6.1 Il consolato: le basi del nuovo regime

Per riprendere il filo…

La Rivoluzione francese, oltre a provocare la caduta della monarchia borbonica e a propiziare l’instaurazione di un nuovo ordine politico, aveva dato vita a un processo di trasformazione profonda degli assetti sociali, culturali, economici e religiosi del paese. La partecipazione della popolazione allo scontro politico era stata vivissima, con dibattiti, assemblee, manifestazioni, pubblicazioni di libri e giornali, ma anche forti e nuove forme di violenza. Un ruolo fondamentale era stato assunto dall’esercito e dall’esigenza di esportare il nuovo ordine in altri paesi: la Francia non poteva rimanere isolata nello scacchiere delle egemonie continentali, di fronte alle vecchie monarchie che temevano il diffondersi di nuove idee di libertà, uguaglianza e partecipazione popolare. Nell’alternarsi di successi e insuccessi, la politica estera dei governi rivoluzionari diventò decisiva anche per il mantenimento degli equilibri interni. Il potere esecutivo e quello legislativo, infatti, si trovarono più volte a difendersi dagli attacchi controrivoluzionari e sovversivi ricorrendo anche all’uso della forza militare. Fra i generali più in vista, un particolare rilievo fu assunto da Napoleone Bonaparte, vittorioso nelle guerre in Italia e rocambolescamente sfuggito agli inglesi dopo una spedizione in Egitto.

6.1 Il consolato: le basi del nuovo regime

La Costituzione dell’anno VIII e la svolta autoritaria
Il colpo di Stato del 18 brumaio dell’anno VIII segnò l’interruzione di una lunga fase di instabilità. I tre membri del consolato provvisorio – Sieyès, Ducos e Bonaparte – si misero al lavoro per redigere una nuova carta costituzionale, che entrò in vigore il 25 dicembre del 1799 e impresse una netta svolta in senso autoritario. Si trattava di un testo molto breve, composto da 95 articoli, che faceva riferimento ad alcune libertà fondamentali senza includere una vera e propria “dichiarazione di diritti”. Si introduceva un suffragio universale maschile, ma gli elettori potevano solo indicare liste di notabili (sia nei dipartimenti sia a livello nazionale) che si mettevano a disposizione del governo: era infatti quest’ultimo a scegliere dalle stesse liste gli amministratori locali e i membri delle due assemblee rappresentative (ora chiamate Tribunato e Corpo legislativo), alle quali era riservata la facoltà di discutere, approvare o respingere le leggi [ 1].

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La cosiddetta Costituzione dell’anno VIII faceva quindi pendere la bilancia dei poteri nettamente dalla parte dell’esecutivo. Napoleone tuttavia non si accontentò di questo risultato e provvide a farsi attribuire la carica decennale di primo console, arrogandosi il diritto di nominare ministri, giudici, ambasciatori, nonché i componenti di un Consiglio di Stato incaricato di coadiuvarlo nella sua azione. Il suo intento era porre fine alla Rivoluzione, salvaguardandone l’eredità sul piano politico e sociale, ma chiudendo con il disordine, le lotte intestine, l’uso della violenza. Il progetto fu perseguito con determinazione. Le opposizioni subirono un pesante ridimensionamento e persino la diffusione delle idee divenne oggetto di cautele, con diversi interventi come le censure sulla stampa, la chiusura di diversi giornali, l’impiego di forze di polizia per reprimere adunanze clandestine e focolai di dissenso. Dettando le sue Memorie alcuni anni più tardi al funzionario Emmanuel de Las Cases, Napoleone avrebbe descritto questa riduzione “provvisoria” della libertà come una mossa necessaria, finalizzata ad affrontare l’emergenza e a portare la Francia definitivamente fuori dalla crisi.
Le prime riforme
A capo dei dipartimenti in cui era suddiviso il paese furono posti dei prefetti e sottoprefetti (con incarichi revocabili), che coordinavano anche l’operato dei sindaci nei singoli comuni, garantivano l’ordine pubblico, la regolarità degli scambi commerciali, gli approvvigionamenti, preoccupandosi persino di controllare la circolazione delle notizie, di raccogliere proteste e lamentele, di produrre statistiche per poter comprendere i bisogni più urgenti della popolazione. Il sistema giudiziario fu razionalizzato, con giudici nominati direttamente dal governo e 28 corti d’appello, incaricate di sorvegliare sulle procedure dei tribunali inferiori ed eventuali sentenze inique.

Anche la riscossione delle tasse fu affidata ad agenti dello Stato e fu istituito un nuovo sistema che aumentò in maniera sensibile il gettito (ovvero l’insieme delle entrate): le nuove imposte furono prevalentemente indirette e andarono a pesare non sulla proprietà e sui redditi, ma sui consumi e sugli scambi. Fu creata una Banca di Francia con lo scopo di regolare il sistema del credito e di mantenere stabili i tassi di interesse, ma anche preposta a emettere e sostenere una nuova moneta, il “franco germinale”, che doveva fare da antidoto alle oscillazioni della valuta che si erano susseguite durante la Rivoluzione.
Napoleone, le potenze europee e la Chiesa cattolica
In politica estera la situazione era complessa. Nonostante il ritiro della Russia dalla seconda coalizione antifrancese (imputato ad alleati inaffidabili) nei primi mesi del 1800 la Francia rimaneva accerchiata. L’idea di Napoleone era quella di concentrare gli sforzi contro gli austriaci per estrometterli dal conflitto e poi affrontare gli inglesi.

Il 14 giugno ottenne in effetti un’importante vittoria nella località piemontese di Marengo e gli Asburgo dovettero riconoscere (con la Pace di Lunéville del febbraio 1801) il fiume Adige come confine orientale della Repubblica cisalpina. Il Trattato di Amiens, firmato il 25 marzo 1802 con la Gran Bretagna, segnò la prima pacificazione della Francia con i suoi nemici dall’inizio delle guerre rivoluzionarie.

Sul fronte interno, il generale corso si concentrò sulla pacificazione religiosa. Una svolta importante fu data dal concordato stipulato con il nuovo papa Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti, 1742-1823). La Chiesa si impegnò a riconoscere la Repubblica francese e a convalidare la vendita dei beni ecclesiastici, imponendo le dimissioni ai vescovi in carica e sostituendoli con altri scelti dal primo console, chiamati a giurare fedeltà al governo. In cambio la Francia si impegnò a mantenere con i propri fondi gli ecclesiastici e accettò il cattolicesimo come religione della “grande maggioranza dei francesi” (ma non come religione di Stato). Ai protestanti e agli ebrei venne riconosciuta libertà di culto, ma con vincoli in relazione al godimento dei diritti civili.

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La monarchia amministrativa e il Codice civile

I successi conseguiti nei primi due anni consentirono a Napoleone di rafforzare ancora di più la sua opera di centralizzazione del potere, completando la costruzione di una monarchia amministrativa che intendeva premiare l’efficienza e la competenza. Il 5 agosto del 1802 fu nominato console a vita e spinse per legittimare la decisione con un  plebiscito, confermando l’importanza attribuita alla “volontà popolare”, ma intendendo in questo caso accentuare la capacità di un capo di interpretare gli interessi di una moltitudine. Istituì inoltre la Legione d’onore, un’onorificenza che gli consentì di affermare la centralità dell’esercito nel corpo sociale, ma anche di costruirsi una cerchia di fedeli che si autorappresentavano come una nobiltà nuova, in grado di godere di un solido prestigio derivante non dalla nascita, ma dal merito militare e civile [ 2].

Un ruolo di primo piano nel progetto di governo fu assunto anche dalla riforma del sistema scolastico. Furono aperti 45 licei controllati dallo Stato e destinati a istruire i nuovi ceti dirigenti mediante una rigida disciplina e una formazione incentrata sugli studi letterari. Alla fine del percorso gli allievi passavano in istituti di perfezionamento, come la Scuola politecnica (nata nel 1794) che assunse un carattere prevalentemente militare, destinando i suoi studenti anche ai campi di battaglia. Il settore universitario non ripartì in maniera decisa, dopo gli scossoni subiti durante la Rivoluzione, lasciando di fatto spazio a una supremazia accademica tedesca destinata a segnare i decenni successivi [▶ cap. 3.2]. Al vertice del sistema fu posto un “gran maestro” che obbediva direttamente al governo centrale: aveva il compito di accreditare i diversi enti educativi, concedere le licenze di insegnamento agli studiosi e valutare il loro operato. La formazione degli insegnanti di lettere e scienze fu affidata alla Scuola Normale Superiore, già creata nel 1794 e rafforzata nel 1808 con l’imposizione di criteri ardui di selezione per l’ammissione dei nuovi allievi. Nel 1810 fu poi creata la succursale italiana, la Scuola Normale Superiore di Pisa.

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Risale invece al marzo 1804 la promulgazione del Codice civile [▶ oggetti]. Ispirato al diritto romano, il nuovo corpus di leggi confermava le grandi conquiste della Rivoluzione, ribadendo l’abolizione dei privilegi feudali, difendendo le libertà individuali e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Una grande attenzione era dedicata alla difesa del diritto di proprietà, evidentemente legato agli interessi delle borghesie in ascesa che sentivano il bisogno di tutelare le posizioni guadagnate negli anni precedenti.

Molto spazio ebbe anche la regolamentazione della famiglia. Il Codice stabiliva infatti che le eredità dovevano essere divise in parti uguali fra tutti i figli: erano dichiarati illegittimi i diritti di  primogenitura che in antico regime riservavano tutti i beni disponibili al figlio maggiore, mantenendo compatti i grandi patrimoni. Fu riconosciuta la validità del divorzio, ma fu anche rafforzata l’autorità paterna attraverso l’affermazione dell’inferiorità giuridica delle donne e della loro esclusione dalla cittadinanza politica.

  oggetti

Il Codice civile

Nel corso dell’antico regime il diritto faceva riferimento a molteplici fonti: le norme emanate dai re convivevano con le consuetudini locali, cittadine, feudali, nonché con quelle ecclesiastiche. I giudici avevano quindi ampi margini di arbitrarietà nell’interpretare le leggi. Nel corso del XVIII secolo c’erano stati diversi tentativi finalizzati a razionalizzare un sistema farraginoso, come per esempio le Costituzioni dello Stato sabaudo, il Codice penale austriaco e quello leopoldino nel Granducato di Toscana. A metterli in atto erano stati i sovrani vicini alla cultura illuminista (Pietro Leopoldo, per esempio, si era esplicitamente ispirato al trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria per arrivare ad abolire la tortura e la pena di morte), ma i risultati conseguiti restavano parziali, lontani da una riforma organica capace di superare i particolarismi e i privilegi che ancora dominavano gli apparati politici.

Napoleone organizzò fin dall’estate del 1800 una commissione che doveva lavorare al nuovo documento, il Codice civile, destinato a diventare un modello per altri paesi nel corso dell’età contemporanea e a separare l’esperienza giuridica dell’Europa continentale da quella britannica, fondata sulle consuetudini e sulle tradizioni processuali più che su riferimenti normativi precisi. Il risultato finale – 2281 articoli divisi in tre libri dedicati alle «persone», ai «beni» e ai «modi coi quali si acquista la proprietà» – fu una sintesi estremamente riuscita fra tradizione e innovazione. Nel Codice si incontravano infatti le eredità del diritto romano, il diritto consuetudinario francese e i valori affermati durante la Rivoluzione. La famiglia, per esempio, pur abbandonando l’indissolubilità del matrimonio e aprendosi a principi come l’uguaglianza fra i figli, restava rigidamente patriarcale. La moglie non poteva prendere decisioni rilevanti senza l’autorizzazione del marito. I figli rimanevano in una situazione di totale subordinazione fino ai 21 anni e non potevano sposarsi senza il consenso dei genitori fino ai 25 anni.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900