La storiografia della Rivoluzione francese ha sempre rivolto uno sguardo particolarmente attento a Parigi, riflettendo cosi in modo simmetrico il ruolo fortemente accentratore esercitato spesso dalla capitale nei confronti del resto del territorio nazionale. Se ripercorriamo, all’interno di questa vastissima produzione storiografica, proprio le pagine dedicate alla rivoluzione parigina, emerge con insistenza il ruolo di protagonisti svolto nelle sue fasi più acute e drammatiche dai celebri faubourgs, i sobborghi di Parigi, ormai parte integrante della città – divenuti serbatoio inestinguibile di energie rivoluzionarie. Sono infatti i faubourgs Saint-Antoine e Saint-Marcel a essere stati individuati come simbolo per antonomasia del movimento rivoluzionario nella sua colorazione popolare e radicale. […]
Del ruolo assunto da questi faubourgs erano chiaramente consapevoli coloro che guardavano al loro potenziale di rivolta con timore e preoccupazione; si tratta delle amministrazioni di polizia che, prima e durante la rivoluzione, non cessarono di tenere gli occhi puntati su di essi per mezzo di una fitta rete di agenti e di informatori. Dall’altra parte era il popolo di Parigi che si rivolgeva ai “fratelli dei faubourgs Saint-Antoine e Saint-Marcel” aspettando molto spesso da loro una prima mossa per sollevarsi e contando sulla loro forza di mobilitazione come ultimo baluardo della resistenza popolare.
II carattere eminentemente popolare di questi quartieri si inquadra nel generale processo di smembramento e di ricomposizione del tessuto urbano di ancien regime; se questo fenomeno è destinato ad accentuarsi con decisione solo nel corso del XIX secolo, una prima se pur non esclusiva polarizzazione della città è chiaramente riscontrabile alla vigilia della rivoluzione: al di fuori del centro dove coesistono ancora le sedi delle istituzioni politiche, amministrative, giudiziarie e le dimore signorili affianco a un affastellarsi di abitazioni di artigiani e operai, si delinea con evidenza un settore occidentale abitato da un pubblico ricco, e un settore orientale – corrispondente ai due faubourgs Saint-Antoine e Saint-Marcel separati fra loro dal corso della Senna – a carattere marcatamente povero.
Composizione sociale popolare e disponibilità alla rivolta si coniugano dunque nella caratterizzazione di entrambi i quartieri, ma a questo proposito un fatto abbastanza curioso e apparentemente inspiegabile ci è proposto dalle vicende dei primi anni della rivoluzione. Se troviamo incontestabilmente il faubourg Saint-Antoine con i suoi abitanti alla testa delle prime journées, come centro di propulsione rivoluzionaria, se proprio esso ne fu sovente teatro, il faubourg Saint-Marcel, dal canto suo, mosse i suoi primi passi nella rivoluzione in modo piuttosto cauto; bisognerà attendere […] l’assalto alle Tuileries del 10 agosto 1792, per assistere al risoluto ingresso del faubourg nella scena rivoluzionaria parigina. […]
Una presenza dunque, ma all’interno di un comportamento complessivamente moderato; questo dato non ci è noto solo dall’analisi delle folle rivoluzionarie, ma appare fra le righe dalle ammissioni stesse dei suoi abitanti. […] I motivi di questa discrepanza vanno ricercati soprattutto nei rapporti di direzione politica e di egemonia instauratisi nei differenti quartieri e in specie nei primi embrioni di organizzazione municipale che il Terzo Stato si era dato: tutto ciò rimanda allo studio delle vicende politiche dei primi anni della rivoluzione a Parigi, alla vita dei distretti e dei battaglioni della guardia nazionale.
Ciò che però ci interessa ricostruire qui è l’origine della reputazione rivoluzionaria del faubourg Saint-Marcel, i motivi dunque per cui, nonostante una presenza modesta alle prime journées parigine, questo quartiere riusciva ad attrarre su di sé le attenzioni più scrupolose da parte della polizia, cosi che le sue strade, i suoi mercati, i centri di convergenza delle emozioni collettive, costituivano la tappa obbligata delle perlustrazioni dei commissari, delle guardie e degli informatori. Quanto queste precauzioni non fossero inutili è dimostrato dalla piega che avrebbe preso la storia di questo quartiere non appena i “cittadini passivi”1 – esclusi dal regime censitario – fecero il loro ingresso nella scena politica all’indomani del 10 agosto 1792. La ricerca delle origini di questi fenomeni ci ha spinti a un cammino a ritroso nell’ultimo ventennio dell’ancien regime; se le loro radici affondano in una tradizione senz’altro più antica, è in questo periodo che un’abituale irrequietezza coincide con la sempre più grave perdita di prestigio e di credibilità da parte della monarchia e delle sue istituzioni. […] Negli anni compresi approssimativamente tra il 1775 e il 1789, si riscontrano nel faubourg Saint-Marcel, come in altri punti significativi della capitale, una serie di agitazioni e di sollevamenti popolari, le cui caratteristiche e motivazioni sono spesso diverse, ma che concorrono a fornirci una tipologia abbastanza ricca ed emblematica dello scontro sociale e delle componenti in esso coinvolte. Lo studio dei movimenti popolari isolato dal contesto socioeconomico specifico che li genera, e quindi dalle contraddizioni che essi sottendono e che essi riflettono, conduce spesso a estrapolazioni azzardate e la ricerca degli elementi costitutivi della rivolta decantati e analizzati allo stato puro avrebbe, nel nostro caso, il difetto di non aggiungere granché a quanto si conosce già della sua fisionomia nell’epoca preindustriale, di appiattire le particolarità concrete e di ridurre il nostro studio a uno psicologismo dei comportamenti di massa piuttosto vacuo. […]
II carattere popolare di questo territorio trovava una prima conferma nella scarsa presenza di ceti nobiliari o alto borghesi: quasi assenti i magistrati regi, quelli del parlamento e delle altre corti sovrane, cosi come i quadri dell’alta finanza e del negoce2. Siamo invece di fronte a un vasto panorama di artigiani in cui la piccola produzione si è affermata come forma dominante; e ciò in virtù dell’origine stessa del faubourg, che deve il suo sviluppo al trasferimento di diverse attività artigianali, divenute ormai intollerabili e fonte di inquinamento nel centro della città densissimo e sovrappopolato, verso il suo territorio. Questo fenomeno giustifica la presenza di alcuni settori produttivi di cui il faubourg conservava un semimonopolio – è il caso ad esempio delle concerie e delle birrerie – cosi come di altre attività tipiche all’interno delle quali si erano formate delle autentiche dinastie artigianali i cui esponenti si trovavano raramente impegnati in un rinnovamento tecnologico della loro produzione, ma si preoccupavano piuttosto della salvaguardia del loro mercato.
Accanto ai laboratori artigianali, alle innumerevoli botteghe dedite soprattutto al vasto commercio dei generi di prima necessità, si trovavano pure al faubourg Saint-Marcel delle manifatture e delle imprese che occupavano un’abbondante mano d’opera salariata. Se è opinione comune che queste fasce di lavoratori fossero nei faubourg meno rappresentate che nel centro della città, si tratta di una constatazione che ha il difetto di mettere in ombra un altro fattore di estrema importanza; col montare della crisi economica – e ciò soprattutto nella seconda metà degli anni ’80 – il processo di declassamento della mano d’opera meno specializzata risultava accelerato: ampi settori di salariati venivano a trovarsi continuamente alle soglie del lavoro precario e occasionale, anticamera tradizionale della disoccupazione. Questi strati, pur parte integrante delle classi lavoratrici, sfuggono per definizione a ogni censimento che tenga per base la mano d’opera impiegata; da qui, la possibilità di errori sensibili di valutazione, a maggior ragione in un periodo in cui la disoccupazione diventa una piaga dilagante: il lavoro precario e dequalificato sconfina allora, tramite la disoccupazione, verso l’indigenza e i limiti tra questi due settori si fanno sempre più fluidi. […]
Rivolte annonarie, conflitti sul lavoro, sollevazioni a carattere politico, ruotano […] attorno ad altrettanti problemi relativi all’esistenza dei settori subalterni della società. Abbiamo messo più volte in guardia contro un’interpretazione anacronistica di questi fatti poiché siamo ancora ben lungi dalla comparsa delle forme di lotta e di coscienza tipiche di una società industriale; in compenso, la dinamica stessa delle lotte [avvenute nel quartiere alla fine del Settecento], pur esprimendosi con strumenti tattici spesso rudimentali e involuti, rivela alcune linee di tendenza che ritroveremo sviluppate compiutamente nel secolo successivo, così pure una tensione verso l’organizzazione dettata dalle necessità pratiche di resistenza all’apparato repressivo e alle ritorsioni padronali che, per quanto fragile ed embrionale, annuncia quelle che saranno le forme tipiche dell’agitazione sindacale.
Per quanto riguarda il faubourg Saint-Marcel, è con questo bagaglio di esperienze che esso si lancerà nello scontro rivoluzionario. Nuove contraddizioni si sarebbero accavallate e diversi rapporti di forza si sarebbero instaurati, atti a cambiare il panorama complessivo del quartiere, ma una serie di problemi inerenti alla sua struttura produttiva e alla sua fisionomia sociale sono destinati a rimanere aperti non solo nel corso della rivoluzione, ma a ripresentarsi con forza nei primi decenni del secolo successivo.
tratto da Conflitti sul lavoro e protesta annonaria a Parigi alla fine dell’ancien régime, in “Studi Storici”, 19-4 (1978)