9.1 I turbolenti anni Venti

Per riprendere il filo…

Il Congresso di Vienna (1814-15) aveva ridisegnato la carta europea. Lungi dal riproporre la situazione prerivoluzionaria, il nuovo equilibrio mirava a prevenire tentativi espansionistici e nuove rivoluzioni. Perciò, oltre a ridefinire attentamente i confini, le grandi potenze promossero accordi fondati sul proprio diritto-dovere di assicurare al continente pace e stabilità nel segno dell’assolutismo. L’idea di un “concerto europeo” era per molti aspetti una significativa novità nell’organizzazione dei rapporti internazionali, ma della sua efficacia si iniziò presto a dubitare, e non soltanto nelle Americhe.

9.1 I turbolenti anni Venti

Le nuove istanze del Vecchio continente e le società segrete
Mentre nelle Americhe gli stravolgimenti dell’età rivoluzionaria e napoleonica portarono all’indipendenza delle colonie ispano-portoghesi e alla progressiva emancipazione delle élite creole che le avevano guidate [▶ cap. 8.1], in Europa la Restaurazione produsse un’instabilità latente. Infatti, il nuovo corso impresso alla politica europea dalle grandi potenze disorientò e deluse non solo l’ufficialità, l’aristocrazia e la burocrazia create da Napoleone, ma anche i più liberali fra gli intellettuali, gli esponenti della borghesia professionale e commerciale, e molti dei militari napoleonici smobilitati dopo Waterloo. Il loro disagio non trovò però espressione nel dibattito pubblico, limitato dalla censura e dall’ancora scarsa politicizzazione dei ceti medio-bassi urbani e rurali: s’incanalò invece in una serie di società segrete di orientamento liberale o nazionalista [▶ idee, p. 257], le cui forme di organizzazione, di mobilitazione e i cui obiettivi variavano da paese a paese e non di rado da gruppo a gruppo.

A Ginevra Filippo Buonarroti guidava i Sublimi maestri perfetti. L’area di lingua tedesca pullulava di associazioni studentesche e ginniche di orientamento liberale risalenti già agli anni della resistenza antinapoleonica [▶ cap. 6.3]. Nell’Impero russo molti ufficiali dell’esercito aderirono a società segrete politico-letterarie come l’Unione della salvezza o l’Unione del bene pubblico. Giovani mercanti greci o  ellenizzati, per lo più già affiliati ad altre sette, fondarono a Odessa (città portuale dell’Impero russo affacciata sul Mar Nero) la Filikí Etería, un’organizzazione che richiamava nel nome le  eteríe d’età classica e rivendicava l’indipendenza greca dal dominio ottomano. Infine, fra Spagna, Francia e la penisola italiana si era estesa la Carboneria: una setta nel complesso di oltre 300 000 associati che si era sviluppata sulle preesistenti reti della massoneria [▶ cap. 1.2] e del  solidarismo corporativo, caratterizzata da un apparato ideologico vagamente liberalnazionale e dall’uso di una complessa simbologia cristiana [▶ FONTI, p. 259].

Certo in tutt’Europa c’erano anche sette d’impronta reazionaria, utilizzate dai governi restaurati come strumenti repressivi da affiancare alla polizia e alla censura. Ma esse erano meno numerose e attive delle associazioni eversive.
Una lunga fase di tensioni e i moti
Furono proprio le società segrete e i nascenti sentimenti nazionali a sfidare gli equilibri sanciti a Vienna. Ne derivò una ventennale fase di tensioni di cui i moti del 1820-21 e del 1830-31 furono solo i momenti più appariscenti [▶ fenomeni, p. 258] [ 1].
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La Spagna dalla Restaurazione al triennio liberale
In Spagna i fattori d’instabilità erano molteplici. Da un lato, la già difficile situazione economica minacciava di aggravarsi per la perdita delle colonie latinoamericane [▶ cap. 8.1]. Dall’altro, vi era il malcontento per la svolta autoritaria impressa dal restaurato Ferdinando VII, un sentimento diffuso soprattutto fra i militari malpagati e affascinati dai principi sanciti dalla Costituzione di Cadice [▶ cap. 6.4] abrogata dal sovrano.
Nel gennaio del 1820 questo esplosivo mix di istanze corporative e di pur vaga adesione a dottrine liberali trasformò in un’ampia rivolta l’ammutinamento di alcuni reparti di stanza a Cadice che si erano rifiutati di imbarcarsi alla volta delle colonie. Presto, infatti, la protesta si propagò in molte città, coinvolgendo anche strati della popolazione civile inizialmente diffidenti e costringendo il re a ripristinare la Costituzione del 1812.

Così, mentre il suo impero coloniale si sgretolava, iniziava per la Spagna il cosiddetto “triennio liberale”. Dal 1820 al 1823 il paese godette di maggiori libertà, ma visse anche le tensioni e le contraddizioni che non smisero di accompagnarle. Da una parte, le divisioni del movimento liberale fra i moderati e i radicali filorepubblicani (exaltados) paralizzarono i governi e imposero eccessiva prudenza alla loro azione riformista, sia in ambito politico-istituzionale, sia economico. Dall’altra, Ferdinando trattava per ottenere l’intervento militare straniero e appoggiava assieme alla Chiesa cattolica la resistenza armata delle masse contadine contro le politiche anticlericali promosse dai più radicali.

L’eredità napoleonica negli Stati italiani
Lungi dall’essere tutti retrivi e arretrati, i regimi restaurati nella penisola italiana si caratterizzavano per atteggiamenti diversi quanto ambigui nei confronti dell’eredità napoleonico-rivoluzionaria.

Il Lombardo-Veneto asburgico si distingueva per esempio per il discreto livello di industrializzazione e per l’efficienza di un’amministrazione modernizzata, nonostante il rifiuto del modello francese e il ripristino delle norme asburgiche.

Nel Regno di Sardegna, i Savoia ristabilirono l’ordine prerivoluzionario in diversi ambiti, abrogando la legislazione napoleonica, restituendo alla Chiesa i suoi antichi privilegi, ricostituendo le corporazioni, ripristinando istituti feudali come la primogenitura e il  fedecommesso, nonché epurando esercito e burocrazia dai molti soggetti ritenuti vicini a posizioni rivoluzionarie. Tuttavia, anche i Savoia non rinunciarono a quelle eredità giuridico-amministrative del recente passato utili a rafforzare il controllo dello Stato sulla nobiltà e sul territorio (tribunali, sistema dei prefetti), sino a reprimere con fermezza le istanze autonomiste dell’ex Repubblica di Genova, restia ad accettare l’annessione decisa a Vienna [▶ cap. 7.3].
Nello Stato pontificio, dopo l’iniziale apertura riformista promossa dal cardinale Consalvi (nuovo catasto, nuovi codici, riorganizzazione del territorio in 13 delegazioni e 4 legazioni), Leone XII operò una brusca svolta in senso, autoritario e repressivo: fu abolito il servizio militare in favore di un esercito professionale e mercenario; il ripristino della giurisdizione feudale accompagnò un rinnovato accentramento del potere nella persona del papa, ponendo fine all’uniformità giuridica tipica dello Stato amministrativo; la burocrazia secolarizzata di origine napoleonica fu sostituita in blocco con aristocratici e uomini del clero nominati senza bisogno di vincere un concorso.

Infine, molto articolate furono le politiche dei Borbone nel Regno delle Due Sicilie, lo Stato in cui erano confluiti nel 1816 il Regno di Napoli e quello di Sicilia. Da un lato, per ingraziarsi i siciliani il re assunse il titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie (in luogo del precedente Ferdinando IV re di Napoli) e concesse all’isola una discreta autonomia (amministrazione separata della giustizia, esenzione dalla coscrizione, ministeri autonomi, cariche riservate). Dall’altro lato, assecondò le pressioni di Metternich per una conciliazione dell’assolutismo con l’eredità napoleonica, mediante il mantenimento della struttura amministrativa e della burocrazia murattiana, la conferma delle leggi antifeudali, i limiti imposti alla prerogativa nobiliare di amministrare la giustizia nelle proprie terre, nonché l’avocazione allo Stato della censura e dello  stato civile, prima gestiti della Chiesa.

  idee

Liberalismo e liberalismi

Le declinazioni del liberalismo “classico”

Con il termine “liberalismo” la storia della filosofia identifica l’insieme di teorie politico-economiche di pensatori come John Locke (1632-1704) e John Stuart Mill (1806-73) in Inghilterra, Karl Wilhelm von Humboldt (1767-1835) in area tedesca, il barone di Montesquieu (1689-1755) e Benjamin Constant (1767-1830) in Francia. Fra queste dottrine non mancavano differenze anche significative (gli auspicati assetti istituzionali, la diversa ripartizione e gli equilibri fra i poteri, l’identificazione dei diritti inalienabili), essendo state prodotte in diversi contesti geografici, cronologici e politico-istituzionali. Eppure tali differenze sono spesso sottovalutate in nome di alcuni tratti condivisi: la centralità della libertà individuale, il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali (vita, proprietà privata, pensiero, espressione ecc.) e l’idea che Costituzioni e sistemi parlamentari fossero gli strumenti giuridico-istituzionali più efficaci per garantirli contro le pretese dei regimi assolutistici e teocratici. Inoltre, pur fautrici di un ampliamento del suffragio, nessuna dottrina liberale giungeva a teorizzare una compiuta democrazia.

D’altronde, lo Stato non era considerato un luogo di realizzazione della libertà individuale mediante il contributo (diretto o per mezzo di rappresentanti) del cittadino al processo decisionale, ma uno strumento che una minoranza qualificata da un elevato status socioeconomico e culturale aveva il diritto-dovere di usare per garantire diritti e libertà a una maggioranza di governati, perlopiù esclusi dal voto e oggetto delle paternalistiche cure della classe dirigente. Da qui derivava l’idea di uno Stato agile e meno invadente possibile (ma pure sul grado di intervento vi erano differenze notevoli fra i liberali), che lasciasse appunto libertà agli individui nel loro agire sociale, nella formazione culturale, in materia religiosa come nelle loro iniziative economiche. La libertà delle imprese di perseguire il proprio profitto e la rigida limitazione all’intervento dello Stato negli equilibri del mercato (ritenuto capace di autoregolarsi) furono i cardini di alcuni teorici del liberalismo britannico come Adam Smith (1720-90), detti perciò “liberisti”.

Le successive ibridazioni

Con la loro progressiva diffusione, i diversi liberalismi finirono poi per mescolarsi sempre più con altre idee (a volte anche teoricamente inconciliabili), producendo dottrine tanto sincretiche da risultare a volte difficilmente riconducibili ai canoni del liberalismo “classico” europeo. Il risultato di queste ibridazioni fu la pluralità dei movimenti “liberali” ottocenteschi e degli obiettivi che essi si prefiggevano. I più moderati intendevano semplicemente mitigare l’assolutismo mediante Costituzioni e istituzioni rappresentative a suffragio più o meno ristretto; altri legavano le riforme politiche alle istanze indipendentiste di popoli sottoposti a dominazioni straniere; i liberali laici e i cattolico-liberali miravano a conciliare liberalismo e cristianesimo; gli emancipazionisti volevano combinare riforme politiche e sociali per migliorare le condizioni di vita dei più poveri; altri, meno interessati alla questione sociale, pensavano piuttosto a garantire l’economia dall’ingerenza statale senza pretendere modifiche né politico-istituzionali né sociali. Insomma, una Costituzione e/o un parlamento potevano essere da sé il risultato a cui mirare oppure esser visti come prerequisiti per ulteriori passi in avanti, quali l’indipendenza nazionale, il liberismo economico o profonde riforme sociali.

D’altro canto, nonostante i tanti prestiti e vicendevoli adattamenti fra le Carte scritte in questa fase, erano spesso diversi i tipi di Costituzione che i “liberali” chiedevano (scritta o consuetudinaria, rigida o flessibile ecc.) e i loro modelli di riferimento (quelle napoleoniche, quella inglese, quella statunitense, quelle francesi del 1814 e del 1830). Allo stesso modo, esistevano divergenze circa l’articolazione del sistema parlamentare (monocamerale, bicamerale), sui rapporti con il capo dello Stato e nel delimitare ampiezza del corpo elettorale e criteri della sua selezione (limiti di censo, livello culturale, età ecc.).

Tutto ciò, senza dimenticare che spesso gli uomini che si batterono per cause “liberali” – in Europa come nelle Americhe – avevano una conoscenza assai superficiale e confusa delle dottrine cui si richiamavano i loro leader, a loro volta non sempre profondi conoscitori dei testi “classici”. Così, mentre i Bolívar, i gran maestri carbonari, i Guglielmo Pepe e i capi della Filikí Etería li interpretavano e li combinavano in modo originale, i loro seguaci combattevano per avere un mondo migliore, meno iniquo e un po’ più libero. In fondo, per molti di loro, “liberalismo” significava semplicemente questo.

  fenomeni

La Carboneria

Nella penisola italiana, le società carbonare erano molte (l’Adelfia in Piemonte, i Federati in Lombardia e nei ducati padani) e spesso diverse per scopi e organizzazione interna, pur facendo capo a un’organizzazione piramidale che si articolava a partire da una Grande Vendita e proseguiva con le Vendite locali (o Baracche) sparse sul territorio. Tutte le Vendite erano accomunate da uno spiccato carattere settario e dalla segretezza di programmi e affiliati, che infatti era preservata sia mediante un complesso sistema di occultamento-riconoscimento (codici cifrati, parole d’ordine), sia travestendosi appunto da carbonari: una copertura ideale essendo un mestiere diffuso e tale da giustificare una grande mobilità. Proprio il segreto, d’altronde, costituiva il primo impegno sancito dal giuramento di affiliazione («Prometto sopra gli Statuti dell’Ordine e su questo ferro punitore dei spergiuri di custodire scrupolosamente segreti della Rispettabile Carboneria»). Per aderire a una setta si passava un rito d’iniziazione che si richiamava alla ritualità massonica e simulava il processo di Pilato a Cristo, fondendo elementi esoterici e cristiani, metafora familiare e riferimenti al corporativismo degli antichi carbonari. Perciò, gli affiliati erano di solito detti “cugini”, anche se erano suddivisi gerarchicamente in “apprendisti”, “maestri” e “gran maestri”. Come nelle logge massoniche, a ogni livello corrispondeva un grado di conoscenza della struttura e dei programmi dell’organizzazione: gli apprendisti si impegnavano genericamente a rispettare e diffondere principi morali basati sulla religione tradizionale; maestri e gran maestri perseguivano invece consapevolmente istanze costituzionali, indipendentiste (variamente declinate) e a volte persino internazionaliste, repubblicane ed egualitarie.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900