Mais, fish & chips e roast beef
L’Ottocento segnò il compiersi della “rivoluzione alimentare” avviata in età moderna. La diffusione della risicoltura e delle colture americane contribuì a ridurre gli effetti delle carestie e a migliorare la dieta dei ceti rurali più poveri. Patate, mais e persino il pane bianco, un tempo status symbol delle classi agiate, integrarono le polente e i cereali poveri (farro, crusca, avena). Il consumo di carne e pesce restava però limitato e gli alimenti più energetici erano di solito riservati ai più deboli (bambini, malati) o alle fasi di lavoro più duro, magari accompagnati da un maggior consumo di alcol a integrarne l’apporto calorico.
Peggiore era la sottoalimentazione dei poveri in città, soprattutto quando i lunghi turni in fabbrica impedivano di associare al lavoro operaio la piccola produzione di beni alimentari o di mantenere legami con le comunità di origine. Così, mentre chi era al servizio di famiglie benestanti (camerieri, cocchieri, maggiordomi) poteva contare sugli scarti dei padroni, per gli operai la situazione era difficile. Le basse paghe e il costo della vita in città obbligavano molti a nutrirsi quasi solo di pane, verdure, cipolle e vino. A ciò si alternava quel misto di patate fritte e pezzi di pesce di risulta noto come fish & chips, venduto a pochi centesimi in oltre 25 000 friggitorie solo nel Regno Unito.
In confronto a quella dei ceti popolari, la dieta dei borghesi appariva straordinaria. Le nuove tecniche di conservazione e i commerci internazionali misero infatti a loro disposizione alimenti prima inaccessibili o introvabili fuori stagione: diverse verdure in inverno, frutti esotici e quella carne bovina spesso condita con brodo o ricercate salse a base di burro, che divenne abituale sulle tavole e nei ristoranti arrostita all’inglese come roast beef o lessa alla francese.
Alle modifiche nell’alimentazione si aggiunsero quelle nel servizio e nei discorsi sul cibo.
Da un lato, con la metà del secolo il servizio “alla francese” (tutte le portate assieme a centro tavola) fu soppiantato da quello “alla russa” (così detto perché introdotto da un diplomatico russo), che proponeva una pietanza alla volta disegnando un’ideale parabola in sei momenti (antipasto, minestra, entrée, piatto principale, tramesso e dessert) con apice nel piatto a base di carne.
Dall’altro lato, prima di tutto in Francia fiorì una stampa gastronomica (neologismo coniato da un poeta francese nel 1800) fatta di guide turistiche per la ristorazione e riviste specializzate. Ciò mentre la figura dello chef guadagnava reputazione e diventava elemento di prestigio per case private e locali pubblici, alimentando il gusto per la sperimentazione, la personalizzazione e la decorazione dei piatti. Il cibo e la cucina divennero così oggetto di mode e un tratto distintivo della borghesia in tutt’Europa, benché ancora condizionati dalle tradizioni locali.