Nulla è più “internazionale” della formazione delle identità nazionali. È un paradosso enorme, dal momento che l’irriducibile specificità di ogni identità nazionale è stata pretesto di scontri sanguinosi, eppure identico è il modello, messo a punto nel quadro di intensi scambi internazionali.
Le nazioni moderne si sono costituite in modo diverso da come raccontano le storie ufficiali. Le loro origini non si perdono nella notte dei tempi, nelle età oscure ed eroiche descritte dai capitoli iniziali delle storie nazionali. Neppure la lenta formazione di territori in seguito a conquiste e alleanze è stata all’origine delle nazioni, poiché essa altro non è che la storia tumultuosa dei regni o dei principati. La vera nascita di una nazione è il momento in cui un pugno di individui dichiara che essa esiste e cerca di dimostrarlo. I primi esempi non sono anteriori al XVIII secolo, non essendovi nazioni in senso moderno, cioè politico, prima di questa data. L’idea si inserisce, in realtà, nel quadro di una rivoluzione ideologica. La nazione è concepita come una comunità vasta, tenuta insieme da vincoli che non si riferiscono alla dipendenza da uno stesso sovrano, né all’appartenenza a una stessa religione o a una stessa classe sociale: essa non è determinata dal monarca, la sua esistenza è indipendente dai rischi della storia dinastica o militare. […]
Il processo di formazione identitario consiste nel determinare il patrimonio di ogni nazione e nel diffonderne il culto. La prima fase dell’operazione non è stata così evidente, poiché in realtà gli antenati non avevano redatto un testamento indicante ciò che desideravano trasmettere ai discendenti, ed era oltretutto necessario scegliere fra gli antenati i presunti donatori, ossia trovare ipotetici ascendenti comuni […]. Perché si producesse il nuovo mondo delle nazioni, non era sufficiente inventariarne l’eredità, si doveva piuttosto inventarlo. Ma come? Che cosa era necessario escogitare al fine di dare la testimonianza vivente di un passato prestigioso e l’immagine autorevole della coesione nazionale? Il compito era arduo, di lunga durata e fu svolto collettivamente. Un grande cantiere di sperimentazione, senza capomastro eppure intensamente animato, venne aperto in Europa nel Settecento; esso conobbe l’epoca di maggiore produttività nel secolo successivo e la sua caratteristica fu quella di essere transnazionale. Non vi è stato accordo preventivo o divisione del lavoro; ma ogni singolo gruppo nazionale si mostrava molto attento a quanto facevano i loro simili e rivali, cercando di adattare alle proprie esigenze le idee degli altri e venendo a sua volta imitato, quando aveva scoperto qualcosa di nuovo o era riuscito a migliorare l’esistente. […]
Il risultato della creazione collettiva delle identità nazionali non è un modello unico, ma piuttosto, secondo l’espressione provocatoria del sociologo Orvar Löfgren1, una sorta di kit per il “fai da te”: una serie di declinazioni dell’“anima nazionale” e un insieme di procedure necessarie alla loro elaborazione. Oggi siamo in grado di redigere la lista di elementi simbolici e materiali che una nazione degna di questo nome deve offrire: una storia che stabilisca la continuità con i grandi antenati, una serie di eroi prototipi di virtù nazionali, una lingua, dei monumenti culturali, un folclore, dei luoghi sacri e un paesaggio tipico, una mentalità particolare, delle rappresentazioni ufficiali – inno e bandiera – e delle identificazioni pittoresche – costume, specialità culinarie o animale totemico. Le nazioni che di recente hanno avuto diritto al riconoscimento politico, e soprattutto quelle che ancora lo rivendicano, testimoniano, insieme ai segnali che inviano per attestare la propria esistenza, il carattere prescrittivo di questa lista di priorità identitaria. Il “sistema Ikea” di costruzione delle identità nazionali, che permette assemblaggi differenti a partire dalle stesse categorie elementari, appartiene al dominio pubblico mondiale, avendolo l’Europa esportato nello stesso tempo in cui imponeva alle vecchie colonie il proprio modo di organizzazione politica. […] La nazione nasce da un postulato o da un’invenzione, ma essa vive solo per l’adesione collettiva a questa finzione. I tentativi abortiti sono numerosissimi, mentre i successi sono il frutto di un costante proselitismo che insegna agli individui ciò che sono, li obbliga a conformarsi al modello proposto e li incita a diffondere a loro volta quel sapere collettivo. Il sentimento nazionale è spontaneo solo quando è stato perfettamente interiorizzato: ma per ottenere ciò occorre anzitutto averlo insegnato. La messa a punto di una pedagogia è il risultato di osservazioni basate su esperienze condotte in altre nazioni e trasposte quando sembrava opportuno farlo. […]
Se la perennità della nazione risiede nel popolo, il principe non è altro che un usurpatore o una metamorfosi storica. La sovversione ideologica della legittimità prepara un’evoluzione (e qualche rivoluzione) politica, di pari passo con un cambiamento estetico non meno radicale: per una nuova concezione del mondo, ci vogliono nuovi modi di rappresentazione. L’invenzione delle nazioni coincide così con un’intensa creazione di generi letterari o artistici e di nuove forme espressive. Il ritorno alle origini è in realtà opera di avanguardia. […]
La battaglia contro il classicismo assume ben presto, con abile spostamento, la forma di una lotta contro la tirannia. […] Ossian2 si sente tanto più britannico e innamorato della libertà quanto il nemico da combattere è francese e oppressore: la lotta contro il classicismo si confonde infatti con un’offensiva contro l’egemonia culturale francese. Nell’Europa del Settecento il francese non è soltanto la lingua di Versailles, ma anche quella della maggior parte delle corti europee, attraverso la quale la cultura francese ha potuto imporsi dappertutto come l’espressione più compiuta della cultura letteraria, modello che si può imitare ma non eguagliare; lo splendore del sole francese permette che altrove arrivino soltanto i suoi riflessi, salvo poi ammettere che quella luce è artificiale e ingannatrice.
La lotta contro la cultura unica passa quindi attraverso la confutazione di tutti i fondamenti del modello francese: esso è colto e raffinato, mentre la natura e la semplicità sono le fonti per eccellenza della cultura viva; ha il proprio habitat nei salotti, mentre la natura celebra le capanne; il primo rivendica un’eredità prestigiosa, e la seconda si cerca altre antichità europee; ha la pretesa di condurre i popoli verso la civiltà, ed è accusato di corromperla; crede di essere il compimento supremo, ma viene dichiarato moribondo. […]
Non è un caso se la Gran Bretagna e la Svizzera sono stati i due più accesi focolai di lotta contro l’imperialismo culturale francese, dal momento che erano terra d’asilo delle vittime del suo dispotismo. Gli attacchi contro l’assolutismo culturale e gli appelli alla resistenza prendevano forma nei luoghi all’epoca più avanzati della democrazia politica, non senza trovare eco negli altri paesi e nei settori più progressisti dell’intelligentija3 dello stesso nemico.
tratto da La creazione delle identità nazionali in Europa, Il Mulino, Bologna 2001