Nel 2006 uscì nelle sale cinematografiche di tutto il mondo il film The Pursuit of Happyness, interpretato dal celebre attore americano Will Smith e diretto dal regista italiano Gabriele Muccino, al tempo già autore di pellicole di successo come L’ultimo bacio e Ricordati di me. Il titolo faceva esplicito riferimento a uno dei diritti inalienabili dell’uomo stabiliti nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d’America, ancora oggi riconosciuto come valore caratterizzante della democrazia americana: affermare l’importanza dell’individualità, del merito e della competizione, ma dare a tutti la possibilità di costruirsi la vita in base ai propri interessi, cercando appunto la felicità. La trama è ispirata alla vita di Chris Gardner, un uomo che nel corso degli anni Ottanta del XX secolo fu costretto a vivere ai margini della società, in quasi assoluta povertà, dovendo provvedere da solo a un figlio piccolo, prima di diventare un imprenditore di successo. Il protagonista intende diventare un importante broker (un intermediario finanziario che gestisce i rapporti fra venditori e compratori), ma per inseguire i suoi sogni perde molti dei suoi beni e finisce addirittura per vivere, con il suo bambino, fra dormitori e stazioni delle metropolitane. La sua “ricerca della felicità” si conclude comunque con il raggiungimento del sospirato traguardo e con una celebrazione delle opportunità offerte dall’America ai suoi cittadini, anche a quelli costretti a vivere nel disagio e nella marginalità.
L’opera valse a Will Smith una nomination agli Oscar come miglior attore e ottenne in Italia il riconoscimento come “miglior film straniero” nella cerimonia dei David di Donatello (il più ambito premio cinematografico della penisola). La stampa, tuttavia, non si mostrò unanimemente entusiasta: secondo diversi critici, la sceneggiatura poteva offrire un’immagine ingannevole degli Stati Uniti, generare false illusioni negli spettatori, indurli ad agire in maniera sconsiderata per inseguire le loro ambizioni e nascondere gli aspetti più duri e spietati della competizione imposta dalla società americana dei giorni nostri.