FENOMENI - Il sogno americano, la frontiera e il “destino manifesto”

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Il sogno americano, la frontiera e il “destino manifesto”

Un paese giovane e disomogeneo

A inizio Ottocento gli Usa erano ancora un paese giovane e disomogeneo. I flussi migratori portavano sempre più persone di culture diverse; razzismo e xenofobia permeavano anche gli Stati non schiavisti; i sistemi economici del nordest e del sud risultavano via via meno conciliabili e le tensioni nascevano pure dalla notevole articolazione socioeconomica della popolazione e da una mobilità sociale sconosciuta in Europa.

I miti fondativi americani

Per contenere le spinte centrifughe, serviva dunque un mito fondativo capace di unire una comunità priva di un forte senso di appartenenza nazionale e di una memoria condivisa (salvo quella della rivoluzione). Esso fu trovato nel “sogno americano”, ossia l’idea che chi viveva negli Usa godesse di grandi opportunità di realizzazione: un mito che non solo pareva trovar conferma nelle occasioni di rapido arricchimento offerte dallo sviluppo economico e dalla corsa all’Ovest, ma che traeva forza anche dalla stessa autorappresentazione degli Usa come antitesi positiva della vecchia e iniqua Europa, oltre che dal passo della Dichiarazione d’indipendenza che garantiva a ogni uomo «la vita, la libertà e la ricerca della felicità».

Al “sogno americano” si intrecciarono altri due miti: la frontiera e il “destino manifesto”. La frontiera, celebrata dalla pittura e tema di popolari racconti (Washington Irving, James Fenimore Cooper), era la metafora dello spirito avventuriero di una società meritocratica, dinamica e mai appagata. Il “destino manifesto” era invece l’espressione coniata dal giornalista John L. O’Sullivan nel 1845 con cui si legittimava l’espansione territoriale degli Usa quale naturale conseguenza della superiorità del popolo americano e come mezzo per compiere la provvidenziale missione di cristianizzazione, liberazione e civilizzazione affidata da Dio all’Unione indipendentemente dai vincoli del diritto internazionale e degli equilibri geopolitici.

Le altre rappresentazioni dell’eccezionalità americana

Per quanto efficaci, a questi miti si affiancarono e si contrapposero altre rappresentazioni dell’eccezionalità statunitense, tese piuttosto a esaltare la democraticità della repubblica e la superiore moralità dei suoi cittadini. Soprattutto a partire dalla crisi texana, uomini illustri assunsero posizioni antiannessioniste, denunciando i rischi insiti in un espansionismo così aggressivo: il tradimento dei valori costituzionali; l’assimilazione degli Usa alle politiche di potenza degli Stati europei, contro cui le ex colonie si erano ribellate nel 1775; lo snaturamento delle istituzioni democratiche a causa dell’inclusione nella cittadinanza americana di elementi impreparati alla democrazia, come i nativi e i cattolici messicani.

Di conseguenza, gli stessi miti usati per compattare la società furono anche un fattore divisivo. A lungo gli Usa avrebbero tentato di conciliare, sia nella loro autorappresentazione che nel processo di costruzione della nazione, l’esaltazione dell’iniziativa individuale e la valorizzazione della dimensione collettiva di ogni conquista, i richiami al sacro valore della libertà e la pretesa di diffonderla con la forza, l’universalismo democratico di matrice illuminista e velleità imperialiste venate di razzismo.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900