5.5 La fine della Rivoluzione

5.5 La fine della Rivoluzione

Il colpo di Stato del 18 fruttidoro e il Trattato di Campoformio
Fra la primavera e l’estate del 1797, la Francia si trovò di fronte all’ennesima crisi interna. Le elezioni del mese di aprile (germinale) si chiusero con un trionfo della destra monarchica, ma il Direttorio non lasciò campo libero al ritorno al passato, organizzando un colpo di Stato. Il 4 settembre (18 fruttidoro) l’esercito al comando del generale Hoche arrestò i capi della forza politica maggioritaria e affermò definitivamente l’importanza del sostegno militare per garantire la stabilità dell’esecutivo.

Furono proprio questi eventi a cambiare le carte in tavola nella penisola italiana. Sotto la pressione dell’esecutivo, Napoleone tradì le speranze di molti italiani e concluse il 17 ottobre del 1797 il Trattato di Campoformio con l’Austria: in cambio del riconoscimento della Repubblica cisalpina, gli Asburgo ottennero Venezia, l’Istria e la Dalmazia. Le voci dei patrioti delusi si levarono forti, aprendo una lunga stagione di proteste antifrancesi che avrebbe coinvolto altre aree d’Europa, da quella iberica a quella tedesca: fra costoro ci fu lo scrittore Ugo Foscolo, che accusò la Francia rivoluzionaria di comportarsi come una potenza di antico regime, intenta a difendere i propri interessi e a considerare i popoli come merci da barattare [ 12].

L’Italia e la Rivoluzione
In seguito a questa mossa, Bonaparte lasciò l’Italia per intraprendere una spedizione in Egitto in chiave antinglese. Ma l’avanzata nella penisola non si fermò. Nel febbraio del 1798 le truppe francesi entrarono nello Stato pontificio propiziando la creazione della Repubblica romana: il papa Pio VI fu espulso e concluse il suo esilio a Valence (nell’alta Savoia), dove morì qualche mese più tardi. Il sovrano di Napoli Ferdinando IV di Borbone tentò di reagire lanciando un attacco contro l’esercito francese di stanza nel Lazio, ma ebbe la peggio e scappò in Sicilia. Approfittando della sua assenza e confortati dall’arrivo delle truppe transalpine, i patrioti della capitale dell’ex Regno borbonico annunciarono la nascita della Repubblica napoletana il21gennaio del1799. Nel frattempo il Piemonte assisté alla cacciata della corte sabauda (che ripiegava in Sardegna) e il Granducato di Toscana fu occupato militarmente, completando un quadro in cui grandissima parte della penisola risultava legata alla Francia rivoluzionaria, con un ampio ventaglio di “Repubbliche sorelle” (facevano eccezione solo il Veneto, la Sicilia, la Sardegna e il Ducato di Parma e Piacenza, rimasto a Ferdinando di Borbone per i suoi legami di parentela con la Spagna) [ 13].

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I nuovi governi repubblicani cominciarono un lavoro di radicale trasformazione delle strutture sociali. Nel giro di pochi mesi furono progettati molti provvedimenti, come l’abolizione dei diritti feudali e la liberazione degli apparati giudiziari dai particolarismi che ancora li dominavano. A Milano, Genova, Roma, Lucca e Napoli furono promulgate Costituzioni ispirate a quella francese del 1795. Il dibattito pubblico fu stimolato dalla nascita di nuovi giornali, ma i problemi più pressanti rimanevano quelli finanziari, che si ripercuotevano sulle condizioni di vita delle masse popolari. Gli eserciti che proteggevano i nuovi esecutivi avevano bisogno di sostentamento e ricorsero spesso alla forza, sia per accaparrarsi le risorse alimentari di cui necessitavano sia per reprimere le opposizioni che provavano a destabilizzare il nuovo ordine facendo ricorso a stratagemmi di ogni tipo, compresi l’incetta di beni primari, la diffusione di false notizie, l’abuso dei sentimenti religiosi dei più umili.

Le folle controrivoluzionarie
La spedizione di Napoleone in Egitto attraversò fasi alterne: dopo aver ottenuto delle importanti vittorie, il generale fu sconfitto dall’ammiraglio britannico Nelson nella battaglia navale del Nilo (agosto 1798). Nel dicembre del 1798 lo zar di Russia Paolo I (1796-1801) entrò in guerra contribuendo alla formazione di una seconda coalizione antifrancese che coinvolse anche l’Austria. Il Direttorio fu costretto a richiamare in patria molte delle truppe che presidiavano le Repubbliche sorelle e queste ultime cominciarono a cadere, anche sotto i colpi delle popolazioni che diedero vita a insorgenze controrivoluzionarie. Non si ribellarono infatti agli abusi signorili del vecchio regime, ma ebbero un comportamento contrario: sotto la guida di aristocratici e membri del clero, si trincerarono dietro la fedeltà alla corona e si riconobbero nei simboli della religione tradizionale, primo fra tutti il culto tributato alla Vergine Maria e ai santi.

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Il loro atteggiamento si spiega sulla base di ragioni economiche, politiche e culturali. Un ruolo cruciale fu giocato dai disagi provocati dai problemi di approvvigionamento e dal vedersi sfuggire dalle mani il controllo di terre e risorse a vantaggio dei ceti benestanti. Inoltre le trasformazioni politiche ed economiche innescate dalla Rivoluzione avevano aperto delle fratture sociali profonde. La rottura dei privilegi e degli equilibri tradizionali non era stata seguita dall’introduzione di un sistema nuovo ed efficace: intorno ai feudi, alle proprietà ecclesiastiche, ai beni demaniali si erano anzi scatenate guerre fra fazioni che non avevano acquisito alcuna direzione politica. Non di rado accadde che il fronte repubblicano e quello legittimista fossero una mera espressione di potentati preesistenti (nobili o proprietari) che avevano reclutato milizie e ingaggiato lotte di supremazia, spinti dalla volontà di sfruttare la nuova situazione per prevalere sul nemico e per risolvere vecchie contese.

Altrettanto importante fu l’efficacia della propaganda, molto diversa sui due fronti contrapposti. Una larga parte della popolazione non era arrivata a comprendere il senso della rigenerazione proposta dai nuovi governi repubblicani [ 14]. Gli esponenti del mondo cattolico e filomonarchico trovavano terreno più fertile per i loro messaggi. Approfittavano del malcontento e delle insicurezze generate dall’instabilità politico-economica, ma facevano anche leva sulla fedeltà dei ceti più umili che si erano conquistati nei decenni precedenti, continuando a lavorare senza tregua, diffondendo idee contrarie a quelle degli illuministi e dei riformatori, mantenendo un contatto stretto con gli “illetterati” (vale a dire coloro che avevano scarsa dimestichezza con i libri e la scrittura).

Avevano potuto contare del resto sull’opera di missionari, predicatori, sacerdoti [▶ cap. 1.3]: nella “controrivoluzione” raccolsero i frutti dei semi gettati nel periodo cedente. Molte bande armate si mossero infatti al grido di “Viva Maria!” [▶ eventi]. Altre invece, come quelle che portarono alla caduta della Repubblica napoletana già nel mese di giugno del 1799, si denominarono “sanfediste”, in nome della loro obbedienza alla “Santa fede”.

Il colpo di Stato del 18 brumaio
Nei primi mesi del 1799 il Direttorio si trovò stretto fra le due correnti più forti delle opposizioni, quella monarchica e quella neogiacobina, e fece ricorso a continui colpi di Stato per mantenere il suo potere, ormai privo di rappresentanza assembleare. La situazione fu controllata da Sieyès, l’autore dei libelli che avevano contribuito a scatenare l’agitazione di dieci anni prima e fermamente intenzionato a salvaguardare l’eredità rivoluzionaria. Nell’ottobre di quell’anno arrivò la notizia dello sbarco a Fréjus di Napoleone, scampato all’attacco delle navi inglesi. Sieyès si accordò con l’ormai celebre generale, facendo ancora leva sulla forza militare. Le due camere gli erano ostili, ma i numerosi deputati dissidenti vennero messi a tacere con la violenza nel colpo di Stato del 18 brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799). I pochi rappresentanti rimasti non ebbero altra scelta che consegnare il potere a tre consoli: il giureconsulto moderato Roger Ducos (1747-1806), Sieyès e Napoleone Bonaparte. La Rivoluzione era ormai finita, ma la Francia si trovava già a fare i conti con l’eredità delle trasformazioni realizzatesi nel corso del decennio 1789-99.

  eventi

Miracoli mariani e propaganda controrivoluzionaria

L’abate Giovanni Marchetti (1753- 1829) fu il principale cronista degli eventi dello Stato pontificio nel 1796, da molti interpretati come miracoli. Uno dei primi episodi ebbe luogo ad Ancona, dove il 25 giugno la trentenne Francesca Massari affermò di aver visto l’immagine della Madonna di San Ciriaco alzare le palpebre. I fedeli, guidati dai parroci della diocesi, organizzarono riti straordinari in segno di devozione. Nel giro di pochi giorni l’intero territorio dello Stato pontificio diventò scenario di un’ondata di presunti miracoli legati alle immagini sacre, che avevano luogo in chiese, conventi, piazze, case private, botteghe. Molti testimoni affermavano di aver assistito a movimenti di occhi, cambiamenti di colore, trasudamenti, lacrimazioni, seguiti talvolta da guarigioni miracolose ottenute dai devoti che chiedevano aiuto per le loro infermità.

Ampi settori del clero formularono una precisa chiave interpretativa per questi eventi: secondo loro, santi e madonne reagivano alla furia rivoluzionaria francese che minacciava di travolgere il territorio italiano, di sovvertire l’ordine esistente, di sottrarre alle popolazioni i beni di prima necessità. Anche le alte gerarchie compresero l’importanza della comunicazione e della circolazione delle notizie, che il 30 giugno erano ormai discusse in tutte le strade di Roma. Il 7 luglio il cardinal vicario Giulio Maria Della Somaglia (1744-1830) invitò il popolo a invocare la protezione della Vergine Maria contro la malvagità dei francesi.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900