di storia è costituito dal trattamento riservato all’ideologia vittoriana della domesticità, vista come un fenomeno nato da un giorno all’altro e solo successivamente contestato, anziché come l’oggetto costante di profonde divergenze di opinione. Un altro esempio ci viene dagli attuali gruppi religiosi fondamentalisti, che nell’esercizio della loro funzione premono fortemente per la restaurazione del ruolo “tradizionale” della donna, supposto come più autentico, mentre in realtà esistono ben pochi precedenti storici di una sua esistenza incontrastata. Il fine della nuova ricerca storica è di infrangere la nozione di fissità, nello svelare la natura del dibattito o la repressione che governa l’apparentemente eterna permanenza della rappresentazione di genere binaria. Questo tipo di analisi deve includere l’idea di politica come riferimento alle istituzioni e alle organizzazioni sociali – il terzo aspetto dei rapporti di genere. […]
Argomenti come la guerra, la diplomazia e l’alta politica tornano spesso in campo quando gli storici politici tradizionali si interrogano circa l’utilità del concetto di genere nel loro lavoro. Anche in questo caso, però, è bene guardare al di là degli attori e del senso letterale delle loro parole. I rapporti di potere tra le nazioni e lo status di sudditanza delle colonie sono stati resi comprensibili (e quindi legittimati) in termini di rapporti tra maschile e femminile. La legittimazione della guerra […] ha assunto varie forme, dagli appelli espliciti alla virilità (all’esigenza di difendere donne e bambini, altrimenti vulnerabili) all’affidarsi implicito alla convinzione che sia dovere dei figli servire i propri capi o il proprio (padre) sovrano, e alle associazioni tra virilità e potenza della nazione. Anche l’alta politica è un concetto sessuato, poiché stabilisce la propria importanza cruciale e il proprio potere pubblico, le ragioni e la realtà della sua autorità superiore, appunto in quanto esclude le donne dal suo operato. Il genere è uno dei riferimenti ricorrenti con i quali il potere politico è stato concepito, legittimato e criticato. Esso riguarda, ma al tempo stesso determina, il significato della contrapposizione tra maschile e femminile. Per sostenere il potere politico, il riferimento dev’essere sicuro e stabile, esterno all’elaborazione umana, parte dell’ordine naturale o divino. In questo modo, la contrapposizione binaria e il processo sociale dei rapporti di genere entrano a far parte del significato del potere stesso; mettere in discussione o alterare uno qualsiasi di questi aspetti vuol dire mettere a repentaglio l’intero sistema. […]
Quale rapporto esiste tra le leggi sulle donne e il potere dello Stato? Perché (e fino a quando) le donne sono rimaste invisibili come soggetti sociali, quando ne conosciamo la partecipazione agli eventi grandi e piccoli della storia umana? Il genere ha legittimato l’emergere di carriere professionali? È sessuato […] il soggetto della scienza? Che relazione intercorre tra la politica statale e l’individuazione dell’omosessualità come crimine? In quale maniera le istituzioni sociali hanno incorporato il genere nei loro assunti e organizzazioni? Vi sono mai stati modi autenticamente egualitari di concepire il genere in base ai quali siano stati progettati, se non addirittura costruiti, dei sistemi politici?
Una ricerca su questi temi produrrà una storia che saprà fornire nuove prospettive a vecchi problemi (come si impone, ad esempio, un regime politico, o quale sia l’impatto della guerra sulla società), ridefinirà questi ultimi in termini nuovi (ad esempio introducendo la considerazione della famiglia e della sessualità negli studi di economia o di guerra), renderà visibili le donne partecipanti attive, e creerà una distanza analitica tra l’apparentemente immutabile linguaggio del passato e la nostra propria terminologia.
tratto da Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, in I. Fazio (a cura di), Genere, politica, storia, Viella, Roma 2013