Gli storici dell’Europa hanno tentato soprattutto di […] sfidare la posizione privilegiata dello Stato-nazione come soggetto e agente del cambiamento storico.
Nei loro sforzi di esplorare i limiti della nazionalizzazione, gli storici dell’Europa centrale e orientale si sono rivolti in particolare allo studio dei territori di confine, del localismo e del regionalismo.
Inizialmente, gli studi del regionalismo e delle aree di confine nell’Europa moderna si sono largamente focalizzati sul comprendere come le identità locali e regionali fossero state rese compatibili con i più ampi progetti di nazionalizzazione. Alon Confino1, per esempio, ha analizzato come il concetto di Heimat2 in Germania aiutò a consolidare l’unità nazionale tedesca nell’Impero guglielmino. La nozione di Heimat, sostiene Confino, incorporava la nazione nella dimensione locale, consentendo ai cittadini di conciliare le differenti lealtà locali e regionali con il più ampio ideale di unità nazionale tedesca.
Allo stesso modo, i primi studi sulle regioni di confine in Europa, in particolare i Confini di Peter Sahlins3, hanno dimostrato come le comunità nazionali fossero consolidate nella periferia degli Stati-nazione.
Questi studi hanno illuminato le dinamiche dei processi di Nation building che ottennero successo, piuttosto che esplorare i limiti della nazionalizzazione.
Più di recente, gli storici del regionalismo, del localismo e dei territori di confine nell’Europa orientale hanno riscoperto popolazioni e individui che non si facevano trascinare così facilmente dalle forze della nazionalizzazione. […]
Un strategia correlata è stata quella di esaminare la storia della coscienza individuale e della soggettività. Gli storici si sono chiesti fino a che punto gli individui si sentissero davvero nazionali e, per estensione, fino a che punto essi non lo si sentissero. Anche questo approccio ha reso l’indifferenza nazionale più visibile agli storici. […]
Ricostruendo il certosino lavoro di Nation building, questi studiosi hanno definitivamente smentito le tesi dei nazionalisti e hanno costruito un solido consenso fra gli storici sul fatto che le nazioni sono comunità moderne, costruite storicamente e politicamente.
Sebbene questi studiosi abbiano posto sfide insormontabili alle narrative primordialiste del “risveglio nazionale”, essi hanno fatto però poco per mettere in discussione la risonanza delle istanze e delle lealtà nazionaliste in età moderna. Le “comunità immaginate”4 sono diventate così onnipresenti nella ricerca storica che siamo diventati inavvertitamente ciechi agli individui che rimasero del tutto insensibili al richiamo della nazione. Sin dal 1980 la ricerca sulla storia del nazionalismo ha teso prima di tutto ad analizzare il contestato contenuto culturale, politico e sociale delle ideologie e dei discorsi nazionalisti, piuttosto che provare i manifesti limiti dei progetti di nazionalizzazione. Anche quando gli storici affermano che i gruppi nazionali sono comunità immaginate, essi hanno continuato a scrivere la storia in particolare dell’Europa orientale lasciando al centro i gruppi nazionali, analizzando le relazioni fra “i Cechi”, “i Tedeschi”, “i Polacchi”, “gli Sloveni” come se queste collettività fossero autoevidenti.
In breve, può esser tempo di andare oltre le comunità immaginate e di considerare la storia degli individui che rimasero fuori o ai margini di queste comunità. […]
L’obiettivo di questo articolo è perciò storicizzare l’indifferenza nazionale ed esplorarne il potenziale come categoria di analisi, senza rimarcare i confini immaginati fra sfera pubblica (politica) e il mondo privato (apolitico) della “vita quotidiana”, e senza espellere le “non-élite” dalla politica. […]
A primo acchito, può sembrare che l’indifferenza nazionale fosse semplicemente un residuo premoderno di lealtà locali, regionali, dinastiche o religiose che erano state gradualmente spazzate via dalle forze della modernizzazione, dallo State building e dalla moderna politica di massa. Questo assunto, sta ovviamente alla base del paradigma modernista fissato da Anderson, Hobsbawm, Ranger, Gellner e Weber5. In queste ricostruzioni, la nazionalizzazione, cavalcando la modernizzazione, l’industrializzazione e lo State building, appare come un biglietto di sola andata per un’unica destinazione, un omogeneo Stato-nazione. Più di recente la ricerca ha però suggerito che l’indifferenza al nazionalismo fiorì in realtà nell’occhio del ciclone nazionalista nell’Europa del periodo fra 1880 e 1948. Lungi dall’essere un residuo premoderno, l’indifferenza nazionale fu spesso una risposta alla moderna politica di massa. […]
Nella Dalmazia di metà Ottocento, Dominique Reill ha trovato una simile relazione fra l’ascesa di moderni movimenti nazionalisti e una florida cultura di ambiguità nazionale. Molti esponenti delle élite dalmate affermavano convintamente di essere sia italiani che slavi, insistendo sul fatto che il loro speciale destino fosse di mediare fra le due culture. Nel frattempo, in Venezia-Giulia (una regione degli allora Balcani divisa fra l’odierna Croazia, l’Italia e la Slovenia) Pamela Ballinger ha mostrato che anche gli istriani svilupparono identità consapevolmente “ibride” in risposta alle forti pressioni politiche e sociali esercitate dai movimenti nazionalisti in competizione. Nei territori boemi d’inizio Novecento la competizione nazionalista dette vita a una tiratissima asta virtuale per le anime dei bambini. Scuole e istituzioni assistenziali sia ceche che tedesche offrirono ai genitori pasti gratuiti, libri di testo, vestiti e persino regali natalizi per attrarre più iscritti e infoltire i ranghi della nazione. Non è dunque sorprendente che, quando nel 1948 gli fu chiesto delle sue lealtà nazionali, un operaio bilingue rispose con franchezza “dipende da chi offre di più”.
In tutta l’Europa orientale la competizione fra movimenti nazionalisti popolari in realtà favorì l’indifferenza nazionale. Ma le forme di indifferenza nazionale cambiarono drammaticamente nel tempo e secondo i regimi. Per alcuni, in particolare nell’Austria asburgica, l’indifferenza al nazionalismo poteva implicare la completa assenza di lealtà nazionali, la rivendicazione di non essere né ceco né tedesco, né polacco né ruteno6, né tedesco né sloveno. Tuttavia, come hanno mostrato Gerald Stourzh e King, nel tardo XIX secolo lo stesso Stato austriaco iniziò a “multinazionalizzare”, riconoscendo i cosiddetti diritti delle collettività nazionali con lo scopo di ridurre le tensioni nazionali. Ciò rese l’agnosticismo nazionale meno praticabile, soprattutto nelle regioni toccate dai cosiddetti compromessi nazionali di inizio XX secolo (Moravia, Galizia, Bucovina). Una volta che i cittadini erano obbligati a registrare la propria nazionalità per esercitare i diritti civili di base come il voto o l’educazione primaria, restare ai margini della nazione non era infatti più così semplice.
La suddivisione dell’Impero asburgico in sedicenti Stati-nazione avvenuta nel 1918 rese quasi impossibile l’esplicito rifiuto della nazionalità. La dissoluzione dell’Impero austriaco segnò la fine dello stato di indifferenza o neutralità nazionale nell’Europa centrorientale. I governi cecoslovacchi, polacchi e jugoslavi classificarono forzosamente i cittadini, sperando di rafforzare la legittimità dei loro Stati all’interno e a livello internazionale riducendo il numero delle persone considerate parte di minoranze. […]
Data la varietà di comportamenti e attitudini che possono essere raggruppati sotto la definizione di “indifferenza nazionale” è importante chiedersi se il termine sia troppo ampio per essere davvero utile. La coerenza della categoria, credo, è in ultima analisi nell’uso che ne facevano i nazionalisti per mobilitare potenziali seguaci. Indipendentemente da motivazioni e interessi diversi, le persone nazionalmente indifferenti erano denunciate, boicottate e accomunate come se appartenessero a una stessa specie in rapporto alla causa nazionale. Fra i nazionalisti dell’Austria asburgica e degli Stati successori questi irritanti individui erano conosciuti come “ermafroditi”, “anfibi”, “rinnegati”, “utraquisti” e “anime di confine”. […]
L’indifferenza nazionale è perciò una categoria nazionalista fondamentalmente negativa. L’indifferenza nazionale esiste solo agli occhi dell’osservatore nazionalista. Ironicamente, questa non-comunità immaginata fu però portata in vita e istituzionalizzata proprio dai persistenti sforzi dei nazionalisti di sradicarla. Come storici, questo significa che noi abbiamo bisogno di procedere con cautela per non cadere nella trappola di usare categorie nazionaliste relative alla prassi come categorie di analisi. Ciò tuttavia non vuol dire evitare del tutto la categoria di indifferenza nazionale più di quanto non si evitino i termini “nazione e nazionalismo”. Una volta immaginata, l’indifferenza al nazionalismo divenne una categoria reale e significativa come la nazione stessa, ed ebbe rilevanti conseguenze sociali, culturali e politiche.
tratto da Imagined Noncommunities: National Indifference as a Category of Analysis, “Slavic Review”, vol. 69, 1 (2010)