10.5 Modernità e religione

10.5 Modernità e religione

Fra secolarizzazione e religiosità popolari
Anche in un mondo avviato sulla strada della secolarizzazione e della modernità, religioni e istituzioni religiose restavano essenziali in molti ambiti:
  • nei rapporti internazionali, essendo lo Stato pontificio attore autorevole nel quadro geopolitico euro-atlantico e costituendo il cristianesimo il collante di accordi e coalizioni, come la Santa Alleanza o la “crociata” occidentale antiottomana per l’indipendenza greca;
  • nell’offrire un elemento di coesione, immagini e retoriche utili alla legittimazione di alcuni regimi (il sultano, lo zar difensore dell’ortodossia, i cattolici Asburgo), alla discriminazione di alcune minoranze (gli ebrei e i protestanti nei paesi cattolici, i cristiani ottomani), alla costruzione di identità collettive e alla diffusione dei movimenti nazionali (il cattolicesimo di polacchi e irlandesi, l’ortodossia dei greci);
  • nell’affiancare o nel supplire lo Stato nell’espletazione di cruciali funzioni pubbliche, fra cui il mantenimento dello Stato civile, l’istruzione di base e l’assistenza;
  • nel fornire un organico sistema di precetti, che assumeva valore normativo in sé negli Stati confessionali come l’Impero ottomano o lo Stato pontificio, o poteva comunque costituire un punto di riferimento etico-morale per politiche economiche e sociali, per il diritto di famiglia e per quello commerciale;
  • nell’influenzare gli strati sociali inferiori e le masse rurali, tendenti a rivisitare e ibridare i principi cristiani con superstizioni e riti locali producendo originali forme di religiosità popolare, ma ossequiose verso i precetti religiosi e gli uomini di Chiesa, spesso detentori di un indiscusso primato culturale in seno alle comunità [ 12];
  • nel definire i valori (morigeratezza, obbedienza all’autorità), i tabù (sesso, omosessualità) e le relazioni di genere (subordinazione della donna, sua vocazione familiare) tipici del mondo borghese.

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Tuttavia, l’età rivoluzionario-napoleonica aveva prodotto una trasformazione dei rapporti fra Stato, società e religione, favorendo la secolarizzazione [ 13] della cultura e una pur lenta laicizzazione delle strutture politico-istituzionali, dei quadri normativi e dei criteri di concessione della cittadinanza (Stato civile, divorzio, riduzione dei privilegi ecclesiastici, distinzione fra appartenenza confessionale e nazionale). Parallelamente, soprattutto i ceti medio-alti tesero via via a ridurre l’influenza della religione nelle loro condotte di vita o, quanto meno, a contemperarli con principi liberali (libertà di culto, di espressione), valori estranei alle maggiori tradizioni monoteiste (individualismo, ricerca del successo) e considerazioni di opportunità sociale ed economica (controllo delle nascite, rapporti d’affari interconfessionali).

Le risposte delle religioni alla modernità
Ai mutamenti sociali, culturali ed economici le principali religioni reagirono in modo diversificato e non sempre coerente, alternando fasi di più netta chiusura antimodernista nelle rispettive tradizioni dottrinarie a momenti di maggiore apertura e tentativi di guidare le nuove dinamiche istituzionali e socioeconomiche.

Quello che le diverse Chiese instaurarono con gli Stati postnapoleonici fu dunque un rapporto ambiguo, fatto di collaborazione con i regimi più accondiscendenti e resistenza ai tentativi di sottomissione portati avanti dagli Stati più laici; di penetrazione nelle loro istituzioni da parte di personale religioso e di conquista di spazi geografici e culturali nuovi mediante le missioni e la stampa; di formali relazioni diplomatiche e di influenza informale esercitata mediante gruppi di pressione o figure autorevoli.

Allo stesso modo le istituzioni religiose si posero nei confronti delle società. Le attaccarono duramente per i loro atteggiamenti considerati incompatibili con la fede, ma cercarono al contempo di penetrarne tutti gli strati con un’azione di proselitismo e di assistenza declinata in modo da rispondere al meglio alle nuove esigenze delle masse come delle élite.

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Cristianesimo, ebraismo e islam videro così inaugurata una tendenza alla marginalizzazione della religione che si sarebbe acuita nel tempo rimodellando istituzioni, società, espressioni artistiche, dottrine politiche ed economiche. Eppure, essi mostrarono per tutto l’Ottocento grandi capacità adattive, una notevole abilità nello sfruttare a proprio vantaggio i progressi tecnologici e l’attitudine a elaborare strategie diversificate per rafforzare le proprie strutture e i propri connotati identitari. Ciò allo scopo non solo di sopravvivere, ma di vincere la concorrenza tanto l’uno dell’altro, quanto di ideologie alternative o antireligiose.

La Chiesa cattolica fra antimodernismo e Cattolicesimo sociale
Il mondo cattolico fu quello più direttamente investito dalla polemica giacobina e poi liberale, reagendo ad essa in maniera diversificata. Soprattutto nei primi anni della Restaurazione, molti pensatori cattolici assunsero posizioni reazionarie, sintetizzate al meglio prima dall’assolutismo monarchico di Joseph de Maistre [▶ cap. 7.4] e poi dall’ enciclica Mirari (1832), con la quale papa Gregorio XVI aveva attribuito alla modernità e al liberalismo la colpa della crescente indifferenza religiosa. Presto però si affiancarono alle voci più conservatrici opinioni più progressiste e liberali, come quelle dell’abate Félicité de Lamennais in Francia e di alcuni moderati italiani, fra cui soprattutto i cosiddetti “neo­guelfi”: pensatori che provavano a conciliare la difesa dei privilegi concessi alla Chiesa e del carattere confessionale dello Stato con l’affermazione della libertà individuale, le istanze costituzionali e finanche progetti di unificazione nazionale.

La critica nei confronti della società laico-borghese s’inasprì a metà secolo. Prima papa Pio IX riaffermò con forza l’ortodossia dottrinaria mediante la proclamazione del dogma dell’ Immacolata concezione (1854). Ciò mentre si intensificava la propaganda, che ne divulgava il messaggio mediante opuscoli e giornali (nel 1850 nacque la rivista Civiltà Cattolica), pellegrinaggi e visite episcopali a Roma, nonché attraverso un’inusitata circolazione di immagini che lo ritraevano in pose regali e ne ricordavano la funzione di interprete esclusivo della volontà divina in quanto vicario di Cristo in terra.

Nel 1864 fu poi pubblicata l’enciclica Quanta cura, che condannava la civiltà moderna enumerandone gli “errori” in un elenco allegato detto Syllabus [▶ FONTI]. Infine, nel 1870 il Concilio Vaticano I sancì l’infallibilità delle pronunciazioni ufficiali del pontefice in tema di morale e fede. Si trattava di una strategia coerente con il più generale ricentramento della Chiesa su Roma e sulla persona del papa, che serviva anche a garantirne la capacità di agire come influente attore nelle relazioni internazionali, nonostante una ridotta potenza militare e il crescente montare dei movimenti nazionali – in primis quello italiano – che ne mettevano a rischio il potere temporale. Tuttavia, queste posizioni alienarono alla Santa Sede le simpatie dei cattolici più liberali e di quegli Stati che cercavano di conciliare il proprio assetto costituzionale e laico con il rispetto dei sentimenti religiosi delle popolazioni. E ciò contribuì a deteriorare ulteriormente l’immagine internazionale del papato, sino a farne uno dei simboli del più retrivo e anacronistico assolutismo.

In realtà, oltre che attraverso il rafforzamento dell’autorità papale e i richiami all’ortodossia, la Chiesa cercò di mantenere la propria influenza sulle masse popolari anche in altri modi. In primo luogo lo fece esercitando un più stretto controllo sulle forme della religiosità popolare e alimentando culti di grande impatto emotivo come quello della miracolosa Madonna di Lourdes.

In secondo luogo lo fece prendendo posizione rispetto alla questione sociale ed evitando così che essa diventasse monopolio e strumento di consenso della forze politiche di matrice socialista. Pur senza trovare una formulazione organica né un documento di sintesi di particolare impatto, il mondo ecclesiastico si fece sempre più fautore di un approccio interclassista al problema. Esso tese dunque a opporre alla soluzione rivoluzionaria quella più pacifica di un’armonica conciliazione fra gli interessi delle diverse classi, da ottenersi mediante la tutela della proprietà privata e il richiamo delle élite alle loro responsabilità sociali nel trattamento equo della forza lavoro e nell’uso sociale della ricchezza.

Inoltre, sia Roma sia alcune autonome iniziative del clero francese intensificarono l’azione assistenziale e caritativa rivolta ai ceti inferiori, cui fu data una connotazione più espressamente anticapitalista e antisocialista. Di questo Cattolicesimo sociale erano espressione non solo le tante nuove congregazioni fondate con scopi educativo-assistenziali, spesso da donne e laici, ma anche le associazioni di mestiere, nate in particolare nell’Europa centrale nella seconda metà del secolo e divenute un efficace strumento di penetrazione della propaganda cattolica fra i contadini, gli artigiani e i piccoli commercianti.

FONTI

Il Syllabus

Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (“Elenco contenente i principali errori del nostro tempo”) era un’appendice dell’enciclica Quanta cura dell’8 dicembre 1864. Alti prelati e lo stesso Pio IX avevano in realtà già redatto liste simili, ma le 80 proposizioni condannate nel Syllabus rappresentarono la massima sintesi delle posizioni antimoderniste della Chiesa cattolica. Ciò nonostante la scarsa originalità e i dubbi sul carattere vincolante delle disposizioni, che erano sì rafforzate dall’unanime consenso dei vescovi ma citavano precedenti censure del medesimo errore non parevano avere la natura di pronunciazione ufficiale ex cathedra.

Elenco degli errori:


VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione. […]


XII. I decreti della Sede apostolica e delle Romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza. […]

Socialismo, Comunismo, Società secrete, Società libere, Società clerico-liberali. […] Cotali pestilenze spesso e con gravissime espressioni sono riprovate. […]


XLV. L’intero regolamento delle pubbliche scuole […] dev’essere attribuito all’autorità civile; e […] non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto d’intromettersi […] nella scelta e nell’approvazione dei maestri.


XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica e dall’autorità della Chiesa. […]


LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.


LXIII. Il negare obbedienza anzi il ribellare a Principi legittimi è cosa lecita.


LXIV. […] qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna […] è […] da lodarsi sommamente, quando si commetta per amore della patria.


LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura. […]


LXXVI. L’abolizione del civile impero, che la Sede apostolica possiede, gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.


LXXIX. Per fermo è falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti conceduta di manifestare qualunque opinione […] conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi de’ popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo.


LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e colla moderna civiltà.

Protestanti, ebrei e musulmani fra rinnovamento, assimilazione e isolamento
Il variegato universo delle confessioni protestanti visse questa fase di rivolgimenti con spirito generalmente più aperto alla modernità, traendovi anzi in qualche caso la spinta per un rinnovato fervore religioso e un maggiore attivismo nella società. Alcuni settori non esitavano a invocare la separazione fra Stato e Chiesa, mentre fedeli illustri si spendevano in prima persona nelle battaglie per i diritti dei lavoratori. Anche laddove non si giungeva a tanto, soprattutto le concezioni calviniste svolsero comunque un ruolo nel modellare le virtù borghesi e nel tradurre in termini accessibili anche alle classi inferiori i principi utilitaristi, in particolare condannando la povertà come peccato, associando la disoccupazione alla perdizione morale e tessendo l’elogio di lavoro e ricchezza come vie per giungere alla salvezza. Senza dimenticare che, alla stretta commistione con la cultura dei ceti medio-alti, molte Chiese protestanti e quella ortodossa nell’Impero russo accompagnarono iniziative educative e assistenziali indirizzate ai soggetti più deboli, come le “scuole per straccioni” nei quartieri poveri di Londra oppure associazioni filantropiche ed evangelizzatrici come l’Esercito della salvezza [ 14].

Una situazione particolare vivevano le comunità ebraiche. Tradizionalmente oggetto di radicati sentimenti antisemiti e giuridicamente discriminati in molti paesi, tanti ebrei residenti in Europa vissero la secolarizzazione delle società ospiti come un’opportunità per meglio integrarsi e ottenere una piena emancipazione. In questo furono agevolati dalla riflessione che già dal Settecento si svolgeva all’interno del mondo ebraico sull’onda del confronto fra gli “ortodossi”, non restii al rinnovamento ma più legati alla tradizione, e il movimento haskalah (detto anche “illuminismo ebraico”): un variegato insieme di intellettuali per lo più ebreo-tedeschi aperto a contaminazioni e fautore di una reinterpretazione della teologia e della legge ebraica in chiave razionalista, illuminista e universalistica. Per far ciò, essi proponevano la modernizzazione dell’ebraico, l’affiancamento del tedesco alla tradizionale lingua yiddish, una riforma della scuola e la modernizzazione degli stili di vita.

Il graduale allontanamento dall’ortodossia tradizionale e lo stemperarsi delle pratiche identitarie (vestiario, alimentazione, partecipazione ai riti) si inserivano dunque in un più ampio quadro di rinnovamento dell’ebraismo e nel più articolato processo di rimodellamento dell’identità ebraica [ 15] e dei suoi rapporti con le nazioni in cui gli ebrei vivevano, sentendosene spesso parte. Simili fenomeni ebbero intensità ed effetti diversi non solo in funzione dei singoli contesti giuridico-istituzionali e linguistico-culturali, ma anche in base alla posizione sociale, alle vicende contingenti e non ultimo al gruppo ebraico di appartenenza. Benché ogni distinzione netta sia fuorviante, gli ebrei occidentali di lingua giudeo-spagnola e di tradizioni liturgiche sefardite mostrarono di solito più capacità di assimilarsi. Al contrario, sia tra quelli orientali di rito ashkenazita e lingua yiddish sia fra quelli di lingua ladina dell’Impero ottomano, che pure furono soggetti a forti spinte verso la modernizzazione, furono più vive correnti tradizionali e si svilupparono socialità, solidarietà e attività filantropiche chiuse all’interno delle comunità, anche in risposta alla maggiore diffidenza da parte dei  gentili.

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Meno esposto ai sovvertimenti postrivoluzionari fu invece l’universo musulmano, che avrebbe dovuto attendere l’età delle riforme ottomane negli anni Cinquanta per affrontare seriamente il problema della sua modernizzazione. Nel frattempo, l’islam si impegnava piuttosto in un’intensa attività missionaria utile a espandersi in nuove regioni, soprattutto in Africa centrorientale (Sudan, Nigeria).

Infine, all’invasione europea e alla diffusione delle sue fedi nei territori occupati dovettero rispondere le principali religioni asiatiche. Così, il confucianesimo stentò a trasformarsi da insieme di precetti morali in una vera e propria religione, ma rimase un riferimento filosofico centrale sia nella società cinese sia nel Giappone retto dalla dinastia Tokugawa. L’induismo definì invece meglio e in modo unitario i propri contenuti, diventando col tempo un fattore identitario importante in un’area multietnica, multireligiosa e di cruciale valore geopolitico come il subcontinente indiano.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900