Dalla soglia del Ventunesimo secolo sembra che la strada per il nuovo millennio passi per la Silicon Valley1. Siamo entrati nell’età dell’informazione […] e il futuro, pare, sarà determinato dai media. C’è addirittura chi sostiene che le forme di comunicazione hanno sostituito le forme di produzione come forza motrice del mondo moderno. A questa opinione obietterei. Valga quello che valga come profezia, come visione storica non funziona, in quanto dà il senso specioso di una rottura col passato. Io direi che ogni età è stata un’età dell’informazione, e che i sistemi di comunicazione hanno sempre foggiato gli eventi. Questa tesi avrà magari una somiglianza sospetta col senso comune, ma approfondita a sufficienza potrebbe aprire una nuova prospettiva sul passato. Per cominciare, farei una domanda circa i media odierni: cos’è una notizia? I più di noi risponderebbero che le notizie sono ciò che leggiamo nei giornali o sentiamo alla radio. A guardar meglio, però, probabilmente converremmo che le notizie non sono cose accadute. Sono una sorta di narrazione, trasmessa da media di tipo particolare. […]
Proporrei un attacco generale al problema di come le società hanno interpretato gli avvenimenti e trasmesso informazioni in proposito; qualcosa che potremmo chiamare storia della comunicazione. In linea di massima, una storia del genere potrebbe dar luogo a una nuova valutazione di qualsiasi periodo del passato, giacché ogni società sviluppa i propri metodi di caccia e raccolta di informazioni; i suoi strumenti per comunicare ciò che raccoglie, usi essa o meno concetti quali notiziari e media, possono rivelare parecchio sulla sua comprensione della propria esperienza. […]
Ma invece di accumulare esempi andando in giro qua e là per la documentazione storica, vorrei esaminare un sistema di comunicazione operante in un determinato tempo e luogo, la Francia dell’Antico Regime. Più precisamente mi chiedo; come si veniva a conoscere una notizia a Parigi intorno al 1750? Non, faccio presente, leggendo un giornale, perché giornali recanti notizie – notizie come le intendiamo oggi, sugli affari pubblici e le persone importanti – non ne esistevano. Il governo non li permetteva.
Per sapere cosa accadeva, si andava all’Albero di Cracovia. Era un grande castagno frondoso nel cuore di Parigi. […] Il nome derivava probabilmente dalle accese discussioni svoltesi ai suoi piedi durante la guerra di successione polacca (1733-35), ma alludeva anche allo spargere voci (craquer: raccontare storie di dubbia provenienza). Come una possente calamita l’albero attirava i nouvellistes de bouche2, gazzettini umani che diffondevano oralmente informazioni sugli avvenimenti del giorno. Costoro affermavano di sapere, da fonti private (una lettera, un servitore indiscreto, una frase udita di straforo in un’anticamera di Versailles) cosa accadeva realmente nei corridoi del potere, e chi stava al potere li prendeva sul serio, perché il governo si preoccupava di quel che dicevano i parigini. I diplomatici stranieri, pare, mandavano ai piedi dell’Albero di Cracovia i loro agenti a raccogliere e seminare notizie. […] C’erano vari altri centri nevralgici per la trasmissione di “voci pubbliche” […]: panchine speciali speciali alle Tuileries e nei giardini del Lussemburgo3, siti informali per oratori […], caffè noti per dovizia di chiacchiere, boulevard dove le notizie erano annunciate a gran voce dai venditori ambulanti di canards (volantini di facezie) o cantate di suonatori di ghironda4.
Semplificando drasticamente, insisterei su un punto fondamentale: nella Francia dell’antico regime la circolazione di notizie sul funzionamento interno del sistema di potere non era permessa. La politica era affare del re, le secret du roi, idea, questa, derivata da una concezione tardomedievale e rinascimentale che considerava l’arte di governo come arcana imperii, un’arte segreta riservata ai sovrani e ai loro consiglieri.
Naturalmente qualche notizia raggiungeva il pubblico dei lettori tramite giornali e gazzette, ma erano notizie che non dovevano riguardare gli aspetti riservati della politica […], se non nella forma di dichiarazioni ufficiali sulla vita di corte. […] Una quantità enorme di letteratura scandaleuse raggiungeva i lettori di tutta la Francia, sebbene oggi sia quasi completamente dimenticata: senza dubbio perché agli occhi di critici letterari e bibliotecari non meritava il nome di letteratura. […] Questi libri tracciavano la mappa di tutta la storia contemporanea5. Di fatto erano la sola mappa disponibile, perché la biografia politica e la storia contemporanea – due generi che formano la spina dorsale delle odierne classifiche di best seller – non esistevano nella letteratura legale dell’antico regime6. Erano proibite. I contemporanei desiderosi di orientarsi rapportando il presente al recente passato dovevano ricorrere alla letteratura libellistica. Non potevano rivolgersi altrove.
Come avveniva questo processo di orientamento? Se si percorre l’intero corpus dei libelles e delle chroniques scandaleuses, ci si imbatte nelle stesse caratteristiche, negli stessi episodi, e spesso nelle stesse frasi sparse dappertutto. Gli autori attingevano a fonti comuni e prelevavano brani dai testi gli uni degli altri con la stessa libertà con cui scambiavano notizie nei caffè. Non si trattava di plagio, perché questo concetto non si applicava alla letteratura clandestina, e i libri, come le canzoni, non avevano propriamente autori individuali. Era un caso di massiccia intertestualità.
Nonostante la loro straordinaria profusione, i testi si possono ricondurre ad alcuni motivi conduttori, che ricorrono in tutto il corpus. La corte affonda sempre più nella depravazione, i ministri ingannano sempre il re, il re manca sempre di adempiere al suo dovere di capo di Stato, il potere dello Stato è sempre usato male e la gente comune paga sempre lo scotto delle ingiustizie che le sono inflitte: tasse più gravose, maggiori sofferenze e motivi di malcontento, accresciuta inermità di fronte a un governo arbitrario e onnipotente. […]
Non so, è vero, come i lettori leggevano quei libri, ma non mi pare assurdo insistere su una caratteristica della lettura in generale: è un’attività che comporta l’interpretazione di segni mediante il loro inserimento in un certo quadro. Le storie forniscono l’inquadratura più persuasiva. La gente comune trova spesso un significato nella confusione rombante e ronzante del mondo che la circonda raccontando, ascoltando e leggendo storie. I lettori della Francia settecentesca interpretavano la politica incorporando le notizie nel quadro narrativo fornito dalla letteratura libellistica. Ed erano rafforzati nelle loro interpretazioni dai messaggi che ricevevano da tutti gli altri media: pettegolezzi, poesie, canzoni, stampe, facezie, eccetera.
tratto da L’età dell’informazione. Una guida non convenzionale al Settecento, Adelphi, Milano 2003