PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 Costruire la nazione

p. 386

A.-M. Thiesse, I meccanismi transnazionali delle costruzioni nazionali tratto da La creazione delle identità nazionali in Europa

– Il ruolo della letteratura nel Nation building

D. Deletant, La storia come strumento di lotta tratto da Nationalism as Unification

– Il ruolo degli storici nel Nation building

– La contesa fra romeni e ungheresi sulla Transilvania

2 Nazionalismi, nazioni e indifferenza nazionale

p. 391

J. Breuilly, Il nazionalismo “dal basso” tratto da What Does It Mean to Say that Nationalism Is “Popular”?

– Il nazionalismo nella sfera privata e pubblica

– Rapporti fra nazionalismo e lotta di classe

– Il nazionale come ambito in cui politiche e forze agiscono

T. Zahra, L’indifferenza nazionale tratto da Imagined Noncommunities: National Indifference as a Category of Analysis

– L’indifferenza nazionale vista dai nazionalisti

– La politicità di chi è indifferente alla nazione

percorso 1

Costruire la nazione

L’Ottocento è considerato “l’età delle nazioni e dei nazionalismi”. Dagli anni Novanta storiografia, antropologia e sociologia hanno però indagato le nazioni e i nazionalismi, dimostrandone la natura artificiale e la genesi piuttosto recente. Si sono così ricostruiti i meccanismi, gli strumenti e gli attori dei processi di costruzione della nazione (Nation building), mostrando il ruolo centrale che vi giocarono le élite intellettuali e alcuni ambiti artistici e scientifici. In particolare, fondamentale fu il contributo della letteratura e della storiografia. La prima offriva miti, eroi ed epopee fondamentali, che si pretendeva riaffiorassero da un remoto quanto autentico passato originario antecedente la contaminante sottomissione ad altri popoli. Ciò mentre fissava una propria lingua colta da contrapporre a quelle rese universali dall’egemonia culturale di potenze straniere (il latino dei romani in età antica, il francese in età moderna). La seconda fondava invece scientificamente la rivendicata unità del popolo, ne ricostruiva il comune percorso attraverso il secoli, ne celebrava i miti fondativi e i momenti cruciali, ne occultava le disfatte e spesso ne legittimava le pretese territoriali.

testo 1
Anne-Marie Thiesse 

I meccanismi transnazionali delle costruzioni nazionali

Comparando diversi casi di studio, la storica francese Anne-Marie Thiesse non solo ha confermato quali siano gli elementi simbolici e materiali necessari a fabbricare una nazione, ma ha anche mostrato come i meccanismi di Nation building adoperati nel mondo fra Sette e Ottocento abbiano caratteristiche così simili da costituire un fenomeno transnazionale, fatto di reciproche imitazioni, prestiti e adattamenti. Se un ruolo importante ebbero le arti figurative, il folklore e la definizione di una lingua, nel plasmare le identità nazionali particolare importanza ebbe la creazione di una propria tradizione letteraria, che si contrapponesse al classicismo e all’egemonia culturale francese.

Nulla è più “internazionale” della formazione delle identità nazionali. È un paradosso enorme, dal momento che l’irriducibile specificità di ogni identità nazionale è stata pretesto di scontri sanguinosi, eppure identico è il modello, messo a punto nel quadro di intensi scambi internazionali.

Le nazioni moderne si sono costituite in modo diverso da come raccontano le storie ufficiali. Le loro origini non si perdono nella notte dei tempi, nelle età oscure ed eroiche descritte dai capitoli iniziali delle storie nazionali. Neppure la lenta formazione di territori in seguito a conquiste e alleanze è stata all’origine delle nazioni, poiché essa altro non è che la storia tumultuosa dei regni o dei principati. La vera nascita di una nazione è il momento in cui un pugno di individui dichiara che essa esiste e cerca di dimostrarlo. I primi esempi non sono anteriori al XVIII secolo, non essendovi nazioni in senso moderno, cioè politico, prima di questa data. L’idea si inserisce, in realtà, nel quadro di una rivoluzione ideologica. La nazione è concepita come una comunità vasta, tenuta insieme da vincoli che non si riferiscono alla dipendenza da uno stesso sovrano, né all’appartenenza a una stessa religione o a una stessa classe sociale: essa non è determinata dal monarca, la sua esistenza è indipendente dai rischi della storia dinastica o militare. […]

Il processo di formazione identitario consiste nel determinare il patrimonio di ogni nazione e nel diffonderne il culto. La prima fase dell’operazione non è stata così evidente, poiché in realtà gli antenati non avevano redatto un testamento indicante ciò che desideravano trasmettere ai discendenti, ed era oltretutto necessario scegliere fra gli antenati i presunti donatori, ossia trovare ipotetici ascendenti comuni […]. Perché si producesse il nuovo mondo delle nazioni, non era sufficiente inventariarne l’eredità, si doveva piuttosto inventarlo. Ma come? Che cosa era necessario escogitare al fine di dare la testimonianza vivente di un passato prestigioso e l’immagine autorevole della coesione nazionale? Il compito era arduo, di lunga durata e fu svolto collettivamente. Un grande cantiere di sperimentazione, senza capomastro eppure intensamente animato, venne aperto in Europa nel Settecento; esso conobbe l’epoca di maggiore produttività nel secolo successivo e la sua caratteristica fu quella di essere transnazionale. Non vi è stato accordo preventivo o divisione del lavoro; ma ogni singolo gruppo nazionale si mostrava molto attento a quanto facevano i loro simili e rivali, cercando di adattare alle proprie esigenze le idee degli altri e venendo a sua volta imitato, quando aveva scoperto qualcosa di nuovo o era riuscito a migliorare l’esistente. […]

Il risultato della creazione collettiva delle identità nazionali non è un modello unico, ma piuttosto, secondo l’espressione provocatoria del sociologo Orvar Löfgren1, una sorta di kit per il “fai da te”: una serie di declinazioni dell’“anima nazionale” e un insieme di procedure necessarie alla loro elaborazione. Oggi siamo in grado di redigere la lista di elementi simbolici e materiali che una nazione degna di questo nome deve offrire: una storia che stabilisca la continuità con i grandi antenati, una serie di eroi prototipi di virtù nazionali, una lingua, dei monumenti culturali, un folclore, dei luoghi sacri e un paesaggio tipico, una mentalità particolare, delle rappresentazioni ufficiali – inno e bandiera – e delle identificazioni pittoresche – costume, specialità culinarie o animale totemico. Le nazioni che di recente hanno avuto diritto al riconoscimento politico, e soprattutto quelle che ancora lo rivendicano, testimoniano, insieme ai segnali che inviano per attestare la propria esistenza, il carattere prescrittivo di questa lista di priorità identitaria. Il “sistema Ikea” di costruzione delle identità nazionali, che permette assemblaggi differenti a partire dalle stesse categorie elementari, appartiene al dominio pubblico mondiale, avendolo l’Europa esportato nello stesso tempo in cui imponeva alle vecchie colonie il proprio modo di organizzazione politica. […] La nazione nasce da un postulato o da un’invenzione, ma essa vive solo per l’adesione collettiva a questa finzione. I tentativi abortiti sono numerosissimi, mentre i successi sono il frutto di un costante proselitismo che insegna agli individui ciò che sono, li obbliga a conformarsi al modello proposto e li incita a diffondere a loro volta quel sapere collettivo. Il sentimento nazionale è spontaneo solo quando è stato perfettamente interiorizzato: ma per ottenere ciò occorre anzitutto averlo insegnato. La messa a punto di una pedagogia è il risultato di osservazioni basate su esperienze condotte in altre nazioni e trasposte quando sembrava opportuno farlo. […]

Se la perennità della nazione risiede nel popolo, il principe non è altro che un usurpatore o una metamorfosi storica. La sovversione ideologica della legittimità prepara un’evoluzione (e qualche rivoluzione) politica, di pari passo con un cambiamento estetico non meno radicale: per una nuova concezione del mondo, ci vogliono nuovi modi di rappresentazione. L’invenzione delle nazioni coincide così con un’intensa creazione di generi letterari o artistici e di nuove forme espressive. Il ritorno alle origini è in realtà opera di avanguardia. […]

La battaglia contro il classicismo assume ben presto, con abile spostamento, la forma di una lotta contro la tirannia. […] Ossian2 si sente tanto più britannico e innamorato della libertà quanto il nemico da combattere è francese e oppressore: la lotta contro il classicismo si confonde infatti con un’offensiva contro l’egemonia culturale francese. Nell’Europa del Settecento il francese non è soltanto la lingua di Versailles, ma anche quella della maggior parte delle corti europee, attraverso la quale la cultura francese ha potuto imporsi dappertutto come l’espressione più compiuta della cultura letteraria, modello che si può imitare ma non eguagliare; lo splendore del sole francese permette che altrove arrivino soltanto i suoi riflessi, salvo poi ammettere che quella luce è artificiale e ingannatrice.

La lotta contro la cultura unica passa quindi attraverso la confutazione di tutti i fondamenti del modello francese: esso è colto e raffinato, mentre la natura e la semplicità sono le fonti per eccellenza della cultura viva; ha il proprio habitat nei salotti, mentre la natura celebra le capanne; il primo rivendica un’eredità prestigiosa, e la seconda si cerca altre antichità europee; ha la pretesa di condurre i popoli verso la civiltà, ed è accusato di corromperla; crede di essere il compimento supremo, ma viene dichiarato moribondo. […]

Non è un caso se la Gran Bretagna e la Svizzera sono stati i due più accesi focolai di lotta contro l’imperialismo culturale francese, dal momento che erano terra d’asilo delle vittime del suo dispotismo. Gli attacchi contro l’assolutismo culturale e gli appelli alla resistenza prendevano forma nei luoghi all’epoca più avanzati della democrazia politica, non senza trovare eco negli altri paesi e nei settori più progressisti dell’intelligentija3 dello stesso nemico.


tratto da La creazione delle identità nazionali in Europa, Il Mulino, Bologna 2001

 >> pagina 388 
testo 2
Dennis Deletant

La storia come strumento di lotta

Il ruolo della storiografia nel Nation building è sottolineato dallo storico britannico Dennis Deletant con particolare riferimento al caso della Transilvania. Questa regione, attualmente parte del territorio romeno ma abitata da una folta minoranza ungherese, è da tempo oggetto di contesa fra i due paesi. Perciò gli storici militanti di entrambi gli Stati hanno provato a scriverne la storia per dimostrare il “diritto storico” del proprio popolo a occupare l’area, in quanto giunto per primo a popolarla.

Tutte le nazioni si preoccupano della loro storia. Spesso danno più importanza alle opinioni che ai fatti. Il grosso della ricerca storica nell’Europa centrale e orientale negli ultimi due secoli è stata condotta con lo scopo di consolidare e supportare l’idea di uno Stato-nazione, dal momento che, è stato affermato, essa poteva offrire l’unità culturale nella quale i suoi membri potevano prosperare intellettualmente ed economicamente. La conclusione politica derivante da questa premessa era che tutti coloro che erano nati in una determinata cultura dovevano vivere sotto lo stesso tetto. Un gruppo di intellettuali che fu centrale per la promozione dell’idea di “nazione” fu quello degli storici. Il ruolo che gli storici furono chiamati spesso a giocare fu quello di legittimare la rivendicazione della nazione della sua terra natia, di confermare il suo diritto di proprietà di territori attualmente occupati o di giustificare le pretese su territori occupati da popoli vicini. Alla storia fu affidato anche un compito messianico. «La Storia non è solo una scienza. Essa è allo stesso tempo il Gospel del presente e del futuro della Madrepatria». Così sentenziò Konstantinos Paparrigopoulos (1815-1891), uno storico greco che è considerato il fondatore della moderna storiografia greca. Fu Paparrigopoulos che per primo legò in un’unica narrazione i periodi antico, medievale e moderno della storia greca. L’eco di questo approccio è esemplificato dall’odierna disputa fra Grecia e Repubblica di Macedonia sull’uso del termine “Macedonia” nel nome della Repubblica di Macedonia, dal momento che la contestazione della Grecia è alimentata da obiezioni storiche e concomitantemente territoriali.

Entro la fine del XIX secolo la riscoperta del passato bizantino effettuata dagli storici greci portò gli intellettuali a guardare «più alle glorie dell’Impero bizantino che all’antichità classica nel giustificare il progetto irredentista della “Grande Idea”. Questo progetto, che aspirava all’unificazione di tutte le aree d’insediamento greco nel Vicino Oriente dentro i confini di un unico Stato con capitale Costantinopoli, dominava lo Stato indipendente durante il suo primo secolo di esistenza». […] Altrettanto significativo per la sua influenza sull’ideologia nazionale fu lo storico serbo Milenko M. Vukičevič (1867-1930). I suoi manuali furono ufficialmente autorizzati nelle scuole secondarie in Serbia e la loro importanza è resa evidente dal numero di alunni che le frequentavano. […]

Infatti, nulla rinfocola gli animi di romeni e ungheresi più dell’argomento Transilvania. Che la storia della provincia sia stata una questione politica lo si vede dagli argomenti usati dai romeni, ossia l’ininterrotta presenza romena nella loro attuale patria, che sarebbe antecedente l’arrivo degli ungheresi in Transilvania alla fine del primo millennio. Il diritto “storico” sulla Transilvania preteso dai romeni che sostengono questa “teoria della continuità” fu messo in discussione dagli storici ungheresi, i quali sostennero che non vi era alcuna prova per dimostrare la presenza romena in quel territorio prima dell’XI secolo, e che i romeni erano immigrati dalla penisola balcanica. […]

L’affermazione secondo cui il grosso della storiografia dell’Europa centrale e orientale sia stata mossa da intenti politici e manipolata non dovrebbe destare sorpresa. In paesi in cui la direzione e la pubblicazione della ricerca erano controllate centralisticamente1 l’osservatore spassionato può ben essere scettico circa l’obiettività degli studi prodotti sotto quest’egida. […] La discussione sull’origine di un popolo, o sul suo ethnos2, spesso scende al livello della polemica sui “diritti nazionali” di un’ideale patria, dove l’uso dell’aggettivo “normale” dimostra il carattere polemico della discussione. Nella giustificazione del diritto su una terra le parti che se la contendono si rivolgono all’ethnos e spesso avanzano “diritti storici” che, per farla breve, possono essere sintetizzati nell’espressione “c’eravamo prima noi”.

Dove le basi dell’ethnos sono prove archeologiche, supportate da documenti storici e tradizioni, allora naturalmente si gioca molto su questo. Ma dove una simile base manca diventa necessario fare appello a testimonianze del passato deboli, spesso poco attendibili, che possono prendere la forma di finzioni, ricordi lontani, e che possono essere chiamati miti. L’imprecisione del mito comporta che coloro che lo utilizzano possono ricamare sul passato a piacimento, nel tentativo di procurarsi un atto costitutivo legittimante per il popolo. La mutevolezza del passato è centrale per il mito. Metodologicamente, gli argomenti possono essere aggiustati per ottenere le risposte che si desiderano. Per la sua stessa natura, il mito è suscettibile di contestazione ma, quando viene contestato, i suoi sostenitori sentono minacciata la propria etnicità e perciò compensano in modo ancor più eccessivo nella direzione opposta.

Il 12 marzo 1987, il quotidiano romeno Romania liberă e il settimanale letterario Romania literară riportavano un articolo di due pagine scritto da tre eminenti storici romeni che condannavano ciò che essi chiamavano “la consapevole falsificazione” della storia della Transilvania, presentata in uno studio della provincia in tre volumi che era apparso alla fine dell’anno precedente sotto gli auspici dell’Accademia Ungherese delle Scienze. La “rabbia” romena sembra essere stata generata in special modo dal fatto che il curatore della storia fosse il ministro dell’Educazione ungherese, e che quindi si riteneva che il lavoro avesse avuto l’approvazione del governo. L’accusa di “consapevole falsificazione” era basata, fra le altre distorsioni riscontrate, sulla presunta negazione delle prove dell’esistenza di una popolazione romena in Transilvania prima dell’inizio del XIII secolo, il periodo nel quale gli storici ungheresi sostengono che i romeni avessero attraversato da sud i Carpazi per stabilirsi nella provincia.

È d’altronde comprensibile perché sia gli storici romeni che gli ungheresi dovrebbero guardare alla Transilvania come a una parte integrante della loro patria: per i primi è la culla del popolo romeno, al quale essa ha fornito un rifugio di fronte all’invasione dopo la ritirata dei romani; per i secondi essa rappresenta, per la permanenza di una forma di autonomia, la sopravvivenza di una Ungheria nonostante la conquista ottomana e asburgica del Regno d’Ungheria nei secoli XVI e XVII. […]

La controversia sulla Transilvania dimostra che la patria serve come riferimento per l’identità etnica, anche quando il grosso del popolo vive fuori di essa. Una nazione o un popolo può essere definito come una comunità culturale con la percezione di un’origine comune. Questa percezione di un’ascendenza comune può essere basata sulla storia, su tradizioni, su miti e sull’associazione a una patria.


tratto da Nationalism as Unification. Some Considerations on the Role of the Historian as Nation-Builder, in A. Roccucci (a cura di), La costruzione dello Stato-nazione in Italia, Viella, Roma 2012

 >> pagina 390 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Tutte le nazioni si preoccupano della loro storia.

b) Il “sistema Ikea” di costruzione delle identità nazionali.

c) La nazione nasce da un postulato o da un’invenzione, ma essa vive solo per l’adesione collettiva a questa finzione.

d) La mutevolezza del passato è centrale per il mito.

 >> pagina 391
Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


I meccanismi transnazionali delle costruzioni nazionali La storia come strumento di lotta
TESI
 
ARGOMENTAZIONI
 
PAROLE CHIAVE


 

Dal dibattito storiografico al DEBATE

Lo storico britannico Dennis Deletant sottolinea il ruolo della storiografia nel Nation building con particolare riferimento al caso della Transilvania e sono molti i casi analoghi nel mondo contemporaneo.


a) Creazione dei gruppi di lavoro La classe si divide in due gruppi che sostengono tesi opposte:

Gruppo 1: Gli storici possono avere un ruolo politico nella costruzione dell’idea di “nazione” e nella legittimazione delle rivendicazioni di un popolo e di uno Stato.

Gruppo 2: Gli storici non possono avere un ruolo politico nella costruzione dell’idea di “nazione” e nella legittimazione delle rivendicazioni di un popolo e di uno Stato.


b) Laboratorio di ricerca a casa e in classe Rifletti con l’insegnante su quale possa essere il ruolo degli storici nella promozione dell’idea di “nazione” e nella legittimazione delle rivendicazioni territoriali o politiche di un popolo. Puoi far riferimento al caso transilvano o ad altri casi, per esempio alle polemiche nate dopo gli scavi archeologici israeliani a Gerusalemme Est.


c) Preparazione di argomentazioni e contro-argomentazioni Ciascun gruppo prepara le proprie argomentazioni e riflette sulle possibili repliche alle tesi del gruppo antagonista. Possono essere richiamate in via esemplificativa le argomentazioni utilizzate dagli storici dei brani presenti nel Percorso.


d) Dibattito Ciascun gruppo sceglie uno o più relatori che espongano almeno tre argomentazioni a favore della propria tesi, sostenendole con prove della loro validità (esempi, analogie, fatti concreti, dati statistici, opinioni autorevoli, principi universalmente riconosciuti ecc.). In seguito, ciascun gruppo espone le controargomentazioni rispetto alle argomentazioni antagoniste. Con la guida dell’insegnante si conclude il dibattito con la sintesi e il bilanciamento delle posizioni.

percorso 2

Nazionalismi, nazioni e indifferenza nazionale

Se sono ormai noti i meccanismi di costruzione delle nazioni, meno si sa del rapporto fra nazionalismi, identità nazionali e gli strati inferiori della società. Ciò perché i ceti urbani meno abbienti e le masse rurali sono stati spesso aprioristicamente considerati o non politicizzati e nazionalizzati, o passivi ricettori dei messaggi prodotti da élite o movimenti nazionalisti guidati da membri delle classi superiori. Di recente, le ricerche di Tara Zahra hanno però mostrato complessità e varietà dei rapporti che i ceti inferiori instaurano con l’identità nazionale e i discorsi nazionalisti: consapevole adesione, negoziazione, sino a un’indifferenza che però non implica apoliticità. Parimenti, le analisi di John Breully hanno ragionato sulla dimensione privata e pubblica del nazionalismo, sottolineando il carattere congiunturale e/o strumentale di alcune adesioni ai progetti nazionalisti e definendo le molteplici nature che la dimensione nazionale può assumere in fasi e contesti diversi.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900