1.1 Scienza, fede e politica in età moderna

Per riprendere il filo…

Il nuovo assetto politico inglese successivo alla “Gloriosa rivoluzione” e il tramonto del potere di Luigi XIV avevano accompagnato l’Europa verso un’epoca segnata da importanti cambiamenti in campo politico e culturale. Dal mondo delle scienze, delle arti, della filosofia cominciarono a nascere nuove sensibilità, sempre più critiche nei confronti delle strutture e, talvolta, degli stessi principi fondativi del potere monarchico e di quello ecclesiastico. Le guerre di successione (spagnola, polacca e austriaca) avevano mutato il quadro delle egemonie continentali, consolidando il potere degli Asburgo e contribuendo, al contempo, a indebolire il ruolo della Santa Sede. Grazie a una solida rete di alleanze, la Chiesa di Roma si era infatti dimostrata capace di influenzare i rapporti fra le grandi potenze e di conservare le sue prerogative nei paesi di confessione cattolica. Essa, però, si trovò ben presto a fronteggiare tentativi sempre più risoluti di limitare il potere del clero nel corpo sociale. I segni di questa crisi furono particolarmente visibili nella penisola italiana, dove alcune dinastie tradizionalmente vicine al papato – come quella medicea – si estinsero lasciando il posto a case regnanti straniere inclini a riorganizzare gli apparati produttivi, burocratici e giudiziari dello Stato.

1.1 Scienza, fede e politica in età moderna

La “crisi della coscienza europea” e l’inizio del cambiamento

La diffusione dell’Illuminismo inaugurò un’epoca di grandi cambiamenti per la vita culturale, politica ed economica delle società europee. La nuova atmosfera traeva le sue origini già negli ultimi decenni del Seicento, nel periodo che ancora oggi gli storici tendono a definire come “crisi della coscienza europea” [▶ idee]. La rivoluzione scientifica del XVII secolo aveva favorito lo sviluppo di metodi di indagine fondati sull’osservazione diretta della realtà, consentendo di leggere il mondo come un organismo complesso e interpretabile attraverso strumenti matematici. Il rapporto fra scienza e fede fu radicalmente ridefinito, al punto di indurre molti pensatori a distinguere fra l’universo spirituale e quello materiale, fino ad affermare l’indipendenza dell’indagine razionale rispetto alle dottrine religiose.

  idee

La crisi della coscienza europea

Il concetto di “crisi della coscienza europea” è stato elaborato dallo storico francese Paul Hazard (1878-1944) in un famoso saggio pubblicato nel 1935.

L’autore intendeva ricostruire alcune delle principali trasformazioni che interessarono la società del Vecchio continente: la messa in discussione dell’autorità dei monarchi, lo sviluppo di dibattiti sul diritto, delle scienze sperimentali, l’affermazione di principi di tolleranza che passavano anche attraverso l’interpretazione critica dei classici antichi e dei testi sacri.

Protagonisti di questa nuova atmosfera furono pensatori come John Locke, Pierre Bayle e Baruch Spinoza, che elaborarono teorie sul rapporto fra morale e religione, o come il teologo John Toland (1670-1722), che metteva in discussione la stessa Bibbia, minando così le fondamenta del potere ecclesiastico.

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La messa in discussione dei paradigmi tradizionali

Le scoperte di Isaac Newton contribuirono a trasformare in profondità le conoscenze sul mondo naturale. I Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) e l’Ottica (1704) sancirono l’avanzata di una visione meccanicistica dell’universo. In base a tale visione, la matematica si affermava come strumento finalizzato a creare modelli astratti capaci di rendere intellegibile e misurabile il mondo.

L’osservazione diretta si accompagnava quindi a una profonda riflessione teorica, volta a conferire alla nuova scienza una solida base filosofica e metodologica. Nonostante le critiche pervenute dagli ambienti tradizionalisti dell’intero continente, il pensiero di Newton si impose nelle università più prestigiose e nei principali sodalizi scientifici, come la Royal Society inglese, fondata nel 1662 con il beneplacito della corona. In Francia le diffidenze rimasero forti e si dovette attendere gli anni Trenta del Settecento per cominciare ad avere le prime adesioni convinte. In Olanda diversi allievi di Newton si impegnarono nella compilazione di manuali che diffondevano i suoi insegnamenti. In Italia si manifestarono forti resistenze, soprattutto negli ambienti ecclesiastici.

Nel contesto olandese e in quello inglese si intravidero i fermenti più rilevanti di opposizione alle ortodossie culturali del tempo: il filosofo di origine ebraica Baruch Spinoza espresse nel suo Tractatus theologico-politicus (1670) il bisogno di autonomia della ragione contro i dogmi imposti dalle Chiese, affermando allo stesso tempo la libertà di pensiero [ 1].

L’intellettuale ugonotto Pierre Bayle – allontanatosi dall’infuocato clima francese che portò alla revoca dell’Editto di Nantes del 1685, – si stabilì a Rotterdam dove si impegnò in prima persona nella lotta per la tolleranza, affermando che le virtù dell’individuo erano indipendenti dalle credenze religiose. Lavorò inoltre alla composizione del suo Dizionario storico-critico (1697-1702), con il quale cercò di evidenziare come molti procedimenti conoscitivi del suo tempo rimanessero limitati e contraddittori, troppo ancorati alla tradizione e non abbastanza legittimati da una reale autonomia di giudizio.

Il libertinismo

Un ruolo importante fu giocato anche dalla cultura libertina, sviluppatasi fra Italia e Francia già nel XVI secolo e giunta a piena maturazione in quello successivo. Pur non avendo un pensiero organico, i libertini erano accomunati dalla critica ai vincoli imposti dalla fede – particolarmente forti erano le loro posizioni contro le credenze nei miracoli e nei santi –, dalla messa in discussione dell’immortalità dell’anima, dalla difesa etica della libertà interiore, che talvolta era nascosta dietro un apparente conformismo esteriore (“doppia morale”). L’adesione al  materialismo di ispirazione antica si collegava spesso al deismo, fondato sulla convinzione razionale dell’esistenza di un principio ordinatore di natura divina e sulla critica alle Chiese, considerate come propagatrici di superstizioni spacciate come Rivelazione. 

Alcuni pensatori sconfinarono nell’ateismo o nella critica radicale alle imposture dell’ordine sacerdotale, arrivando a definire le religioni come strumento per ingannare e sottomettere gli uomini. Si giunse, così, a emancipare il pensiero dal peso della tradizione, ma vi furono anche risvolti importanti sul piano sociale: il rispetto delle tradizioni familiari (alleanze matrimoniali, difesa dell’onore e del patrimonio del casato) perse così la sua inviolabilità, e anche i comportamenti sessuali furono attraversati da fasi di disobbedienza e trasgressione, capaci di aprire la strada a fenomeni come la diffusione della letteratura erotica [ 2].

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Nuove basi per il governo civile
Fra Sei e Settecento anche il pensiero politico conobbe importanti evoluzioni. Nel 1690 videro la luce i Due trattati sul governo civile del pensatore inglese John Locke. In essi, Locke affermava l’idea di una legge naturale universale obbediente alle regole della ragione e non dettata da Dio. Gli uomini sono titolari di diritti – come quello alla proprietà – precedenti la costituzione del corpo sociale e che devono essere, quindi, garantiti dallo Stato contro ogni tentativo di usurpazione.

In questa prospettiva, l’iniziativa politica ed economica deve essere completamente priva di ostacoli, con l’unico limite del rispetto della libertà altrui. I poteri di governo devono essere separati: quello legislativo deve essere esercitato da assemblee rappresentative del popolo; quello esecutivo, ancora saldamente legato a quello giudiziario, resta nelle mani del sovrano e dei suoi ministri.

Una delle eredità più importanti del pensiero lockiano fu anche la separazione della sfera religiosa da quella statuale. Le Chiese, secondo queste linee di pensiero, si configuravano come associazioni private di credenti che non dovevano avere alcun potere di coercizione o controllo sociale: si aderiva a una confessione per libera scelta e non per regole stabilite da monarchi o sacerdoti. Nell’opera intitolata La ragionevolezza del cristianesimo rivelata nelle Sacre Scritture (1695), Locke cercò tuttavia di dimostrare che la fede più praticata dagli europei, nelle sue varie confessioni (cattolica, protestante, ortodossa), era superiore alle altre perché l’osservanza dei suoi precetti morali era in grado di preservare la solidità del corpo sociale.

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Suggestioni importanti arrivarono anche dal pietismo, nato dalle riflessioni dei teologi protestanti tedeschi Philipp Spener (1635-1705) e August Hermann Francke (1635-1727), così come da circoli di lettura privata della Bibbia che, mostrando qualche punto in comune con il  giansenismo, ponevano attenzione alla riflessione interiore: pur rimanendo molto lontani dal razionalismo, i seguaci di questo movimento compresero l’importanza della costruzione di una religione capace di farsi maestra di buoni comportamenti.

I poteri del metodo matematico-deduttivo e la fiducia nella ragione furono, sempre in area germanica, al centro della riflessione del giurista e teologo Christian Wolff (1697-1754), che nel 1712 pubblicò i Pensieri razionali sulle forze dell’intelletto umano in lingua tedesca, favorendo anche l’inclusione dei ceti medi nel dibattito. Nell’opera egli sosteneva l’autonomia della morale dalla religione, ma senza consumare rotture nette con il cristianesimo: il testo era chiaramente ispirato alle idee circolanti nella vivace vita accademica berlinese, che aveva uno dei suoi massimi esponenti nel celebre filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716). Quest’ultimo, pur portando avanti una ferrea difesa della ragione, riconduceva le sue analisi a un “mondo” creato da Dio che risultava essere “il migliore fra quelli possibili”.

Cultura, politica e società in Italia

Il rapporto fra religione, filosofia e indagine scientifica si rivelò un nodo particolarmente problematico in ambito cattolico, roccaforte della cultura tradizionale. Dal punto di vista politico, nel contesto italiano le guerre di successione avevano sancito l’inizio di una sostanziale egemonia austriaca a fronte di un declino dell’influenza spagnola, che si accompagnò anche a un indebolimento della Santa Sede nello scacchiere politico europeo, soprattutto in relazione alla capacità di orientare le decisioni sui rapporti fra le grandi potenze.

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In questo nuovo scenario si mosse l’archivista e bibliotecario modenese Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), uno degli intellettuali più attivi del primo Settecento. Muratori fu molto abile nello stabilire contatti con altri letterati europei, mostrando di credere profondamente nell’appartenenza a una ideale e comune “Repubblica delle lettere”. Nei suoi trattati affrontò temi religiosi e politici, promuovendo una religiosità morigerata e lontana dagli eccessi e dall’esteriorità. Egli cercò, inoltre, di proporre un diritto fondato su criteri di equità e saldi principi morali, spingendo i governi a dare priorità al benessere dell’intero corpo dei sudditi.

Cruciale fu anche la riflessione sul rapporto fra Chiesa e Stato che sfociò nello sviluppo del pensiero cosiddetto “anticurialista”, il quale rivendicava maggiore potere per le autorità civili, ritenute di frequente subalterne rispetto alle influenze clericali. Queste tendenze trovarono terreno fertile soprattutto nel Regno di Napoli dove operò il filosofo, storico e giurista Giambattista Vico (1668-1744). Vico usò la sua posizione di docente universitario per entrare nel dibattito pubblico: analizzò le leggi che avevano caratterizzato lo sviluppo delle società umane nel corso della storia cercando di trarne indicazioni utili per migliorare la vita della collettività.

Nel 1723 apparve un’opera destinata a segnare il movimento anticurialista: L’Istoria civile del Regno di Napoli di Pietro Giannone (1676-1748) [ 3]. Nel celebre scritto, l’autore difese a spada tratta i diritti del potere secolare contro le usurpazioni ecclesiastiche, divenendo oggetto in un primo momento di violente contestazioni da parte degli ambienti conservatori e successivamente di una vera e propria persecuzione.

1.2 La diffusione delle idee

Luoghi di incontro, scambi di idee
Le sollecitazioni derivanti da questa fase che abbiamo definito “crisi della coscienza europea” trovarono ampia diffusione grazie a una maggiore capacità di circolazione delle idee [ 4]. Soprattutto in aree segnate da un particolare dinamismo come l’Europa centrosettentrionale e occidentale, l’espansione economica, l’ascesa della classe borghese industriale e mercantile, lo sviluppo demografico e la conseguente urbanizzazione favorirono la circolazione più veloce di merci e prodotti culturali nonché la crescita dell’alfabetizzazione e dell’istruzione.

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La riforma protestante aveva già giocato un ruolo importante in questo senso, anche grazie alla diffusione delle Sacre Scritture in volgare. Essa aveva, infatti, stimolato una maggiore dimestichezza con la comunicazione e il testo scritto. Le lingue volgari avevano quindi progressivamente soppiantato il latino per la loro capacità di essere comprese in diversi contesti: fra queste, fu il francese ad assumere un’importanza sempre maggiore nel Settecento.

Non possiamo stabilire con certezza quante persone in più rispetto al passato riuscirono ad acquisire la capacità di leggere o scrivere: abbiamo tuttavia diversi indizi significativi come l’aumento dei titoli pubblicati, la diffusione di biblioteche e fiere del libro. È per esempio certo che ci fu una trasformazione dei costumi che assegnava un ruolo diverso al testo manoscritto o stampato.

Generi vecchi e nuovi: il romanzo moderno
La lettura ad alta voce di opere che venivano ripetute e memorizzate fu affiancata, in maniera crescente, da nuove forme di fruizione del testo, certamente più superficiali ma anche più veloci, fondate sulla capacità di sfogliare e scorrere le pagine trattenendo solo alcune informazioni giudicate essenziali ed escludendo molti dettagli. Anche i generi e le forme di comunicazione si andavano evolvendo. Rimaneva infatti forte la diffusione di biografie di uomini illustri, almanacchi, calendari, testi devozionali, prontuari (manualetti o opuscoli contenenti le informazioni necessarie per comprendere un argomento o una professione), classici antichi e medievali, ma acquistava consistenza una produzione periodica a cadenza semiquotidiana, settimanale o mensile (le gazzette, i diari, gli “avvisi”) che conviveva con la persistente fortuna di storie edificanti, libri di viaggio, resoconti di fatti macabri, spaventosi o più genericamente sensazionali, scandali politici, storie di contenuto pornografico.

Vecchi e nuovi fruitori del libro – soprattutto le borghesie, che conquistavano sempre più spazi di azione nelle società europee, imponendosi come produttrici e consumatrici del sapere – offrirono il loro consenso anche a nuove narrazioni romanzesche le quali, a differenza di quanto era accaduto in passato, mettevano da parte elementi fantasiosi o sovrannaturali: sulla scia del successo di  novel come Robinson Crusoe e Moll Flanders del giornalista e commerciante inglese Daniel Defoe [▶ FONTI], autori di diversi paesi cominciarono a privilegiare trame avventurose ma tutto sommato verosimili, costruite intorno a personaggi inclini tanto a commettere errori quanto a pentirsi, utili quindi a offrire al pubblico importanti precetti di vita. Non a caso, intorno a questo genere – destinato a diventare uno dei più popolari del secolo, oltre a essere preferito dagli illuministi come strumento di diffusione delle loro idee – si svilupparono aspri dibattiti che coinvolsero moralisti, teologi e filosofi: pur riconoscendo le potenzialità educative di certe narrazioni, molti ritenevano che i lettori potessero essere indotti a imitare le deviazioni e le trasgressioni dei loro beniamini letterari.

FONTI

Gli errori di Moll Flanders e il potere persuasivo del romanzo

Il passo che segue è tratto dal celebre romanzo Moll Flanders di Daniel Defoe. Nella Prefazione l’autore, con molte cautele, si rivolge a un lettore avveduto, capace di fare buon uso dell’opera e di distinguere fra la tentazione di imitare le malefatte della protagonista – fra le sue peripezie, arriva a commettere furti e a sposare il fratello – piuttosto che imparare dai suoi errori.

È stata […] presa ogni precauzione possibile perché non si trovasse alcuna idea indecente, alcuna piega impudica nel nuovo abito di questa storia, neanche nei passaggi peggiori del racconto […]; e poiché si può fare un ottimo uso anche della storia peggiore, la morale, si spera, manterrà il lettore serio anche laddove la storia potrebbe fare il contrario. Nel presentare la storia del pentimento per una vita di peccati si richiede necessariamente che la parte peccaminosa sia tanto peccaminosa quanto la storia possa tollerarlo; solo così si può far luce e conferire bellezza alla parte del pentimento, che è di certo la migliore e la più luminosa, se raccontata con uguale spirito e vivacità.

[…] Ma poiché quest’opera è raccomandata in primo luogo a coloro che sanno come leggerla, e come farne buon uso, cosa che la storia in ogni sua parte suggerisce loro, si spera che tali lettori trovino molto più piacere nella morale che nella storiella, nell’applicarne gli insegnamenti più che nel racconto, e nei fini dello scrittore più che nella vita della persona di cui si parla.

C’è, in questa storia, un’abbondanza di vicissitudini dilettevoli, e tutte sono adoperate con profitto. Nel narrarle vi si dà ad arte una piacevole piega che con naturalezza istruisce il lettore, in un senso o nell’altro.


D. Defoe, Moll Flanders, a cura di A. Bibbò, Feltrinelli, Bologna 2016

Le reti della fratellanza massonica

Il miglioramento dell’accesso al sapere e dello scambio di idee favorì la nascita e il consolidamento di istituzioni come la massoneria che, attraverso una fitta rete di logge nate in diverse parti d’Europa, divenne centro di dibattito e nodo propulsore di idee nuove, talvolta di ispirazione esplicitamente meritocratica. Gli affiliati erano strettamente vincolati dal segreto e facevano riferimento a un patrimonio artistico e simbolico condiviso, proponendosi come obiettivo comune unarigenerazione moraleraggiungibile attraverso la guida di unnuovo ceto dirigente, capace di rompere con le consuetudini di governo del passato e di consigliare nella maniera giusta i sovrani [ 5].

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Il primo sodalizio massonico di cui si ha notizia certa nacque a Londra nel 1717 per iniziativa di alcuni pastori protestanti. Il nome free-masonry (“libera muratoria”) era frutto della volontà di richiamare la tradizione delle corporazioni medievali dei muratori, organizzate intorno all’obbligo del segreto e alla distinzione fra diversi gradi interni fondati sulla conoscenza delle tecniche del mestiere. Già nel decennio successivo, numerose logge si formarono in altre aree del continente mettendo in allerta la Chiesa cattolica, che pronunciò una prima condanna ufficiale nel 1738. Il clima repressivo favorì a lungo andare la trasformazione del fenomeno.

Alcune affiliazioni, come per esempio quella degli “Illuminati di Baviera”, assunsero un carattere radicale ed eversivo; altre si avvicinarono a posizioni mistiche e irrazionalistiche; altre ancora favorirono l’emergere di personaggi spregiudicati in cerca di celebrità, pronti a ogni sorta di sotterfugio. Assunse contorni clamorosi il caso di Giuseppe Balsamo detto Cagliostro (1743-95) che riuscì ad arricchirsi grazie alla sua fama di mago e guaritore prima di finire nei tribunali del Sant’Uffizio.

I dibattiti pubblici sui grandi temi
Insieme ad altre forme associative nuove o tradizionali – dalle accademie ai circoli scientifici, fino ai caffè e ai salotti – la massoneria contribuì a oltrepassare le barriere geografiche e politiche dell’Europa di antico regime, ponendo le basi per la costruzione di una nuova forza definibile come “opinione pubblica”. Questioni riguardanti il commercio, il prelievo fiscale, la tolleranza religiosa e il funzionamento dei tribunali divennero oggetto di dibattiti che coinvolgevano ampie fasce della popolazione urbana e rurale. In virtù di questa stessa forza, i filosofi, gli scienziati, i giuristi e i letterati cercarono di colmare la distanza esistente fra cultura “alta” e cultura “popolare” nel segno dell’esaltazione della ragione, acquisendo un potere forte a sufficienza da influenzare le scelte dei governanti.
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L’informazione
I poteri secolari ed ecclesiastici non sempre riuscirono a controllare il mercato delle notizie, che diffondeva idee e progetti di riforma, ma talvolta lasciava spazio a invenzioni e pettegolezzi, influenzando gli orientamenti di individui e gruppi soprattutto negli ambienti urbani. Anche nelle campagne si diffusero fenomeni editoriali come per esempio la Bibliothèque bleue in area francese, fatta di libri piccoli ed economici che raccoglievano romanzi brevi, opere devote, versioni in prosa di poemi cavallereschi, consigli per la coltivazione, storie di famosi criminali [ 6].

Fu proprio la stampa a giocare un ruolo centrale in termini di allargamento dello spazio pubblico, talvolta forzando le barriere del censo e dell’analfabetismo, riuscendo a diffondere messaggi che raggiungevano un ampio numero di destinatari grazie alla comunicazione orale e che talvolta finivano per delegittimare personaggi molto in vista (compresi ministri, giudici e frequentatori delle corti) minando fortemente il loro prestigio.

1.3 L’età dei Lumi e la cultura enciclopedica

I fondamenti della cultura illuministica
I primi fermenti dell’atmosfera che si definirà più tardi come illuminista emersero in paesi come l’Olanda e l’Inghilterra, dove cominciarono animati dibattiti sulla religione, la morale, lo Stato. In Francia, invece, il fenomeno si legò più specificamente alla diffusa volontà di reagire all’oscurantismo degli ultimi anni del lunghissimo regno di Luigi XIV, conclusosi nel 1715.

A Parigi si raccolsero intellettuali provenienti da diverse aree del continente e cominciò la diffusione di traduzioni di giornali e opere inglesi, veicoli di importanti novità sul piano scientifico, politico e religioso. Le idee deiste e materialiste si avvalsero anche di una diffusione clandestina: visto che i testi a stampa potevano finire nelle mani dei censori ecclesiastici e statali, molti intellettuali preferirono scambiarsi manoscritti.

Pur seguendo orientamenti diversi, i pensatori che gravitavano nell’orbita dell’Illuminismo furono accomunati dalla centralità assegnata a temi cruciali come il valore della ragione, la tolleranza religiosa, la volontà di partecipare alla vita dello Stato attraverso la riforma delle leggi e delle istituzioni [ 7]. La posizione di Immanuel Kant, già menzionata nell’apertura di questo capitolo, interpreta bene l’esigenza diffusa di cambiamento e la fiducia nel progresso che investiva tutti i campi del sapere umano, dalla politica all’economia, dalla filosofia alla religione. Idee come quelle del filosofo tedesco, comuni a tanti altri pensatori, accentuavano anche l’importanza del cosmopolitismo: all’uomo erano attribuiti diritti universali, indipendenti dal contesto di provenienza di ciascuno e inseriti in un ideale ordine – segnato da evidenti tratti utopici – capace di garantire a tutti libertà e fratellanza.

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Montesquieu e la divisione dei poteri

In seguito a un lungo viaggio che lo portò ad attraversare Inghilterra, Olanda, Germania, Austria e Italia, Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755) affinò le sue conoscenze storiche e filosofiche, cercando di trarne indicazioni sulle trasformazioni delle società umane e interrogandosi sulla presenza di regole che accomunavano diversi contesti [ 8]. Arrivò in tal modo alla sua opera più importante, lo Spirito delle leggi, apparsa per la prima volta nel 1748 e diffusa in più di 10 000 copie nel giro di pochi anni. Il nucleo fondamentale del testo era la critica al dispotismo o alla tirannide, fondati sulla negazione della virtù civica e sul trionfo della paura. Il modello proposto era quindi quello di una monarchia temperata (non lontana da quella inglese) fondata sulla divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario): lo spazio di azione del re doveva essere controbilanciato da consigli e magistrature, chiamati a evitare derive autoritarie. L’appoggio di questi organi rimaneva quindi essenziale per le decisioni che potevano segnare la vita dello Stato, come quelle militari, fiscali, giudiziarie, amministrative e religiose.

Lettere, lingua e ricerca di identità

La critica all’assolutismo fu anche parte integrante dell’opera del filosofo e scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-81), il quale difese la tolleranza religiosa riconoscendo la funzione civile delle religioni positive. Il suo pensiero non era sistematico e spesso si appoggiava a spunti polemici ispirati dall’attualità, ma fu proprio la sua volontà di partecipazione alla vita civile a permettergli di ritagliarsi un ruolo cruciale nella formazione di una letteratura e di un teatro tedeschi. Nei drammi Minna von Barnhelm (1763) ed Emilia Galotti (1771) Lessing difese a spada tratta la dignità e l’autonomia del pensatore, denunciando la corruzione e il conformismo delle corti e affermando la necessità di proseguire in un’incessante ricerca conoscitiva capace di rifiutare ogni dogma.

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Sulle analogie fra il mondo naturale e la storia si concentrò invece Johann Gottfried Herder (1744-1803), il quale sostenne che il primo si esprimeva attraverso le forme viventi, mentre la seconda raggiunge la sua espressione più compiuta nell’umanità. Dopo aver viaggiato ed essere venuto a contatto con i massimi esponenti della cultura e della politica europea, il pensatore giunse alla conclusione che la lingua, l’arte, la religione e la morale erano la chiave di volta dell’intera comprensione del mondo: non si configuravano come semplici sistemi di sentimenti, pensieri, credenze o conoscenze, ma anche come rivelazioni dei tratti caratterizzanti dell’uomo, della sua identità più profonda. La ricerca della felicità non si poteva realizzare, quindi, in una prospettiva cosmopolita, ma all’interno di una singola “nazione” che ha una sua lingua, un suo insieme di inclinazioni, prodotti e obiettivi.

Una delle espressioni più immediate dell’anima e della coscienza di un popolo era quindi la poesia, non intesa come imitazione della natura, ma come espressione spontanea, immediatezza ed estasi. A queste linee di principio si ispirava lo Sturm und Drang, movimento culturale e letterario tedesco che ebbe la sua massima fortuna fra gli anni Sessanta e Ottanta del Settecento: rivalutava gli aspetti irrazionali della vita, mettendo al primo posto la volontà di rompere i vincoli delle leggi e le convenzioni sociali al fine di dare soddisfazione alle aspirazioni più intime e individuali.

Voltaire e la trasformazione del corpo sociale

La battaglia contro l’oscurantismo e l’intolleranza ebbe vari bersagli, ma le critiche più penetranti furono indubbiamente dirette alla Chiesa cattolica. Uno dei principali animatori della campagna contro Roma fu il filosofo, poeta, drammaturgo e romanziere francese François-Marie Arouet conosciuto come Voltaire (1694-1778), che già nel 1733 suscitò grande attenzione con la pubblicazione, sia pur in forma anonima, delle Lettere inglesi (anche conosciute come Lettere filosofiche), nelle quali propagandava il pensiero di Locke e Newton e sosteneva la necessità di ritagliare un ruolo attivo nella società a scienziati e uomini di cultura. Il testo era attraversato da una profonda fiducia nelle capacità razionali dell’uomo e della sua possibilità di incidere nel mondo attuando processi di cambiamento: all’immagine di una Francia in balia di un’aristocrazia corrotta e improduttiva si contrapponeva quella di un’Inghilterra che costruiva le sue fortune sul commercio e sul lavoro.

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Per oltre tre anni (dal 1750 al 1753), Voltaire soggiornò presso la corte di Prussia cercando di influenzare le politiche di una delle potenze che si stavano affermando nel panorama politico europeo. Questa volontà di essere coinvolto direttamente nelle scelte del potere costituito era perfettamente coerente con i nuclei fondanti del suo pensiero: i letterati dovevano avere un ruolo politico attivo. A loro era assegnato il compito di farsi interpreti dei bisogni della società presso il sovrano, di criticare gli abusi di potere, di diffondere le novità filosofiche e scientifiche provenienti da diverse zone del pianeta, di commentare gli eventi di attualità più significativi.

Disastri naturali, ingiustizie, pregiudizi: il ruolo dello scrittore-filosofo

Nel 1755 Voltaire compose il Poema sul disastro di Lisbona, riflettendo sia sul terribile terremoto che aveva devastato la città portoghese, sia sull’esistenza di una ragione universale in grado di spiegare una strage di proporzioni enormi, sia sui motivi imperscrutabili che avevano portato alla scomparsa di tante persone e alla salvezza di altre [ 9].

Riprese tali argomentazioni nel romanzo “filosofico” del 1759 intitolato Candido, o dell’ottimismo, dove il protagonista assiste al traumatico evento dopo essere stato costretto a scappare dalla sua dimora, un castello della Vestfalia. Nelle sue peregrinazioni forzate, sempre in fuga da violenti persecutori e in cerca della sua amata Cunegonda, Candido giunge fino ai regni del Nuovo Mondo: le sue vicende offrono allo scrittore l’occasione per sferrare una critica feroce al pensiero conformista e agli apparati repressivi ecclesiastici e statali. Tali elementi si erano diffusi ovunque grazie all’azione dei governi e all’aiuto di missionari come i gesuiti, impegnati a tenere soggiogate le popolazioni in tutti i luoghi in cui operavano [▶ FONTI].

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900