5.4 Il potere del Direttorio e gli equilibri europei

5.4 Il potere del Direttorio e gli equilibri europei

La Costituzione dell’anno III
La Convenzione cercò di frenare le agitazioni e fece cadere i vincoli sul commercio mettendo fine al calmiere sui prezzi, ma gli effetti furono negativi perché ci furono nuove penurie di beni primari. Le memorie del tempo raccontano di giovani borghesi che uscivano dai locali notturni alle prime ore del mattino e incontravano per strada file di poveri in attesa davanti ai forni. I sanculotti reagirono e riuscirono anche a coinvolgere donne dei sobborghi per assaltare l’assemblea e chiedere giustizia, ma l’iniziativa fu repressa e portò all’eliminazione di molti deputati della Montagna.

Il 22 agosto del 1795 fu approvata la Costituzione dell’anno III, che aggiungeva all’affermazione dei diritti una Dichiarazione dei doveri, fra i quali il rispetto delle leggi e delle autorità. Furono istituite due camere: un Consiglio dei Cinquecento per presentare e discutere le leggi, un Consiglio di Anziani per approvarle o respingerle. L’accesso al voto fu ristretto ai benestanti (si ritornò in parte al sistema del 1791) e il potere esecutivo fu riservato a un Direttorio di 5 membri, scelti dagli Anziani fra una rosa di nomi proposta dai Cinquecento.

L’uscita dall’isolamento e le vittorie in Italia di Napoleone Bonaparte
I rigurgiti filomonarchici furono forti nei mesi immediatamente successivi, così come i tentativi di riaffermare le idee giacobine: il Direttorio si dovette quindi muovere fra questi due fuochi, sforzandosi di tenere in piedi un paese che presentava divisioni interne profonde, proprio mentre la Rivoluzione faceva proseliti in Europa grazie all’opera di volontari che creavano reti di relazioni con attivisti intenzionati a minare il potere di altre monarchie. Un ruolo fondamentale era giocato comunque dall’esercito, in un paese di fatto militarizzato, che vedeva sempre più concreta la prospettiva di potersi liberare dal suo isolamento internazionale affiancandosi ad altre “Repubbliche sorelle”, utili anche a offrire un aiuto economico e a creare un rete commerciale, visto che gli scambi erano spesso negati dai divieti imposti dagli Stati della coalizione antifrancese.

Sul fronte tedesco l’esercito rivoluzionario subì gravi sconfitte, ma in compenso arrivarono importanti affermazioni in Italia grazie al generale Napoleone Bonaparte (1769-1821). Questi concluse con il re di Sardegna Vittorio Amedeo III un armistizio a Cherasco il 28 aprile del 1796; concentrò quindi i suoi sforzi contro gli austriaci battendoli a Lodi (10 maggio) e in diverse occasioni, fino a entrare a Milano il 15 maggio.

Il capo militare, divenuto ben presto celebre per le sue imprese, proveniva da una famiglia di origini nobiliari ma non benestante della Corsica, ceduta da Genova alla Francia nel 1768. Fin dall’adolescenza Napoleone aveva sostenuto la causa dell’indipendenza della sua isola nativa, non sentendosi fino in fondo francese. Fu tuttavia pian piano riassorbito dal suo nuovo paese. Studiò anche grazie a sussidi provenienti dalla monarchia borbonica, ottenne la prima nomina nell’esercito all’età di 16 anni per poi proseguire velocemente la sua scalata e arrivare ai gradini più alti della gerarchia. La famiglia Bonaparte era emigrata definitivamente in Francia nel 1793, dopo un’insurrezione antifrancese in Corsica appoggiata dagli inglesi e capeggiata da Pasquale Paoli (1725-1807), portando comunque in eredità i segni dell’esperienza vissuta.

 >> pagina 164 

Trasformatosi ormai in paladino della Francia, Napoleone sfruttò dunque le vittorie militari per guadagnare prestigio e ottenne la fiducia del Direttorio anche per reprimere il dissenso interno. Il giornalista “Gracchus” Babeuf (1760-97), noto anche grazie al periodico Il Tribuno del popolo, riuscì a mettere insieme un gruppo di congiurati che coinvolse il patriota toscano Filippo Buonarroti (1761-1837) e diversi montagnardi: formarono una società di “eguali” che elaborò un programma utopico di abolizione della proprietà privata e comunanza dei beni, con l’intenzione di rispondere alla miseria dilagante e coagulare un nuovo consenso. Napoleone sciolse il sodalizio nel febbraio del 1796, Babeuf fu catturato il 10 maggio e un anno dopo fu condannato a morte insieme ad altri protagonisti del movimento, mentre Buonarroti fu costretto all’esilio, dopo aver cercato inutilmente di sollevare la pubblica opinione a favore dei cospiratori [ 11].

Il dibattito europeo intorno alla Rivoluzione

La cultura europea aveva sviluppato ampi dibattiti intorno agli eventi del 1789 e degli anni successivi. Filosofi come Immanuel Kant e Pietro Verri avevano colto motivi per celebrare nuove libertà e i diritti dell’uomo. Lo scrittore piemontese Vittorio Alfieri, dopo aver mostrato entusiasmo per la presa della Bastiglia, si spostò su posizioni critiche e sottolineò il tradimento degli ideali illuministici consumato dai rivoluzionari. L’inglese Edmund Burke costruì un vero e proprio paradigma controrivoluzionario nel1790, pubblicando le Riflessioni sulla Rivoluzione francese e condannando la rottura degli ordinamenti sociali vigenti, a vantaggio dell’affermazione di idee che, a suo giudizio, erano astratte e prive di qualsiasi concretezza.

Gli ambienti conservatori del continente, soprattutto quelli riconducibili al cattolicesimo più intransigente e ostili alle innovazioni, cominciarono a vedere nella Rivoluzione il risultato di un complotto epocale ordito dai filosofi illuministi, dai membri della massoneria, dai giansenisti, a loro volta ispirati da padri dell’eresia (“eresiarchi”) come Lutero, Calvino, Newton, Hume e da altri propagatori di idee riconducibili a un unico e ininterrotto filone di disobbedienza, un “▶ indifferentismo” religioso o ateismo. Uno dei più importanti artefici della “teoria del complotto” fu l’abate di formazione gesuitica Augustin Barruel (1741-1820), che nel 1797 pubblicò le Memorie per servire alla storia del giacobinismo, successivamente tradotte in varie lingue e capaci di catalizzare una grande quantità di consensi in Europa.

 >> pagina 165 

La causa primaria del disastro rivoluzionario, stando al famoso testo, era il “filosofismo”, inteso come una fiducia smisurata nella ragione che minava alla base la fede cristiana. Barruel accusava senza mezzi termini Voltaire (ritenuto il capofila della cospirazione), D’Alembert (additato come propagatore del messaggio sovversivo e uomo capace di fare proseliti), Diderot (esponente di avanguardia del “complotto”) e Federico II di Prussia (protettore e consigliere dei “malvagi” filosofi).

I governi monarchici, confortati dall’affermazione di queste correnti tradizionaliste, cercarono di rafforzare l’alleanza fra trono e altare nel corso degli anni Novanta del XVIII secolo, cominciando a inasprire i controlli verso tutti i personaggi sospettati di “giacobinismo”: diverse congiure, vere o presunte, vennero represse con violenza (accadde in Ungheria, in Tirolo, in Piemonte, a Bologna e a Napoli, [▶ fenomeni, p. 166]).

Lo sviluppo di sentimenti nazionali e unitari in Italia
Sotto il controllo del Direttorio, la Francia non si poté sottrarre dall’affrontare i poteri nemici, anche perché trovava nell’aggressione verso l’esterno un importante fattore di unificazione interna. L’obiettivo a est restava la frontiera del Reno, ma l’Austria mostrò notevoli capacità di resistenza. Ben diversi furono gli esiti nella penisola italiana, dove Bonaparte continuò nella sua azione, sfruttando anche le aspettative che crescevano nei confronti dei francesi, individuati da molti letterati come potenziali liberatori dai poteri nobiliari e come fautori dell’inizio di una nuova epoca. Secondo le elaborazioni di alcuni pensatori, anche sul tramonto di divisioni politiche secolari e sull’unificazione dell’intero territorio della penisola.
L’avanzata trionfale di Napoleone durò dal giugno del 1796 al febbraio del 1797. Dopo aver conquistato Milano, il generale si rivolse agli altri territori del Centro-Nord, compresi quelli pontifici. Il 27 dicembre del 1797 i deputati di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia proclamarono la nascita della Repubblica cispadana, che adottò un vessillo tricolore bianco, rosso e verde. Il 18 aprile, l’Austria riconobbe alla Francia il diritto di annettersi la Lombardia, ma il Direttorio decise di cogliere l’occasione per reperire le risorse finanziarie mancanti al governo rivoluzionario e finì per ordinare, fra le altre cose, il prelievo da quella regione di opere d’arte e altri oggetti preziosi.

 >> pagina 166 

A Milano fu bandito un concorso, su suggerimento di Bonaparte, su “Quale dei governi liberi” potesse convenire alla “felicità dell’Italia”. Il tema era davvero molto sentito e invogliò scrittori della penisola e di altre parti d’Europa, che risposero con entusiasmo. Gli elaborati e i progetti proposti furono numerosi e variegati, frutto di punti di vista diversi fra loro. Tuttavia si riconobbero con facilità i tratti comuni alle posizioni dei partecipanti, perché molti invocarono un sistema politico indipendente e fondato sulla sovranità popolare.

Il 12 maggio del 1797 a Venezia il doge fu deposto e sostituito una nuova municipalità repubblicana. Stessa sorte ebbe il governo aristocratico di Genova che fu soppresso e sostituito da una Repubblica ligure. A Milano nacque invece la Repubblica cisalpina, che aggregò nel giro di poco tempo anche la cispadana.

La città era divenuta ormai un luogo di incontro per i profughi politici provenienti da altre aree della penisola, che vedevano nell’unità nazionale il presupposto necessario per un profondo rinnovamento delle strutture sociali ed economiche: erano per lo più giovani borghesi istruiti, affascinati dalle idee libertarie ed egualitarie affermatesi con la Rivoluzione, in alcuni casi vicini alle posizioni di Robespierre, ma fermi nella condanna del Terrore. Gli strati più umili della società, sia in aree urbane che rurali, rimanevano invece esclusi da queste trasformazioni e si rifugiavano in valori e rapporti di protezione tradizionali.

  fenomeni

Monarchia napoletana e fine dei progetti riformisti

Adirata per la condanna a morte della sorella Maria Antonietta, la regina di Napoli Maria Carolina abbandonò i propositi di riforma dello Stato cominciando a guardare con diffidenza gli esponenti del mondo della politica e della cultura che erano sospettati di nutrire simpatie per i rivoluzionari di Francia. Si consumò quindi una spaccatura profonda fra la monarchia e tutti coloro che avevano creduto nei progetti di rinnovamento dello Stato, come quello propugnato anni prima da Gaetano Filangieri. Nel corso degli anni Novanta, molti letterati cominciarono a riunirsi clandestinamente coltivando progetti sovversivi, non potendo più contare sull’appoggio della corona.

La reazione dei regnanti fu violentissima e il dissenso fu represso, con numerosi arresti e condanne. Tuttavia non ci si limitò al solo uso della forza: nel mercato della stampa furono immessi molti testi di propaganda antifilosofica che ripudiavano i dettami dell’Illuminismo e riproponevano l’idea di una monarchia che si doveva fondare sul sostegno della Chiesa. Grande enfasi accompagnò il rafforzamento dell’Accademia dei Sinceri e dell’Arcadia Reale, un sodalizio incentrato sulla fedeltà a Ferdinando IV e sulla polemica contro i “giacobini”, accusati di essere nemici del trono e della fede cattolica.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900