PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 Lo spazio pubblico nell’età dei Lumi

p. 114

R. Darnton, Cronache di scandali tratto da L’età dell’informazione

– I luoghi dell’informazione

– Le notizie: strumenti e contenuti

D. Roche, I manifesti sui muri di Parigi tratto da Il popolo di Parigi

– Il popolo e la familiarità con la parola scritta

2 La rivoluzione industriale fra continuità e discontinuità

p. 119

P. Mantoux, Il sistema della grande industria tratto da La Rivoluzione industriale

– I nuovi modi di produzione

– L’organizzazione interna dell’industria

D. Landes, L’industria tessile inglese e le origini dell’interesse imprenditoriale per le macchine tratto da Cambiamenti tecnologici e sviluppo industriale, 1750-1914

– I rapporti fra artigianato e mercato

– L’organizzazione del lavoro

percorso 1

Lo spazio pubblico nell’età dei Lumi

L’età dei Lumi fu segnata da un allargamento dello spazio pubblico che offrì una maggiore fluidità alla circolazione di idee, testi scritti, immagini. L’alfabetizzazione di porzioni più ampie della popolazione favorì l’uso di libri e giornali, ma un ruolo importante fu giocato dalla voce che conservò la sua importanza: le informazioni potevano essere diffuse attraverso pettegolezzi, aneddoti, novelle, canzoni, satire. Robert Darnton e Daniel Roche si focalizzano sulla realtà parigina e guardano proprio a questi aspetti, concentrandosi sul ruolo dei libelli, dei romanzi (talvolta proibiti dalle autorità) e dei manifesti.

testo 1
Robert Darnton

Cronache di scandali

Nella Francia del Settecento, era molto difficile accedere a notizie ufficiali che riguardassero il funzionamento interno dei quadri del potere o della corte: le autorità non lo consentivano, la stampa era controllata. Robert Darnton mostra quindi quali erano le vie alternative per catturare le informazioni e ci introduce in un mondo fatto di dicerie e testi diffusi clandestinamente, dai quali emergevano spesso immagini scandalose riguardanti i ministri, la nobiltà o della famiglia reale. Secondo lo storico americano, questa produzione letteraria fu decisiva nell’intaccare l’obbedienza che i francesi tradizionalmente tributavano alle gerarchie politiche di antico regime.

Dalla soglia del Ventunesimo secolo sembra che la strada per il nuovo millennio passi per la Silicon Valley1. Siamo entrati nell’età dell’informazione […] e il futuro, pare, sarà determinato dai media. C’è addirittura chi sostiene che le forme di comunicazione hanno sostituito le forme di produzione come forza motrice del mondo moderno. A questa opinione obietterei. Valga quello che valga come profezia, come visione storica non funziona, in quanto dà il senso specioso di una rottura col passato. Io direi che ogni età è stata un’età dell’informazione, e che i sistemi di comunicazione hanno sempre foggiato gli eventi. Questa tesi avrà magari una somiglianza sospetta col senso comune, ma approfondita a sufficienza potrebbe aprire una nuova prospettiva sul passato. Per cominciare, farei una domanda circa i media odierni: cos’è una notizia? I più di noi risponderebbero che le notizie sono ciò che leggiamo nei giornali o sentiamo alla radio. A guardar meglio, però, probabilmente converremmo che le notizie non sono cose accadute. Sono una sorta di narrazione, trasmessa da media di tipo particolare. […]

Proporrei un attacco generale al problema di come le società hanno interpretato gli avvenimenti e trasmesso informazioni in proposito; qualcosa che potremmo chiamare storia della comunicazione. In linea di massima, una storia del genere potrebbe dar luogo a una nuova valutazione di qualsiasi periodo del passato, giacché ogni società sviluppa i propri metodi di caccia e raccolta di informazioni; i suoi strumenti per comunicare ciò che raccoglie, usi essa o meno concetti quali notiziari e media, possono rivelare parecchio sulla sua comprensione della propria esperienza. […]

Ma invece di accumulare esempi andando in giro qua e là per la documentazione storica, vorrei esaminare un sistema di comunicazione operante in un determinato tempo e luogo, la Francia dell’Antico Regime. Più precisamente mi chiedo; come si veniva a conoscere una notizia a Parigi intorno al 1750? Non, faccio presente, leggendo un giornale, perché giornali recanti notizie – notizie come le intendiamo oggi, sugli affari pubblici e le persone importanti – non ne esistevano. Il governo non li permetteva.

Per sapere cosa accadeva, si andava all’Albero di Cracovia. Era un grande castagno frondoso nel cuore di Parigi. […] Il nome derivava probabilmente dalle accese discussioni svoltesi ai suoi piedi durante la guerra di successione polacca (1733-35), ma alludeva anche allo spargere voci (craquer: raccontare storie di dubbia provenienza). Come una possente calamita l’albero attirava i nouvellistes de bouche2, gazzettini umani che diffondevano oralmente informazioni sugli avvenimenti del giorno. Costoro affermavano di sapere, da fonti private (una lettera, un servitore indiscreto, una frase udita di straforo in un’anticamera di Versailles) cosa accadeva realmente nei corridoi del potere, e chi stava al potere li prendeva sul serio, perché il governo si preoccupava di quel che dicevano i parigini. I diplomatici stranieri, pare, mandavano ai piedi dell’Albero di Cracovia i loro agenti a raccogliere e seminare notizie. […] C’erano vari altri centri nevralgici per la trasmissione di “voci pubbliche” […]: panchine speciali speciali alle Tuileries e nei giardini del Lussemburgo3, siti informali per oratori […], caffè noti per dovizia di chiacchiere, boulevard dove le notizie erano annunciate a gran voce dai venditori ambulanti di canards (volantini di facezie) o cantate di suonatori di ghironda4.

Semplificando drasticamente, insisterei su un punto fondamentale: nella Francia dell’antico regime la circolazione di notizie sul funzionamento interno del sistema di potere non era permessa. La politica era affare del re, le secret du roi, idea, questa, derivata da una concezione tardomedievale e rinascimentale che considerava l’arte di governo come arcana imperii, un’arte segreta riservata ai sovrani e ai loro consiglieri.

Naturalmente qualche notizia raggiungeva il pubblico dei lettori tramite giornali e gazzette, ma erano notizie che non dovevano riguardare gli aspetti riservati della politica […], se non nella forma di dichiarazioni ufficiali sulla vita di corte. […] Una quantità enorme di letteratura scandaleuse raggiungeva i lettori di tutta la Francia, sebbene oggi sia quasi completamente dimenticata: senza dubbio perché agli occhi di critici letterari e bibliotecari non meritava il nome di letteratura. […] Questi libri tracciavano la mappa di tutta la storia contemporanea5. Di fatto erano la sola mappa disponibile, perché la biografia politica e la storia contemporanea – due generi che formano la spina dorsale delle odierne classifiche di best seller – non esistevano nella letteratura legale dell’antico regime6. Erano proibite. I contemporanei desiderosi di orientarsi rapportando il presente al recente passato dovevano ricorrere alla letteratura libellistica. Non potevano rivolgersi altrove.

Come avveniva questo processo di orientamento? Se si percorre l’intero corpus dei libelles e delle chroniques scandaleuses, ci si imbatte nelle stesse caratteristiche, negli stessi episodi, e spesso nelle stesse frasi sparse dappertutto. Gli autori attingevano a fonti comuni e prelevavano brani dai testi gli uni degli altri con la stessa libertà con cui scambiavano notizie nei caffè. Non si trattava di plagio, perché questo concetto non si applicava alla letteratura clandestina, e i libri, come le canzoni, non avevano propriamente autori individuali. Era un caso di massiccia intertestualità.

Nonostante la loro straordinaria profusione, i testi si possono ricondurre ad alcuni motivi conduttori, che ricorrono in tutto il corpus. La corte affonda sempre più nella depravazione, i ministri ingannano sempre il re, il re manca sempre di adempiere al suo dovere di capo di Stato, il potere dello Stato è sempre usato male e la gente comune paga sempre lo scotto delle ingiustizie che le sono inflitte: tasse più gravose, maggiori sofferenze e motivi di malcontento, accresciuta inermità di fronte a un governo arbitrario e onnipotente. […]

Non so, è vero, come i lettori leggevano quei libri, ma non mi pare assurdo insistere su una caratteristica della lettura in generale: è un’attività che comporta l’interpretazione di segni mediante il loro inserimento in un certo quadro. Le storie forniscono l’inquadratura più persuasiva. La gente comune trova spesso un significato nella confusione rombante e ronzante del mondo che la circonda raccontando, ascoltando e leggendo storie. I lettori della Francia settecentesca interpretavano la politica incorporando le notizie nel quadro narrativo fornito dalla letteratura libellistica. Ed erano rafforzati nelle loro interpretazioni dai messaggi che ricevevano da tutti gli altri media: pettegolezzi, poesie, canzoni, stampe, facezie, eccetera.


tratto da L’età dell’informazione. Una guida non convenzionale al Settecento, Adelphi, Milano 2003

 >> pagina 116 
testo 2
Daniel Roche

I manifesti sui muri di Parigi

Avere dei dati sull’alfabetizzazione e sul potenziale numero di lettori è un presupposto essenziale per comprendere la capacità di un testo verbale di influenzare idee, costruire visioni del mondo, fornire modelli di comportamento. Daniel Roche tiene in considerazione questo aspetto, guardando alla capacità del popolo di Parigi di sviluppare dimestichezza con la parola scritta e di fruire dei messaggi trasmessi dai manifesti affissi sui muri, discutendone i contenuti ed elaborando diverse reazioni a essi.

Parlare delle letture del popolo parigino significa ricorrere subito a un’immagine che pone un problema: quella di un progresso che ci si è abituati ad associare al movimento complessivo del secolo dei Lumi. […] L’accesso alla lettura è senza ombra di dubbio il risultato di una accumulazione di privilegi culturali di cui molti studiosi hanno recentemente dimostrato il carattere a un tempo selettivo e aperto, che contraddistingue i gruppi sociali delle città non diversamente che gli indizi di ricchezza o le etichette di prestigio. Leggere è un privilegio tanto più efficace quanto più la società francese, nella sua totalità, è immersa nell’oralità propria delle culture contadine e quanto più, per molti popolani parigini, i primi anni decisivi, quelli in cui si apprende a vedere e a fare, sono stati trascorsi in un ambiente rurale dominato dai modi visuali e gestuali di comunicazione. Proprio per questo motivo è importante precisare come, in una società dominata dalla scrittura, le classi popolari, per quanto non possano interamente impadronirsene, subiscano una trasformazione che interessa il profondo della loro mentalità e delle loro percezioni abituali.

Chi, nel popolo, è in grado di leggere? Allo stesso modo che per altre circostanze, occorre utilizzare come campione la firma che, provocata da un atto ufficiale (contratto di matrimonio, testamento, testimonianze giudiziarie […]) consente di tracciare i confini della scrittura elementare. Nella città del Diciottesimo secolo la correlazione tra capacità di apporre la propria firma e alfabetizzazione completa è altamente probabile, malgrado non sia totalmente provata1. […]

Allo stato attuale delle ricerche, lo studio dell’istruzione a Parigi è stato appena abbozzato, quindi si può lavorare soltanto su dati frammentari e disomogenei. Due peculiarità risaltano tuttavia con chiarezza: globalmente, a Parigi, l’alfabetizzazione è un dato antico, che per di più – nel Diciottesimo secolo – conosce un incremento […].

Non esiste ancora […] una riflessione di natura storica [sul manifesto, un oggetto] divenuto ben presto familiare alla popolazione parigina, inevitabilmente votato a un destino effimero oltre che ad una funzione immediata oltre che gratuita. Il manifesto impone una presentazione particolare delle cose per cui la chiarezza, la disposizione, la scelta dei caratteri, il ruolo dei bianchi e dei neri, l’importanza dei margini, il peso dell’illustrazione sono altrettanti elementi decisivi per una lettura immediata e viva, individuale ma anche probabilmente collettiva. […] Sul grigio del muro il bianco della carta e il nero dei caratteri spiccano, mentre l’attenzione degli spettatori è catturata dalla voce di colui che decifra e trasmette il senso di un messaggio quasi sempre annunciato dal suono del corno e dal rullare dei tamburi prima di essere incollato sulle facciate. Il manifesto è innanzi tutto di provenienza reale, parlamentare, municipale o ecclesiastica e trasmette una comunicazione dell’autorità: editti e ordinanze, regolamenti municipali e di polizia, interdizioni e programmi, avvisi ed esecuzioni, quotazioni dei titoli della Compagnia delle Indie e numeri vincenti della lotteria. Di conseguenza, tutto quanto riguarda la vita abituale del popolo viene affisso; delibere della città (analoghe ai nostri avvisi o alle nostre autorizzazioni e licenze di costruzione), convocazioni alle assemblee, alla Milizia, listini dei prezzi, annunci di vittorie2. Le notizie, i pettegolezzi, gli spettacoli e i teatri, gli inviti alle feste (come le giostre sul fiume o i fuochi artificiali): tutto funziona come manifestazione del potere ma permette, al contempo, una trasformazione degli atteggiamenti di fronte alla città, un cambiamento di abitudini, un mutamento di costumi, una familiarità collettiva con l’informazione scritta. Ben presto si prende gusto al sapere, sia pure fatto di poco e lo “sguardo obliquo del popolo” sa fare propri questi progressi privi di traumi, nonché captare significati diversi, che non sfuggono alle memorie, quali prodotti di un girovagare avventuroso, o all’attenta percezione di molteplici esperti, autodidatti in grado di discutere il diritto del re e quello della città, il peso del sacco di fave e il prezzo della “corde”3 di legna, la vivacità di uno spettacolo teatrale o la scomparsa di un attore celebre. È un libro che si legge e che cambia ogni mattina quando i quaranta attacchini autorizzati arrivano con la loro colla e il loro pennello per rifornire il pubblico di novità. Il sacro e il profano, la politica e i passatempi mascherano, sovrapponendosi, le nudità dei muri. Migliaia d’occhi contemplano i manifesti, migliaia di inclinazioni individuali riescono a percepirvi una dimensione comune: annunci di matrimonio e di morte ritmano il destino di tutti.

Anche il segno può esservi alimentato a piacere: si pensi all’“invito rivolto al popolo dalla fortuna” che chiama a tentare il colpo nei botteghini della Lotteria Reale; si pensi ai manifesti dei ciarlatani che garantiscono la guarigione da tutti i mali o meglio ancora a quello degli arruolamenti militari, affidato all’abilità persuasiva degli autori.


tratto da Il popolo di Parigi. Cultura popolare e civiltà materiale alla vigilia della Rivoluzione, Il Mulino, Bologna 2000

 >> pagina 118 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Per sapere cosa accadeva [a Parigi], si andava all’Albero di Cracovia.

b) L’accesso alla lettura […] è il risultato di una accumulazione di privilegi culturali.

c) Tutto quanto riguarda la vita abituale del popolo viene affisso.

d) Ogni età è stata un’età dell’informazione.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

Cronache di scandali

 I manifesti sui muri di Parigi 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

Proviamo a trasferire la domanda del saggio di Robert Darnton nel tempo presente. In gruppi di massimo 5 persone cercate di dare una risposta (massimo 30 righe) alle domande: che cos’è una notizia e come si viene a conoscere una notizia oggi; quali sono le specificità dei luoghi (fisici e virtuali) di trasmissione e condivisione nelle notizie oggi.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900