John Breuilly - Il nazionalismo “dal basso”

percorsi storiografici

testo 1
John Breuilly

Il nazionalismo “dal basso”

Esperto di nazionalismi e processi di unificazione nazionale, lo storico britannico John Breully presenta uno degli approcci più innovativi al problema, quello “dal basso”. Nel farlo, egli affronta alcune cruciali questioni metodologiche (i nessi fra nazionalismo “privato” e “pubblico”, il valore di azioni apparentemente sintomo di convinta adesione al nazionalismo) e propone la distinzione fra un “nazionalismo motivazionale” e un “nazionalismo strutturale”, di cui tratteggia le caratteristiche e i vicendevoli rapporti.

Finché gli studi sul nazionalismo prendono in considerazione il significato popolare del nazionalismo – sia nelle forme dirette, come il supporto di massa ai movimenti di opposizione nazionalista o ai regimi nazionalisti, sia in forme più diffuse come indagini sul nazionalismo “banale” – essi di solito lo fanno attraverso assunti un po’ forzati. Alta partecipazione a cerimonie e festival nazionalisti, sostegno a politici nazionalisti e a governi nazionali o l’immagine della nazione nei media popolari sono ritenuti fattori tali da indicare accordo fra pubblico e organizzatori, lettori e editori, votanti e politici. Tuttavia, questa consonanza richiede prove dirette. Uno non può assumere che risposte popolari “positive” come voti per un partito nazionalista, l’arruolamento volontario in massa allo scoppio di una guerra o la partecipazione di massa a manifestazioni nazionaliste denotino congruenza fra le ragioni e i valori di quanti lanciano gli appelli nazionalisti e quanti li supportano votandoli, arruolandosi o dimostrando. Piuttosto che nell’affinità, la spiegazione potrebbe stare nella convergenza fra percezioni e azioni differenti.

Per esempio, uno studio sul volontariato militare in Sudafrica durante la Guerra boera ha dimostrato che i tassi di volontariato erano più alti in tempi e luoghi di maggiore disoccupazione. Può essere che siano specifiche politiche economiche e sociali ad attrarre voti, anche se il partito in questione si percepisce principalmente in termini fortemente nazionalisti. La gente può partecipare a manifestazioni o arruolarsi nelle forze armate perché un ente autoritario (una chiesa, lo Stato) le ordina di farlo. Così che il primo e più ovvio prerequisito di qualsiasi progetto per studiare “il nazionalismo popolare” o “il nazionalismo dal basso” è di natura empirica: riconoscere che il supporto popolare al discorso o alle politiche nazionaliste non fornisce in sé prove circa il ruolo del nazionalismo in quell’azione popolare. […]

Il vantaggio di questo approccio è che non si è vincolati a una serie di assunti circa gli interessi di classe che inizialmente escludono il nazionalismo, il quale di conseguenza deve essere inserito all’interno di una cornice preesistente. I potenziali svantaggi sono che il “gruppo” in questione potrebbe essere ben definito nei termini di qualche situazione contingente piuttosto che secondo ciò che si potrebbe considerare come una stabile caratteristica dell’organizzazione sociale. In più, un elemento “nazionale” è spesso costruito in una situazione specifica – per esempio l’essere in guerra contro un altro Stato-nazione o l’essere una minoranza trattata come non appartenente alla nazione. Simili situazioni possono cambiare rapidamente; per esempio con la fine della guerra. La reale scelta dei soggetti può contribuire all’idea che l’identità sia multipla e mutevole.

Il tipo di collettività che uno sceglie di studiare produrrà delle conseguenze sullo studio, indipendentemente dal tipo di fonti o di tecniche utilizzate. Un passaggio da “classe operaia” a “nomade” o “soldato in prima linea” non è solo un passaggio da un gruppo a un altro, ma a un gruppo definito differentemente e, io penso, ad aspetti differenti di identità nazionale e nazionalismo.

Io partirei facendo tre distinzioni.
Primo, ci sono definizioni di gruppi in termini di situazione o struttura. Gli studi sul nazionalismo popolare, sulle identificazioni nazionali e sulla politica nazionalista di contadini, classe media inferiore e classe operaia sono basati su una qualche nozione di società strutturata nella quale esistono posizioni sociali stabili e, presumibilmente, identità e interessi stabili. Gli studi sui soldati in prima linea o sulle risposte popolari alla minaccia o alla realtà di una guerra sono basati su una situazione, una fase della vita, in cui simili nozioni di stabile identità e interesse sono meno applicabili. […]

Secondo, c’è una rozza ma importante distinzione che penso vada fatta fra nazionalismo con un focus interno e nazionalismo con un focus esterno, specialmente in un mondo di Stati-nazione ormai definiti. In tempo di pace, in condizioni di stabilità all’interno di uno Stato-nazione, il focus è sulle differenze interne nell’ambito di un assodato consenso nazionale, sebbene queste differenze possano anche riguardare diverse concezioni dell’interesse o dell’identità nazionale. Al contrario, in tempo di guerra, c’è spesso un più esplicito consenso, magari forzato, incentrato sul nemico esterno. […]

Infine, c’è una distinzione che va fatta fra identificazione nazionale percepita come un’esperienza o un sentimento, prova della quale si trova di solito in forme di espressione riflessive, spesso “private” come lettere o diari, e nazionalismo come azione collettiva, di solito espresso in forme pubbliche come il voto, il manifestare e il combattere. Un grande problema per lo storico è che un sentimento espresso in una dimensione riflessiva non sempre combacia con le azioni collettive e viceversa. […]

Io suggerisco di fare una distinzione fra nazionalismo “motivazionale” e “strutturale”. Nella prima situazione, io penso che il dualismo sociale-nazionale abbia un certo significato e che una “vicendevole manipolazione” sia la tipica relazione fra politica delle élite e politica popolare (per esempio nel modo in cui la questione nazionale e la questione della terra si sono combinate nelle rivoluzioni del 1848). Nella seconda situazione la nazione, o piuttosto lo Stato-nazione, costituisce un campo nel quale i movimenti popolari agiscono, piuttosto che funzionare come motivazione specifica dell’agire. La lotta di classe o altri tipi di conflitto, piuttosto che indebolire, possono allora rafforzare la rilevanza popolare del nazionalismo. Io suggerirei anche che molto spesso il passaggio da nazionalismo motivazionale a nazionalismo strutturale si lega a quello da un nazionalismo d’opposizione a un nazionalismo all’interno dello Stato-nazione. […]

Il nazionalismo come esplicita forma politica è originariamente oppositivo ed elitista. Il suo linguaggio è nuovo e strano, anche se insiste nel presentarsi come antico e radicato nella società. […] Una simile politica ottiene una risonanza popolare non attraverso gli appelli e gli argomenti dei suoi originari fautori appartenenti all’élite, ma o perché autorità più solide se ne appropriano selettivamente, o/e perché essa stabilisce un legame pragmatico con interessi prioritari per la gente. […] Ciò che è interessante, piuttosto, è che il nazionalismo esplicito resta spesso una forma politica elitaria che incontra forti resistenze, per esempio nella formazione di partiti cattolici popolari e, come abbiamo già visto, di partiti socialisti o laburisti. Invece, ciò che conta è la crescente importanza del nazionale come campo all’interno del quale queste nuove forme di politica prendono forma. La nozione di campo di fatto implica forze diverse che agiscono l’una contro l’altra. Ciò che importa è che, sempre più, questo campo definisce e limita ciò che le forze in lotta fra loro immaginano di poter fare o ottenere. […]

Io ho affermato che ci possono essere alleanze pragmatiche fra interessi nazionalisti e popolari, come nel 1848, ma queste sono fragili e possono essere rapidamente minate da cambiamenti nelle coalizioni fondate su interessi, come quando le dinastie concedono ai contadini l’emancipazione. Io sono scettico circa l’argomento nazionalista secondo cui c’è un interesse e un’identità comune a fornire la spiegazione di fondo. Semmai, io proporrei due spiegazioni. La prima è che, di fatto, lo Stato struttura in chiave nazionale la politica al suo interno. Per esempio, io suggerirei che il nazionalismo popolare slavo si sia sviluppato con forza molto maggiore nell’Impero asburgico che nell’Impero ottomano o in quello Romanov1 perché, senza dubbio nella sua parte occidentale, la dinastia ha permesso e persino incoraggiato un’articolazione nazionale della politica, iniziando con la politica locale (come per esempio nelle città della Boemia). Poiché le élite politiche locali giunsero a essere strutturate secondo linee nazionali, ciò di conseguenza forgiò le percezioni politiche dei nuovi partecipanti alla politica2. […] Naturalmente ci sono segni distintivi nazionali (come la lingua), e questi spesso coincidono con i conflitti di interesse (per esempio i contadini slavofoni e i padroni terrieri che parlavano ungherese o tedesco), ma c’è un distinto processo politico che può convertire alleanze pragmatiche sottese a un nazionalismo motivazionale in nazionalismi strutturali popolari.

La seconda spiegazione riguarda il fatto che […] sin dagli ultimi decenni del secolo, lo Stato-nazione fu generalmente considerato come l’opzione predefinita per l’esercizio del potere sovrano su un territorio e una popolazione, in altre parole, il nazionalismo strutturale era dominante.


tratto da What Does It Mean to Say that Nationalism Is “Popular”?, in M. Van Ginderachter, M. Beyen (a cura di), Nationhood from Below. Europe in the Long Nineteenth Century, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2012

 >> pagina 394
testo 2
Tara Zahra

L’indifferenza nazionale

Lo studio dei processi di nazionalizzazione e dei grandi imperi multilingue ha suggerito particolare prudenza nel valutare il grado di adesione della popolazione al discorso nazionale. La storica statunitense Tara Zahra suggerisce perciò l’uso della categoria di “indifferenza nazionale” per descrivere i molti che, non solo nell’Impero asburgico, ebbero atteggiamenti volutamente ambigui o mostrarono disinteresse verso ogni appartenenza nazionale.

Gli storici dell’Europa hanno tentato soprattutto di […] sfidare la posizione privilegiata dello Stato-nazione come soggetto e agente del cambiamento storico.

Nei loro sforzi di esplorare i limiti della nazionalizzazione, gli storici dell’Europa centrale e orientale si sono rivolti in particolare allo studio dei territori di confine, del localismo e del regionalismo.

Inizialmente, gli studi del regionalismo e delle aree di confine nell’Europa moderna si sono largamente focalizzati sul comprendere come le identità locali e regionali fossero state rese compatibili con i più ampi progetti di nazionalizzazione. Alon Confino1, per esempio, ha analizzato come il concetto di Heimat2 in Germania aiutò a consolidare l’unità nazionale tedesca nell’Impero guglielmino. La nozione di Heimat, sostiene Confino, incorporava la nazione nella dimensione locale, consentendo ai cittadini di conciliare le differenti lealtà locali e regionali con il più ampio ideale di unità nazionale tedesca.

Allo stesso modo, i primi studi sulle regioni di confine in Europa, in particolare i Confini di Peter Sahlins3, hanno dimostrato come le comunità nazionali fossero consolidate nella periferia degli Stati-nazione.

Questi studi hanno illuminato le dinamiche dei processi di Nation building che ottennero successo, piuttosto che esplorare i limiti della nazionalizzazione.

Più di recente, gli storici del regionalismo, del localismo e dei territori di confine nell’Europa orientale hanno riscoperto popolazioni e individui che non si facevano trascinare così facilmente dalle forze della nazionalizzazione. […]

Un strategia correlata è stata quella di esaminare la storia della coscienza individuale e della soggettività. Gli storici si sono chiesti fino a che punto gli individui si sentissero davvero nazionali e, per estensione, fino a che punto essi non lo si sentissero. Anche questo approccio ha reso l’indifferenza nazionale più visibile agli storici. […]

Ricostruendo il certosino lavoro di Nation building, questi studiosi hanno definitivamente smentito le tesi dei nazionalisti e hanno costruito un solido consenso fra gli storici sul fatto che le nazioni sono comunità moderne, costruite storicamente e politicamente.

Sebbene questi studiosi abbiano posto sfide insormontabili alle narrative primordialiste del “risveglio nazionale”, essi hanno fatto però poco per mettere in discussione la risonanza delle istanze e delle lealtà nazionaliste in età moderna. Le “comunità immaginate”4 sono diventate così onnipresenti nella ricerca storica che siamo diventati inavvertitamente ciechi agli individui che rimasero del tutto insensibili al richiamo della nazione. Sin dal 1980 la ricerca sulla storia del nazionalismo ha teso prima di tutto ad analizzare il contestato contenuto culturale, politico e sociale delle ideologie e dei discorsi nazionalisti, piuttosto che provare i manifesti limiti dei progetti di nazionalizzazione. Anche quando gli storici affermano che i gruppi nazionali sono comunità immaginate, essi hanno continuato a scrivere la storia in particolare dell’Europa orientale lasciando al centro i gruppi nazionali, analizzando le relazioni fra “i Cechi”, “i Tedeschi”, “i Polacchi”, “gli Sloveni” come se queste collettività fossero autoevidenti.

In breve, può esser tempo di andare oltre le comunità immaginate e di considerare la storia degli individui che rimasero fuori o ai margini di queste comunità. […]

L’obiettivo di questo articolo è perciò storicizzare l’indifferenza nazionale ed esplorarne il potenziale come categoria di analisi, senza rimarcare i confini immaginati fra sfera pubblica (politica) e il mondo privato (apolitico) della “vita quotidiana”, e senza espellere le “non-élite” dalla politica. […]

A primo acchito, può sembrare che l’indifferenza nazionale fosse semplicemente un residuo premoderno di lealtà locali, regionali, dinastiche o religiose che erano state gradualmente spazzate via dalle forze della modernizzazione, dallo State building e dalla moderna politica di massa. Questo assunto, sta ovviamente alla base del paradigma modernista fissato da Anderson, Hobsbawm, Ranger, Gellner e Weber5. In queste ricostruzioni, la nazionalizzazione, cavalcando la modernizzazione, l’industrializzazione e lo State building, appare come un biglietto di sola andata per un’unica destinazione, un omogeneo Stato-nazione. Più di recente la ricerca ha però suggerito che l’indifferenza al nazionalismo fiorì in realtà nell’occhio del ciclone nazionalista nell’Europa del periodo fra 1880 e 1948. Lungi dall’essere un residuo premoderno, l’indifferenza nazionale fu spesso una risposta alla moderna politica di massa. […]

Nella Dalmazia di metà Ottocento, Dominique Reill ha trovato una simile relazione fra l’ascesa di moderni movimenti nazionalisti e una florida cultura di ambiguità nazionale. Molti esponenti delle élite dalmate affermavano convintamente di essere sia italiani che slavi, insistendo sul fatto che il loro speciale destino fosse di mediare fra le due culture. Nel frattempo, in Venezia-Giulia (una regione degli allora Balcani divisa fra l’odierna Croazia, l’Italia e la Slovenia) Pamela Ballinger ha mostrato che anche gli istriani svilupparono identità consapevolmente “ibride” in risposta alle forti pressioni politiche e sociali esercitate dai movimenti nazionalisti in competizione. Nei territori boemi d’inizio Novecento la competizione nazionalista dette vita a una tiratissima asta virtuale per le anime dei bambini. Scuole e istituzioni assistenziali sia ceche che tedesche offrirono ai genitori pasti gratuiti, libri di testo, vestiti e persino regali natalizi per attrarre più iscritti e infoltire i ranghi della nazione. Non è dunque sorprendente che, quando nel 1948 gli fu chiesto delle sue lealtà nazionali, un operaio bilingue rispose con franchezza “dipende da chi offre di più”.

In tutta l’Europa orientale la competizione fra movimenti nazionalisti popolari in realtà favorì l’indifferenza nazionale. Ma le forme di indifferenza nazionale cambiarono drammaticamente nel tempo e secondo i regimi. Per alcuni, in particolare nell’Austria asburgica, l’indifferenza al nazionalismo poteva implicare la completa assenza di lealtà nazionali, la rivendicazione di non essere né ceco né tedesco, né polacco né ruteno6, né tedesco né sloveno. Tuttavia, come hanno mostrato Gerald Stourzh e King, nel tardo XIX secolo lo stesso Stato austriaco iniziò a “multinazionalizzare”, riconoscendo i cosiddetti diritti delle collettività nazionali con lo scopo di ridurre le tensioni nazionali. Ciò rese l’agnosticismo nazionale meno praticabile, soprattutto nelle regioni toccate dai cosiddetti compromessi nazionali di inizio XX secolo (Moravia, Galizia, Bucovina). Una volta che i cittadini erano obbligati a registrare la propria nazionalità per esercitare i diritti civili di base come il voto o l’educazione primaria, restare ai margini della nazione non era infatti più così semplice.

La suddivisione dell’Impero asburgico in sedicenti Stati-nazione avvenuta nel 1918 rese quasi impossibile l’esplicito rifiuto della nazionalità. La dissoluzione dell’Impero austriaco segnò la fine dello stato di indifferenza o neutralità nazionale nell’Europa centrorientale. I governi cecoslovacchi, polacchi e jugoslavi classificarono forzosamente i cittadini, sperando di rafforzare la legittimità dei loro Stati all’interno e a livello internazionale riducendo il numero delle persone considerate parte di minoranze. […]

Data la varietà di comportamenti e attitudini che possono essere raggruppati sotto la definizione di “indifferenza nazionale” è importante chiedersi se il termine sia troppo ampio per essere davvero utile. La coerenza della categoria, credo, è in ultima analisi nell’uso che ne facevano i nazionalisti per mobilitare potenziali seguaci. Indipendentemente da motivazioni e interessi diversi, le persone nazionalmente indifferenti erano denunciate, boicottate e accomunate come se appartenessero a una stessa specie in rapporto alla causa nazionale. Fra i nazionalisti dell’Austria asburgica e degli Stati successori questi irritanti individui erano conosciuti come “ermafroditi”, “anfibi”, “rinnegati”, “utraquisti” e “anime di confine”. […]

L’indifferenza nazionale è perciò una categoria nazionalista fondamentalmente negativa. L’indifferenza nazionale esiste solo agli occhi dell’osservatore nazionalista. Ironicamente, questa non-comunità immaginata fu però portata in vita e istituzionalizzata proprio dai persistenti sforzi dei nazionalisti di sradicarla. Come storici, questo significa che noi abbiamo bisogno di procedere con cautela per non cadere nella trappola di usare categorie nazionaliste relative alla prassi come categorie di analisi. Ciò tuttavia non vuol dire evitare del tutto la categoria di indifferenza nazionale più di quanto non si evitino i termini “nazione e nazionalismo”. Una volta immaginata, l’indifferenza al nazionalismo divenne una categoria reale e significativa come la nazione stessa, ed ebbe rilevanti conseguenze sociali, culturali e politiche.


tratto da Imagined Noncommunities: National Indifference as a Category of Analysis, “Slavic Review”, vol. 69, 1 (2010)

 >> pagina 397 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Indifferenza nazionale.

b) Non-comunità immaginata.

c) Distinzione fra nazionalismo “motivazionale” e “strutturale”.

d) Il nazionalismo come esplicita forma politica è originariamente oppositivo ed elitista.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

Il nazionalismo “dal basso”

L’indifferenza nazionale

TESI

   

ARGOMENTAZIONI

   

PAROLE CHIAVE

   
RIASSUMERE un testo argomentativo

Dopo aver schematizzato i saggi con l’aiuto della tabella dell’esercizio precedente, suddividi i due testi in paragrafi e assegna a ciascun paragrafo un titolo. A partire da questi paragrafi sviluppa un testo di mezza pagina di quaderno che riassuma le argomentazioni dei due brani proposti.


  Il nazionalismo “dal basso”

L’indifferenza nazionale

Paragrafo 1    
Paragrafo 2    
Paragrafo 3    

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900