2. La rivoluzione industriale fra continuità e discontinuità

percorso 2

La rivoluzione industriale fra continuità e discontinuità

I cambiamenti che interessarono il sistema produttivo inglese nel XVIII secolo non furono repentini come potrebbe sembrare a un primo sguardo. La tecnologia giocò un ruolo fondamentale, ma bisogna chiedersi quali furono i tratti specifici della nuova “industria” e perché fu proprio l’Inghilterra a possedere le condizioni favorevoli per accoglierla. Paul Mantoux e David Landes – due studiosi i cui lavori sono considerati “classici” per la storia della rivoluzione industriale – hanno sviluppato indagini che pongono attenzione a forme di organizzazione del lavoro riconducibili alla dimensione della fabbrica. È significativo il fatto che, pur appartenendo a generazioni differenti, entrambi abbiano evidenziato la necessità di inserire il fenomeno in una considerazione di lungo periodo, guardando anche alle sue origini lontane.

testo 1
Paul Mantoux

Il sistema della grande industria

Stando alle indagini sviluppate da Paul Mantoux nella prima metà del Novecento, le peculiarità della grande industria non risiedevano nei rapporti con il mercato, bensì nei metodi di produzione radicalmente nuovi. Si può quindi parlare con buone ragioni di “rivoluzione industriale” visto che le rotture col passato furono molto più consistenti dei punti di connessione.

La grande industria ebbe origine in Inghilterra, nell’ultimo terzo del secolo XVIII. Fin dall’inizio, il suo sviluppo fu così rapido e diede origine a conseguenze tanto importanti che si è potuto paragonarlo a una rivoluzione; si potrebbe addirittura dire che poche rivoluzioni politiche hanno prodotto modificazioni tanto profonde. Oggi la grande industria ci circonda da ogni lato, e il suo nome non richiede neppure una definizione, tanto familiari e stupefacenti sono le immagini che essa evoca: le fabbriche imponenti nei sobborghi delle città, le alte ciminiere fumanti di giorno e lampeggianti di notte, l’incessante rumore delle macchine, la formicolare attività di squadre di operai. Tuttavia, nonostante l’apparente rapidità della crescita, la rivoluzione industriale deriva da cause assai remote, ed era destinata a produrre conseguenze il cui processo di sviluppo, a oltre un secolo di distanza, è ancora incompleto. Le caratteristiche distintive della grande industria non si manifestarono subito. Per meglio orientarsi nell’oscurità delle origini, cominceremo a descriverle così come ci appaiono oggi. […]

La grande industria concentra e moltiplica i mezzi di produzione in modo da accelerarne e accrescerne il rendimento. Impiega macchine capaci di compiere con infallibile precisione e con prodigiosa rapidità sia i compiti più semplici che i più complicati. Come energia motrice si serve non dello sforzo limitato e irregolare dei muscoli umani, ma di forze naturali, come il vento e l’acqua in movimento, e di forze artificiali, come il vapore e l’elettricità. […] Per manovrare le macchine essa riunisce un vasto numero di persone, uomini, donne e bambini, ciascuna con un compito specifico, semplici ruote di un ingranaggio. Macchine sempre più complesse, operai sempre più numerosi e meglio organizzati, danno vita alle grandi imprese, veri e propri stati industriali. E come nella molla di questa frenetica attività, come cause e come fine, dietro a questo impiego di lavoro umano e di forza meccanica, si muove il capitale, animato dalla sua legge specifica – quella del profitto – che lo spinge a produrre incessantemente per incessantemente accrescersi.

Il monumento caratteristico che contiene entro le sue mura il materiale della moderna produzione e ne esprime in forma visibile lo stesso principio è la fabbrica, con le vaste officine attraverso cui corrono le cinghie o i fili di trasmissione da cui viene distribuita la forza, con il macchinario potente e delicato che la riempie del suo movimento, con il lavoro alacre della sua disciplinata popolazione che le macchine sembrano trascinare con sé nel loro ritmo sbuffante. […] L’accresciuta quantità di prodotti immessa sul mercato provoca un abbassamento dei prezzi; i prezzi più bassi stimolano la domanda e moltiplicano gli affari. La competizione si accentua e, man mano che i progressi dell’industria dei trasporti le aprono sempre più vasti orizzonti, essa si estende dagli individui alle regioni e alle nazioni, più avide che mai nel perseguire i loro interessi materiali. I conflitti e le guerre economiche si intensificano; il vincitore è chi riesce, a dispetto dei competitori, ad allargare il proprio campo di operazione e a trovare sempre nuovi mercati. L’ambizione rende avventurosi i produttori; le contrade più lontane, i continenti appena esplorati, divengono i loro terreni di rapina. Ormai il mondo intero è ridotto a un immenso mercato che le grandi industrie di tutti i paesi si contendono come un campo di battaglia. […]

La vendita, da cui risulta un profitto, è la meta finale di tutta la produzione industriale. L’impulso dato alla produzione dalla grande industria si comunica immediatamente alla distribuzione.

La grande industria nell’ordine economico, la scienza positiva nell’ordine intellettuale, la democrazia nell’ordine politico sono le forze maestre che dirigono il movimento delle società contemporanee. Le origini dell’industria moderna sono simili a quelle della democrazia o della scienza. Sarebbe assurdo affermare che la scienza è iniziata con Galileo e Descartes, o che non vi sono stati sistemi democratici prima delle rivoluzioni d’America e di Francia. Non di meno, gli scienziati del secolo XVII e i rivoluzionari del secolo XVIII sono giustamente pensati come i veri fondatori della scienza e della democrazia. Si può egualmente riconoscere, nelle forme di produzione immediatamente precedenti, qualcuna delle caratteristiche della grande industria. Ma è soltanto ai tempi delle grandi invenzioni tecniche […] che essa assume la sua forma specifica con quella serie di conseguenze da cui è indistinguibile e che fanno del suo progresso uno degli avvenimenti capitali della storia. […]

Si è suggerito di distinguere tra piccola e grande industria, secondo l’ampiezza dei mercati cui sono destinati i prodotti: piccola industria sarebbe quella che fornisce beni di consumo ad una località o regione poco estesa; grande industria quella che produce per un mercato nazionale o internazionale. Questa definizione non è del tutto inaccettabile poiché ha il merito di rivendicare l’importanza essenziale dell’elemento commerciale nell’evoluzione economica. Ma essa si fonda sull’accezione corrente che, pur essendo indubbiamente indeterminata, non si presta tuttavia a tale interpretazione arbitraria. Nessuno penserebbe di includere nella grande industria la fabbricazione dei tappeti nel modo in cui viene eseguita ai nostri giorni in Turchia o in Persia; eppure, i tappeti orientali si vendono in tutto il mondo. Possiamo forse dire che la grande industria esisteva a Corinto nel tempo in cui le terracotte del­l’istmo venivano vendute in tutti i paesi del Mediterraneo? Ai nostri occhi il lavoro eseguito a mano in piccole botteghe, da artigiani, che sopperiscono con la straordinaria abilità manuale ai difetti di un’attrezzatura primitiva, appare tutto il contrario della grande industria. L’espansione verso l’esterno non ne è dunque la caratteristica sostanziale, che va piuttosto individuata nell’organizzazione interna e nella tecnica impiegata. Infatti, come abbiamo detto, la grande industria è soprattutto un determinato sistema di produzione.


tratto da La rivoluzione industriale. Saggio sulle origini della grande industria moderna in Inghilterra, Editori riuniti, Roma 1977

 >> pagina 121 

testo 2
David Landes

L’industria tessile inglese e le origini dell’interesse imprenditoriale per le macchine

Secondo David Landes, per comprendere la rivoluzione industriale è necessario volgere lo sguardo al passato e indagare le linee di continuità, al fine di individuare “origini dell’interesse imprenditoriale per le macchine e la produzione di fabbrica”: bisogna risalire quindi al XIII secolo e al rapporto di dipendenza sviluppato dalle botteghe artigiane nei confronti dei mercanti che fornivano materie prime e poi vendevano i prodotti finiti dopo le varie fasi di lavorazione.


Nel XVIII secolo una serie di invenzioni trasformarono la manifattura del cotone in Inghilterra e diedero origine a un nuovo modo di produzione: il sistema di fabbrica. Nello stesso periodo altri rami dell’industria compivano progressi analoghi, ed essi, tutti insieme e rafforzandosi a vicenda, permisero ulteriori passi in avanti su un fronte sempre più ampio. Il numero e la varietà delle innovazioni furono tali, che è quasi impossibile farne l’elenco; ma tutti si possono riassumere in tre principi: la sostituzione delle macchine – rapide, regolari, precise, infaticabili – all’abilità e alla fatica umane; la sostituzione di fonti inanimate di energia a quelle animali, in particolare l’introduzione di macchine per la conversione del calore in lavoro, che misero a disposizione dell’uomo una nuova e quasi illimitata provvista di energia; l’uso di nuove e assai più abbondanti materie prime, in particolare la sostituzione di sostanze minerali a quelle vegetali o animali.

L’insieme di questi miglioramenti costituisce la rivoluzione industriale. Essi portarono a un aumento senza precedenti della produttività umana, e con esso a un incremento sostanziale del reddito pro capite. Mentre in precedenza un miglioramento delle condizioni di esistenza, e quindi di sopravvivenza, e l’aumento delle possibilità economiche erano stati sempre seguiti da aumenti di popolazione che finivano per annullare i guadagni ottenuti, adesso, per la prima volta nella storia, economia e conoscenze crebbero entrambe abbastanza rapidamente per generare un flusso continuo di investimenti e di innovazioni tecnologiche, un flusso che alzava oltre i limiti del visibile il tetto dei “freni positivi” di Malthus1. La rivoluzione industriale inaugurò così una nuova età ricca di promesse. Essa trasformò inoltre l’equilibrio politico, in seno alle nazioni, fra le nazioni, e fra le civiltà; rivoluzionò l’ordine sociale; e mutò il modo di pensare dell’uomo così come il suo modo di agire.

Nel 1760 l’Inghilterra importava circa 2 milioni e mezzo di libbre di cotone grezzo per alimentare un’industria sparsa per la maggior parte nelle campagne del Lancashire, e connessa alla manifattura del lino, che la riforniva del robusto filo di ordito2 che essa non aveva ancora imparato a produrre. Tutto il lavoro veniva fatto a mano, di solito (ad eccezione della tintura e della finitura) nelle case dei lavoranti, a volte nelle piccole botteghe dei mastri tessitori. Una generazione più tardi, nel 1787, il consumo di cotone grezzo era salito a 22 milioni di libbre; la manifattura del cotone era seconda soltanto a quella della lana per numero di addetti e valore del prodotto; la maggior parte della fibra consumata veniva pulita, cardata e filata per mezzo di macchine, azionate alcune dall’acqua in grandi stabilimenti, altre a mano in officine più modeste, o anche nelle case di campagna. Mezzo secolo dopo il consumo era cresciuto a 366 milioni di libbre; la manifattura del cotone era la più importante del regno per valore del prodotto, capitale investito e numero di addetti; quasi tutte maestranze, tranne gli ancora numerosi tessitori che facevano uso del telaio a mano, lavoravano in stabilimenti sotto disciplina di fabbrica. Il prezzo del filato era sceso a forse un ventesimo di quello di un tempo, e la più economica manodopera indù3 non poteva competere per qualità o quantità con i filatoi intermittenti o continui del Lancashire. I filati di cotone inglesi si vendevano in tutto il mondo: le esportazioni, maggiori di un terzo del consumo interno, avevano un valore quadruplo di quelle dei filati di lana e dei pettinati. Il cotonificio era il simbolo della grandezza industriale inglese; e l’operaio cotoniere, del suo maggiore problema sociale: la nascita di un proletariato industriale.

Perché questa rivoluzione della tecnica e dell’organizzazione della manifattura avvenne dapprima in Inghilterra? Alcune considerazioni teoriche ci possono aiutare a inquadrare il discorso. I cambiamenti tecnologici non sono mai automatici: implicano l’abbandono di metodi tradizionali, danni per gli interessi costituiti, spesso gravi sconvolgimenti umani. Così stando le cose, occorre in genere una combinazione di fattori per suscitare e rendere possibile un nuovo indirizzo: 1) la necessità o l’opportunità di miglioramenti a causa dell’insufficienza, attuale o potenziale, delle tecniche esistenti; e 2) una superiorità tale per cui i nuovi metodi siano tanto redditizi da giustificare il costo del cambiamento. Implicito nel secondo punto è l’assunto che per quanto gli utenti dei vecchi metodi, meno efficienti, tentino di sopravvivere comprimendo i costi dei fattori umani della produzione, imprenditoriali o lavorativi, le nuove tecniche costituiscono un miglioramento sufficiente a mettere in grado i fabbricanti progressisti di batterli sul prezzo e cacciarli dal mercato. […]

Le origini dell’interesse imprenditoriale per le macchine e la produzione di fabbrica vanno cercate nella crescente insufficienza dei vecchi modi di produzione, insufficienza che aveva radici in contraddizioni interne, aggravate a loro volta da forze esterne.

Di queste forme di organizzazione antecedenti la fabbrica, la più antica era la bottega artigiana indipendente, con un padrone o mastro spesso assistito da uno o più lavoranti apprendisti. Molto presto tuttavia – già nel XIII secolo – questa indipendenza era venuta meno in molte zone, e l’artigiano si era trovato legato al mercante che gli forniva la materia prima e vendeva il suo prodotto finito. Questa subordinazione del produttore all’intermediario – o, meno spesso, di produttori deboli ai più forti – fu una conseguenza dello sviluppo del mercato. Mentre un tempo l’artigiano lavorava per una clientela locale, un gruppo ristretto ma abbastanza stabile di persone legate a lui personalmente oltre che per interesse pecuniario, adesso egli venne a dipendere dalle vendite fatte attraverso un mediatore in mercati lontani, e in concorrenza con altri. […] Fu in gran parte in questo modo che la popolazione rurale fu attratta dal circuito produttivo. Molto presto i mercanti urbani si resero conto che le campagne erano un serbatoio di manodopera a buon mercato. […]

L’industria tessile inglese costruì la sua fortuna, nel tardo Medioevo e all’inizio dell’età moderna, sulla manifattura rurale. Nessun centro di produzione, eccettuate le Fiandre, fu così sollecito a volgersi dalle città alle campagne; si calcola che già nel 1500 oltre metà della produzione dei tessuti di lana aveva origine nel contado. Questa tendenza persistette: a metà del XVIII secolo la parte di gran lunga maggiore della manifattura laniera inglese si basava sul lavoro a domicilio […].

Vale la pena di considerare da vicino questo sviluppo, poiché esso fu il principale stimolo dei cambiamenti che noi indichiamo col nome di rivoluzione industriale, e comprenderlo può aiutarci a capire le ragioni della priorità inglese nello sviluppo tecnologico ed economico.


tratto da Cambiamenti tecnologici e sviluppo industriale, 1750-1914, in Storia economica Cambridge, vol. VI. La rivoluzione industriale e i suoi sviluppi, a cura di J. Habakkuk e M. Postan, Einaudi, Torino 1974

 >> pagina 123 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Un nuovo modo di produzione: il sistema di fabbrica.

b) Il monumento caratteristico che contiene entro le sue mura il materiale della moderna produzione […] è la fabbrica.

c) Le caratteristiche distintive della grande industria non si manifestarono subito.

d) L’industria tessile inglese costruì la sua fortuna, nel tardo Medioevo e all’inizio dell’età moderna, sulla manifattura rurale.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Il sistema della grande industria L’industria tessile inglese e le origini dell’interesse imprenditoriale per le macchine 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

competenza DIGITALE Nel suo testo del 1906, Paul Mantoux dice: «Oggi la grande industria ci circonda da ogni lato, e il suo nome non richiede neppure una definizione, tanto familiari e stupefacenti sono le immagini che essa evoca: le fabbriche imponenti nei sobborghi delle città, le alte ciminiere fumanti di giorno e lampeggianti di notte, l’incessante rumore delle macchine, la formicolare attività di squadre di operai». Qual è la vostra percezione dell’industria di oggi? Quali sono le sue caratteristiche distintive? Ci sono state innovazioni che l’hanno radicalmente trasformata negli ultimi anni? Come sono cambiati i metodi di lavoro, i rapporti e i mezzi di produzione? Rispondete a queste domande in gruppi di massimo 5 persone e preparate una presentazione digitale che riassuma le caratteristiche principali dell’industria contemporanea in Italia.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900