2. Le monarchie europee e la penisola italiana

2. Le monarchie europee e la penisola italiana

L’espansionismo di Luigi XIV
Luigi XIV (1643-1715) costruì in Francia un potere assoluto e centralizzato che si basava su un sistema di governo molto diverso da quello tedesco. La Reggia di Versailles [ 3] era la manifestazione visibile dell’autorità del Re Sole, capace di plasmare un’organizzazione gerarchica intorno alla sua immagine e di ristrutturare il paese sul piano militare, economico, politico e religioso. Il potere che si irradiava dallo sfarzoso palazzo era così forte da rappresentare un modello per le altre monarchie continentali, che tentarono per decenni di trovare analoghi strumenti di autopromozione e di esercitare un simile controllo sui propri sudditi. A beneficiare delle iniziative del potere fu anche la cultura francese che – grazie all’opera di filosofi, drammaturghi e moralisti – riuscì a influenzare intellettuali di diverse estrazioni culturali.

Già alla fine degli anni Sessanta del XVII secolo, le mire espansionistiche del sovrano francese sembravano chiare. A farne le spese fu in primo luogo la Spagna, uscita provata dalla Guerra dei Trent’anni e costretta a far fronte a una difficile congiuntura economica. Anche l’Inghilterra, le Province Unite e la Svezia avevano cercato di unire le forze, temendo l’avanzata francese sul canale della Manica e nei mari del Nord. Le apprensioni più grandi erano però legate alle mire del Re Sole verso il cuore del continente, divenute evidenti con l’annessione della Franca Contea, dell’Alsazia e di Strasburgo, e continuate con l’invasione del Palatinato nel 1688.

I soldati francesi, affamati da campagne che sembravano non aver fine, si diedero ai saccheggi nel cuore del mondo tedesco, lasciandosi alle spalle miseria e rovine. Il Sacro Romano Impero reagì, ottenendo l’appoggio dei principi territoriali e delle altre potenze del Nord Europa. Le ostilità continuarono fino alla fine del secolo. Solo nel 1697 si trovò, infatti, il modo di arginare un’avanzata ormai decennale con la Pace di Ryswijk, ma le condizioni non furono certo sfavorevoli al sovrano francese che conservò tutti i territori precedentemente incorporati.

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La Spagna di Carlo II

Il regno di Carlo II d’Asburgo (1665-1700) in Spagna fu segnato da fortune alterne, soprattutto sul piano economico. Gli interminabili conflitti della prima metà del Seicento pesarono per lungo tempo sul paese e solo a partire dagli anni Ottanta ci fu una ripresa che ebbe effetti positivi sull’agricoltura, sulla manifattura e sul commercio. Le inquietudini maggiori riguardavano tuttavia la successione. Sul finire del secolo le condizioni di salute del sovrano cominciarono a peggiorare vistosamente e non c’erano figli né fratelli pronti a occupare il suo posto. Il potere centrale subì quindi un forte ridimensionamento di fronte all’ipotesi, sempre più concreta, di un’estinzione della dinastia. Il trono finì, di conseguenza, nelle mire di Luigi XIV e di Leopoldo I: i due sovrani erano ben consapevoli che in ballo c’era il diritto di gestire possedimenti immensi, che andavano dagli Stati italiani ai Paesi Bassi, fino al Nuovo Mondo.

La Guerra di successione spagnola
Nelle principali corti europee si cominciò a discutere sulla successione e molti cercarono di far valere i loro diritti vantando legami diretti o indiretti con la dinastia regnante. Carlo II morì nel 1700 indicando come suo successore Filippo di Borbone, duca d’Angiò e nipote del re di Francia. L’imperatore del Sacro Romano Impero Leopoldo I cercò di opporsi, proponendo la candidatura di suo figlio Carlo. Questi fu appoggiato da Inghilterra, Prussia-Brandeburgo e Savoia: pur di evitare che il Re Sole potesse esercitare un potere così grande, diedero inizio a un conflitto destinato a durare oltre un decennio. Le tensioni si allentarono, infatti, solo nel 1711.

La morte dell’erede al trono di Vienna Giuseppe I offrì proprio all’arciduca Carlo la possibilità di riportare in vita l’immenso apparato politico che era stato sotto il controllo del suo antenato Carlo V. Di fronte alla possibilità concreta di favorire in modo eccessivo gli Asburgo, la coalizione antifrancese scelse di lasciare campo libero a Filippo di Borbone (salito al trono con il nome di Filippo V). Quest’ultimo fu così confermato re di Spagna, Milano, Napoli e Sardegna, mentre i Paesi Bassi passarono agli Asburgo (Trattati di Utrecht e Rastadt del 1713-14) [ 4]. Vittorio Amedeo II di Savoia prese possesso della Sicilia, ma solo per poco tempo, visto che nel 1720 accettò di scambiarla con la Sardegna. Oltre a ottenere il controllo di Gibilterra (luogo strategico per essere presente nel Mediterraneo), il Regno di Gran Bretagna riuscì a sottrarre alla Francia vaste aree dell’America settentrionale.

Gli ultimi anni del Re Sole e le critiche al suo potere

Luigi XIV non riuscì a trarre i benefici sperati dalla Guerra di successione spagnola. Il paese pagò a caro prezzo lo sforzo bellico: nel 1709-10 ci fu una grave carestia che acutizzò le tensioni già presenti nel paese. Gli episodi di ribellione popolare che ne seguirono non rimasero isolati: intellettuali e aristocratici approfittarono della nuova atmosfera per esprimere insofferenza verso le politiche assolutistiche del Re Sole. Molti ugonotti (i protestanti francesi) riuscirono a lasciare il paese e a far fortuna in altre aree del continente, come le Province Unite e la Prussia, sottraendosi al clima persecutorio che seguì la revoca dell’Editto di Nantes (1598), che aveva concesso loro la libertà di culto.

Il sovrano morì nel 1715, lasciando lo Stato in una situazione difficile sia sul piano economico sia su quello politico. Dopo aver regnato per ben 72 anni, consegnava infatti il trono al pronipote Luigi d’Angiò, che aveva solo 5 anni.

Gli Stati italiani
Gli Stati italiani attraversarono, dopo la metà del Seicento, una fase difficile. La Guerra dei Trent’anni aveva devastato la parte settentrionale della penisola e la situazione fu aggravata dalla pestilenza del 1656-57, che colpì il Mezzogiorno, lo Stato pontificio e Genova. I primi segni di ripresa demografica cominciarono a manifestarsi solo tre decenni più tardi, riportando l’intera area ai livelli di inizio secolo. L’aristocrazia e il clero conservavano gran parte delle loro prerogative, esercitando un forte controllo sulla vita sociale e politica.

A Napoli i fermenti intellettuali sorti intorno a istituzioni filosofico-scientifiche come l’Accademia degli Investiganti furono spenti dall’Inquisizione che, fra il 1688 e il 1697, condannò numerosi uomini di cultura accusati di ateismo.

Il Ducato di Milano godette di maggiori attenzioni da parte dei dominatori spagnoli, vista la sua posizione strategica nello scacchiere geopolitico europeo e nella rete dei mercati internazionali. Gli eventi bellici e la crisi dinastica che seguirono la morte di Vittorio Amedeo I (1630-37) condussero invece il Ducato di Savoia in una spirale negativa che si esaurì solo negli anni Settanta, quando Carlo Emanuele II (1663-75) riuscì a rafforzare il potere centrale e a riavviare l’economia, seguendo anche l’esempio francese.

La Repubblica di Venezia perse parte della sua importanza nei traffici mediterranei, subendo l’aggressività dell’Impero ottomano e assistendo all’affievolirsi della sua influenza sul Peloponneso e sull’Adriatico, soprattutto a vantaggio di Ragusa, attuale Dubrovnik. I tentativi di coinvolgimento delle famiglie della terraferma veneta nella vita politica non produssero i risultati sperati: il prestigio della Serenissima rimase quindi legato allo splendore culturale, al ricco artigianato e alle spettacolari feste che attiravano visitatori da diversi paesi.

Come per la Repubblica di Venezia, l’arte, l’architettura e le grandi cerimonie religiose furono elementi caratterizzanti la vita di Roma. La Santa Sede attingeva a queste risorse per mantenere intatta la sua credibilità in uno scenario geopolitico che la vedeva sempre più incapace di incidere nei rapporti diplomatici fra le grandi potenze europee.

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L’Inghilterra della Gloriosa rivoluzione

Nel 1685 Giacomo II Stuart successe sul trono d’Inghilterra al fratello Carlo II (1660-85). Il nuovo sovrano non esitò a intraprendere iniziative per il rafforzamento del potere monarchico ai danni del parlamento. Inasprì il sistema giudiziario cercando di reprimere, con pesantissime condanne, le voci di dissenso; inoltre Giacomo II assegnò un ruolo centrale all’esercito, reclutando nuovi soldati e nominando comandanti fedeli alla corona. Dopo essersi convertito al cattolicesimo, riuscì ad avere, dal suo secondo matrimonio con la nobildonna italiana Beatrice d’Este, un erede maschio di nome Giacomo Edoardo. Questa nascita rese sempre più concreta la prospettiva di ricreare una dinastia obbediente alla Chiesa di Roma e mise in allerta i numerosi oppositori interni, orientati invece alla conservazione dell’anglicanesimo.

Tali politiche assolutistiche suscitarono una risoluta reazione nello schieramento dei whigs, propugnatori dei diritti del parlamento, della tolleranza religiosa, degli interessi marittimi e coloniali. Si allinearono ben presto anche i tories, difensori della proprietà fondiaria, fautori del legittimismo monarchico e del protestantesimo. In una situazione di stallo e di diffuso malcontento, risultò decisivo l’intervento dello statolder (luogotenente) d’Olanda Guglielmo III d’Orange, che aveva sposato Maria Stuart, figlia di primo letto di Giacomo. Animato da grosse ambizioni e da un saldo sentimento anticattolico, Guglielmo organizzò una spedizione militare e, nel novembre del 1688, riuscì a spodestare il suocero.

Tuttavia non fu semplice per lui conquistare il potere: il parlamento fece valere il suo peso, circoscrivendo in maniera netta gli spazi di azione del possessore della corona sul piano legislativo, fiscale, giudiziario e militare. Nel 1689 fu emanato il Bill of Rights [ 5]: questo atto allargava le prerogative dei deputati stabilendo che il sovrano non poteva mantenere il controllo di un esercito permanente, ordinare prelievi fiscali o compiere atti legislativi senza il loro consenso. Al contempo, affermava principi di tolleranza religiosa per coloro che non aderivano al rito anglicano, ma da questi benefici rimanevano esclusi i cattolici. La complessiva opera di risistemazione normativa degli assetti del potere monarchico venne definita “Gloriosa rivoluzione”: l’espressione tendeva a sottolineare che il tutto si era realizzato senza di spargimenti di sangue.

La nascita della Gran Bretagna

La dinastia Orange ribadì la centralità del parlamento, ma puntò anche sul rafforzamento degli apparati militari al fine di arginare la Francia di Luigi XIV e di preservare gli equilibri continentali. Riuscì anche a favorire un corposo sviluppo economico e commerciale, ma ciò non bastò a dare al paese l’auspicata stabilità politica. Una nuova crisi dinastica portò al trono nel 1702 Anna Stuart, seconda figlia di Giacomo II, che ereditò anche la Scozia e l’Irlanda. Cinque anni più tardi l’Union Act diede di fatto inizio al Regno di Gran Bretagna, unificando formalmente le corone di Scozia e Inghilterra (l’Irlanda si sarebbe aggiunta nel 1801). Il nuovo regno adottò bandiera e moneta unica, ponendo le basi per l’affermazione di un impero coloniale.

La Guerra di successione spagnola confermò la centralità inglese negli equilibri continentali e planetari. La solidità del nuovo organismo politico era tale da rendere possibile l’ennesimo avvicendamento al trono senza traumi eccessivi. I figli di Anna erano morti tutti in età prematura, lasciandola priva di eredi diretti. Il problema fu risolto dal parlamento che – seguendo una prassi ormai consolidata – consegnò nel 1714 la corona a Giorgio I di Hannover (1714-27), cugino di secondo grado della regina. A lui risalgono le origini della dinastia Windsor, ancora oggi sul trono di Gran Bretagna.

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L’egemonia russa e la fine del primato svedese sul Baltico

Sotto la guida dello zar Alessio Romanov e soprattutto del nipote, Pietro I detto “Il Grande”, salito al trono nel 1682, la Russia uscì da un lungo periodo di divisioni interne, motivate da ragioni economiche, politiche e religiose. Lo zar iniziò una paziente opera di  occidentalizzazione del paese, affidandosi a scienziati e tecnici reclutati nei paesi europei. Vennero così rilanciate la manifattura, l’agricoltura e l’estrazione mineraria e riorganizzati gli apparati amministrativo e militare. Pietro I cercò di affermare la sua influenza fino ai Balcani, mirando a diventare un punto di riferimento per l’intera area orientale del continente europeo. Strinse un’alleanza con la Polonia e la Danimarca per contrastare il primato svedese sul Mar Baltico: riuscì nel suo intento grazie a un lungo il conflitto, la Grande guerra del Nord, che si concluse nel 1721.

Sotto la guida di Pietro I, che morì nel 1725, la Russia fece anche enormi progressi nell’opera di colonizzazione della Siberia [ 6], la sterminata fascia settentrionale del continente asiatico estesa fino all’Oceano Pacifico, abitata da gruppi isolati che vivevano di caccia e raccolta. Minatori, allevatori e contadini furono incoraggiati a migrare verso est, conferendo una nuova identità socioeconomica a un territorio immenso, che copriva quasi un sesto della superficie terrestre.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900