La costruzione della nazione
Una costruzione politico-culturale
L’Ottocento fu senza dubbio il secolo delle nazioni. Ma, come disse lo storico francese Ernest Renan nel 1882, l’essere una nazione è «un plebiscito di ogni giorno», frutto di una quotidiana quanto tacita scelta individuale e collettiva di accettare e perpetuare una peculiare costruzione politico-culturale. Le nazioni, infatti, sono composte da individui che “immaginano” di essere una comunità, presupponendo fra loro una maggior affinità culturale o spirituale rispetto a soggetti di altri gruppi. Esse sono pertanto prodotti artificiali, costituiti mediante un processo spesso molto lungo, ma a volte accelerato dal bisogno di compattare popoli venutisi a trovare in situazioni particolari. Tale processo prende il nome di Nation building (“costruzione della nazione”) e consiste nell’adozione di una serie di politiche, iniziative, discorsi, rappresentazioni e simboli che producono:
- l’omogeneizzazione linguistica della popolazione (con la costruzione e la diffusione di una lingua nazionale standard, cui si attribuisce un valore letterario e che viene difesa da dialetti e forestierismi);
- la definizione di un patrimonio artistico-letterario (con l’individuazione di un canone di opere letterarie, musicali, pittoriche, architettoniche ecc. considerate indispensabili al bagaglio culturale di ogni membro della nazione);
- l’elaborazione di una memoria storica condivisa (mediante la ricostruzione operata dall’archeologia, dai musei e da una storiografia nazionale, che leggono il passato in modo da retrodatare l’esistenza della nazione, glorificarne i momenti fondativi e legittimarne le rivendicazioni);
- la familiarizzazione con il territorio identificato come patrio (attraverso il turismo, club alpini ed eventi sportivi itineranti);
- l’individuazione di costumi e di una cultura materiale tipici (credenze, abbigliamento, cucina ecc.);
- l’aggregazione e la celebrazione dei membri della comunità (esaltandone i personaggi illustri, il contributo al progresso dell’umanità, il ruolo provvidenziale nella storia e la superiorità rispetto alle altre nazioni).
Nel produrre e limare costantemente la propria identità, le nazioni selezionano, cancellano, sminuiscono e prendono a prestito elementi in modo relativamente arbitrario. In altre parole, inventano le proprie tradizioni o le retrodatano per riconnetterle a un passato appositamente ricostruito, rendendole funzionali alle esigenze contingenti del Nation building. Esempi di “tradizioni inventate” sono le arti marziali in Giappone, la cultura celtica, la lingua basca nonché i “miti” connessi alle rivendicazioni “nazionaliste” meridionali e “padane” in Italia.
Stato e nazione
La formazione della nazione non coincide né va per forza di pari passo con il processo di costruzione dello Stato (State building), tanto negli Stati-nazione la cui popolazione è piuttosto omogenea, quanto negli imperi in cui convivono più comunità linguistiche e culturali di una certa consistenza. Nei fatti, però, Nation building e State building si sono spesso intrecciati. A volte un già diffuso senso di appartenenza nazionale ha contribuito alla nascita e al consolidamento di uno Stato nazionale, oppure all’implosione di imperi irrispettosi della volontà indipendentista delle nazioni che vi abitavano. Altre volte, invece, lo Stato ha promosso o avversato il Nation building mediante politiche linguistiche (ammettendo bilinguismi, imponendo o vietando idiomi), scolastiche (la scelta di materie, programmi e materiali di studio) e toponomastiche (la dedica di strade e piazze).